Al vertice CSI gli alleati della Russia rimangono freddi sull'intervento militare in Siria (Arkady Dubnov)

Le limitate informazioni disponibili dal summit in Kazakistan lasciano intendere che i paesi vicini alla Russia ed, in particolare, gli Stati confinanti con il Mar Caspio non hanno approvato i bombardamenti aerei in Siria da parte di Mosca.

Un mese dopo che la Russia ha iniziato il suo intervento in Siria, gli altri leader post-sovietici si distinguono principalmente per il loro silenzio in merito all’operazione militare nella zona. 
Il summit del CSI, che ha avuto luogo in Kazakistan il mese scorso, è trascorso senza alcuna espressione di pubblico sostegno per il Presidente Vladimir Putin. L’unica persona che ha parlato in suo favore, il Presidente kirghiso Almazbek Atambayev, lo ha fatto soltanto durante un’intervista post-summit ad un canale televisivo russo. 

Il silenzio rispecchia il fatto che l’élite dirigenziale degli stati post-sovietici non è per niente entusiasta della recente politica estera russa. Gli ambienti governativi vedono il comportamento della Russia in Ucraina come una minaccia alla loro sovranità e integrità territoriale. Il massimo su cui il Cremlino può contare da parte loro è il riconoscimento del fatto che la Crimea de facto fa ora parte del territorio russo. 
Il Kazakistan, in particolare, è stato allarmato da un fiume di pubblicazioni e clamorose dichiarazioni, a volte aggressive, provenienti dalla Russia che prevedono che il Kazakistan settentrionale, con i suo milioni di russofoni, possa ripetere la storia di Donbas, dove “il mondo russo” deve essere protetto. 

Paradossalmente, è stato il Kazakistan ad ospitare il summit CIS di quest’anno in Burabay, una città di villeggiatura a nord di Astana. Per la prima volta è stato un incontro a porte chiuse. In precedenza, soltanto gli incontri dei presidenti al summit erano stati interdetti alla stampa. Questa volta gli “outsider” sono stati esclusi persino dalle sessioni con le delegazioni al completo, anche se erano eventi di protocollo che presentavano interventi di tutti i presidenti senza il successivo dibattito. Il discorso di Vladimir Putin è stato reso disponibile soltanto sul sito del servizio stampa del Cremlino. Lo stesso è valso per i discorsi del Presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev e il Presidente dell’Uzbekistan Islam Karimov. Solo dopo, pertanto, si è saputo che il presidente Kerimov aveva fatto un discorso tagliente, criticando l’ordine del giorno del summit per essere “staccato dalla realtà”.

La maggior parte del discorso di Vladimir Putin è stato rivolto alla lotta contro il terrorismo e gli sforzi per “coordinare una politica estera comune.” Ha affermato che la Russia stava agendo pienamente entro i limiti della legge internazionale, basandosi sulla richiesta ufficiale da parte del Presidente Assad e sul fatto che l’operazione sarebbe durata per un periodo di tempo limitato.
A giudicare dalla copertura mediatica del summit, nessuno degli altri presidenti ha risposto all’appello alla solidarietà nei confronti della Siria. Infatti, apparentemente nessun altro leader è sembrato aver menzionato la Siria. 

Forse l’unica eccezione è stata il Presidente del Kyrghyzstan Almazbek Atambayev che successivamente ha rilasciato al canale televisivo russo RTR una lunga intervista nel corso della quale si è dichiarato d'accordo con l’affermazione che le truppe russe in Siria combattono “anche per il Kyrgyzstan”, e ha detto che “i ragazzi che oggi combattono per l’ISIS e che vengono formati in Siria, saranno poi mandati a costruire Khorasan Caliphate in Asia Centrale, che include anche il Kyrgyzstan”. 
Probabilmente era il meglio che Putin potesse aspettarsi. Il leader bielorusso Alexander Lukashenko si è lasciato scappare che la discussione privata tra i presidenti è stata molto “animata”.
È verosimile che la discussione “animata” riguardasse anche l’Afghanistan, dove nelle ultime settimane diversi gruppi estremisti sono diventati più attivi nella parte nord del paese. 

Recentemente, il Presidente Nursultan Nazarbayev ha creato un piccolo scandalo diplomatico, menzionando violenti incidenti sul confine turkmeno-afgano. Il governo turkmeno ha inoltrato la sua “protesta risoluta” ad Astana, esortando lo stato “fraterno” a “farsi guidare da un’informazione più oggettiva”. 
Il Presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov ha scelto apertamente di non andare a Burabay, mandando al suo posto soltanto il suo Vice Primo Ministro. Inoltre, allo stesso tempo ha inviato il suo Ministro dell’Estero Rashid Meredov a Washington per le negoziazioni. Che cosa sta dietro a questo stratagemma politico? Evidentemente, il lancio di missili da parte della Russia in Siria dal Mar Caspio, che è non molto lontano dal Turkmenistan, ha turbato i vertici dirigenziali turkmeni. 

Il Turkmenistan e la Russia hanno una relazione tesa dai tempi della guerra in Georgia nell’agosto del 2008.  In allora Ashgabat era coinvolto in uno scontro diplomatico con Mosca sullo stato di migliaia di turkmeni che avevano la doppia cittadinanza russo-turkmena. Il governo turkmeno aveva visto l’intervento di Mosca in Ossezia del Sud, apparentemente mirato a proteggere i cittadini russi, come un avvertimento. In risposta il Turkmenistan aveva affrettatamente organizzato esercitazioni militari sulle coste del Mar Caspio per dimostrare la sua risolutezza a difendersi. Le fonti in Turkmenistan affermano che il loro Ministro dell’Estero ha sollevato la questione della garanzia della sicurezza a Washington. 

Gli altri due stati sulle coste del Mar Caspio, il Kazakistan e l’Azerbaijan, sono sicuramente preoccupati dell’attività militare russa nella zona, sebbene Nazarbayev ed Aliev fossero stati quasi certamente informati del lancio dei ventisei missili. È probabile che Aliev abbia saputo degli imminenti attacchi durante la telefonata del 7 ottobre nel corso della quale, secondo il servizio stampa del Presidente dell’Azerbaijan, il leader azero ha fatto gli auguri a Putin per il suo compleanno. 

Il lancio dei missili da parte della Russia aiuta a capire perché dall'inizio degli anni 2000 il paese ha temporeggiato sull'iniziativa dei quattro paesi del Mar Caspio di demilitarizzare la regione. La demilitarizzazione del Bacino del Caspio rimane una precondizione per l’accordo sullo stato legale e la delimitazione del Mar Caspio. L’Azerbaijan, il Kazakistan e il Turkmenistan hanno motivo di credere che Teheran e Mosca stanno deliberatamente ritardando l’azione per mantenere il controllo che avevano sul Caspio ai tempi sovietici.
Hanno avuto un ricordo poco gradito di quel periodo, il 18 ottobre, quando una flotta di tre navi da guerra iraniane aveva attraversato il Caspio per una “visita amichevole” al porto russo di Astrakhan. Il capitano della flotta aveva sottolineato che il viaggio era stato programmato con largo anticipo.

Arkady Dubnov è un analista politico ed esperto sull'Asia Centrale.

(tratto da: http://carnegie.ru/commentary/2015/10/29/silence-of-cis-russia-s-neighbors-and-syria-crisis/ikmb)




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http://www.eu/ita/archivio/Al-vertice-CSI-gli-alleati-della-Russia-rimangono-freddi-sull-intervento-militare-in-Siria-Arkady-Dubnov-162-ITA.asp 2015-11-30 daily 0.5