Alla ricerca di nuove rotte d'esportazione energetica: l'impasse turkmena (di Fabio Indeo)

La condizione di esclusiva dipendenza dalle esportazioni di gas naturale verso la Cina e i ritardi nella realizzazione di gasdotti alternativi per diversificare la vendita degli idrocarburi delineano una condizione di profonda vulnerabilità del Turkmenistan in materia di sicurezza energetica.

Secondo i dati dell'annuale report statistico elaborato dalla British Petroleum, nel 2018 il Turkmenistan ha prodotto 61,5 miliardi di metri cubi (Gmc) di gas: considerando che 28,4 Gmc sono stati destinati per i consumi interni, i restanti 33 Gmc sono stati esportati esclusivamente verso i mercati cinesi, attraverso le tre condotte che compongono attualmente il gasdotto Cina-Asia Centrale. Sommando le esportazioni di gas naturale immesse da Uzbekistan (6,3 Gmc) e Kazakhstan (5,4 Gmc), questo gasdotto transregionale ha esportato verso la Cina oltre 45 Gmc di gas, volumi che coprono oltre 1/3 delle importazioni totali di gas naturale di Pechino.

Questa situazione certifica lo scenario di totale dipendenza del Turkmenistan dalla rotta d'esportazione orientale, diretta ai mercati cinesi: considerato che parte degli introiti ricavati dalla vendita del gas debbono essere dirottati per rimborsare i prestiti e gli investimenti contratti con le banche e il governo cinese per la realizzazione delle infrastrutture di trasporto e per lo sfruttamento dei giacimenti (Galkynysh e Bagtyyalryk), il Turkmenistan è obbligato a trovare nuovi corridoi d'esportazione e nuovi mercati.

Se le esportazioni verso l'Iran sono tuttora sospese (e Teheran nel frattempo ha sviluppato una rete di gasdotti interni per trasportare verso le province nordorientali - al confine con il Turkmenistan - il gas naturale estratto nei giacimenti della parte meridionale del paese), l'accordo siglato nel 2019 con la Russia per ripristinare le esportazioni (interrotte nel 2016) appare un buon viatico per Ashgabat, anche se limitate a soli 5,5 Gmc all'anno che di fatto non determinano un riequilibrio della condizione di dipendenza dalla Cina. Il dato positivo è che l'accordo con Mosca costituisce un opzione di immediata fattibilità, per l'esistenza di un gasdotto di epoca sovietica che sino al 2009 convogliava oltre 40 Gmc di gas verso la Russia. 

La realizzazione dei due maggiori progetti di diversificazione delle rotte energetiche promossi dal Turkmenistan - il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India e il gasdotto transcaspico - sembra invece arenarsi su una serie di ostacoli economici, geopolitici e di sicurezza delle infrastrutture.

Per quanto concerne il gasdotto TAPI, nonostante Ashgabat avesse annunciato ufficialmente negli anni scorsi l'inaugurazione dei lavori per il tratto turkmeno, la recente decisione della compagnia statale Turkmengas di affidare alla società italiana RINA il ruolo di consulente/supervisore tecnico per il tratto di gasdotto (214 km) che attraverserà il paese indirettamente evidenzia i ritardi nel completamento del segmento nazionale.

Ai ritardi turkmeni si sommano le difficoltà incontrate dall'Afghanistan per la realizzazione della bretella energetica che dovrebbe attraversare la nazione da est a ovest (per evidenti ragioni di sicurezza, nonostante il governo di Kabul prevedesse l'avvio dei lavori nel 2017): ne consegue che l'entrata in funzione dell'opera sia slittata al 2021-2022, vanificando l'auspicio del presidente turkmeno Berdymukhamedow di vedere operativo il TAPI alla fine del 2019.

Il TAPI si configura come un progetto di effettiva diversificazione in quanto destinato a rifornire mercati nuovi (India e Pakistan) con ingenti volumi di gas naturale (33 Gmc, pari alle attuali esportazioni verso la Cina), e ridurrebbe la dipendenza da Pechino e Mosca: ciononostante, il problema della sicurezza delle infrastrutture destinate a transitare nel territorio afgano e nella regione pachistana del Balucistan e la regolarità degli approvvigionamenti incidono notevolmente sulla fattibilità dell'opera.

Alle ragioni di sicurezza si sommano quelle economiche: infatti, i costi previsti per la realizzazione del TAPI ammontano a 10 miliardi di dollari. Il Turkmenistan è fortemente impegnato nel contrarre prestiti per finanziare l'opera, che tuttavia non appaiono sufficienti per ammortizzare la spesa: agli inizi di gennaio ha ottenuto un prestito dal Fondo di Sviluppo Saudita che si somma a quello ottenuto in precedenza (500 milioni di dollari) dall'ICIEC (Insurance of Investment and Export Credit), fondo d'investimento che fa parte della Banca Islamica di Sviluppo che ha offerto un prestito di oltre un miliardo di dollari per finanziare il TAPI.

Per quanto concerne il gasdotto transcaspico - ovvero la realizzazione del gasdotto sottomarino che permetterebbe di trasportare il gas turkmeno in Azerbaigian, per poterlo successivamente convogliare nel Corridoio Energetico Meridionale supportato dalla UE - la firma della Convenzione sul Caspio nell'agosto 2018 aveva suscitato enormi aspettative, che appaiono ad oggi congelate. Infatti, nonostante l'accordo riconosca la possibilità delle nazioni rivierasche di realizzare delle infrastrutture per il trasporto degli idrocarburi connettendo le due sponde del Caspio, in realtà Russia ed Iran mantengono inalterato il potere di veto che può essere esercitato se insorgono delle questioni ambientali.

Nonostante nei vari summit con la UE Berdymukhamedow abbia confermato la disponibilità turkmena ad essere coinvolto nel progetto del gasdotto transcaspico, in realtà emergono delle ragioni prettamente geopolitico-energetiche che coinvolgono Russia ed Azerbaigian e che influenzano lo scenario in senso opposto: infatti, l'apporto significativo del gas turkmeno nel potenziare il Corridoio Energetico Meridionale ridurrebbe la valenza strategica del gas azerbaigiano e dello status politico di Baku come partner privilegiato nella strategia di diversificazione della UE atta a garantire la sicurezza energetica. Questa lettura sembra avvalorata dalla posizione espressa dal presidente azerbaigiano Aliyev - nel corso di un intervista al World Economic Forum di Davos - favorevole a consentire un eventuale transito di gas russo nel gasdotto transanatolico TANAP e nel gasdotto TAP, le bretelle che attualmente compongono il Corridoio Energetico Meridionale: questo scenario implicherebbe un aumento delle esportazioni russe di gas verso la UE, senza permettere una diversificazione dei fornitori, vanificando di fatto la ratio del corridoio energetico promosso dalla Commissione Europea, concepito proprio per ridurre la dipendenza dalla Russia.

Al momento quindi, l'unica nota positiva e destinata ad incrementare le esportazioni di gas turkmeno (senza però una diversificazione dei mercati ma rafforzando la dipendenza dalla Cina) riguarda l'avvio dei lavori in Tagikistan per il completamento della linea D  del gasdotto Cina-Asia Centrale, che dovrebbe essere operativa entro il 2022. Mentre i lavori procedono a rilento in Kirghizistan ed Uzbekistan, il Tagikistan è impegnato nella realizzazione della tratta nazionale, particolarmente complessa in quanto prevede la realizzazione di 47 tunnel per oltre 400 km, data la conformazione morfologica montuosa che connota questa repubblica centroasiatica.
La linea D sarà l'unica linea all'interno del gasdotto Cina-Asia Centrale destinata a trasportare esclusivamente gas turkmeno (a differenza delle linee A, B e C che trasportano pure gas kazako e uzbeko), 30 miliardi di metri cubi, per cui la portata della rete di gasdotti dall'Asia centrale alla Cina raggiungerà 85 Gmc, 65 Gmc dei quali turkmeni. 





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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Alla-ricerca-di-nuove-rotte-d-esportazione-energetica-l-impasse-turkmena-di-Fabio-Indeo-791-ITA.asp 2020-05-11 daily 0.5