Anche se spento a mano armata, l’incendio in Kazakistan segnerà un prima e un dopo (di Lucio Caracciolo)

IL PUNTO
La destabilizzazione del paese centroasiatico è solo il più recente, colossale anello della catena di tensioni e conflitti che premono lungo i confini della Federazione Russa.
La preghiera quotidiana di ogni stratega russo o sovietico è sempre stata la regolare verifica della stabilità della sua frontiera occidentale, fonte primaria d’ogni minaccia. Fossero svedesi o polacchi, francesi o tedeschi, era di lì che sempre passavano gli invasori, prima o poi costretti a invertire la marcia lungo i rispettivi corridoi di penetrazione.

Putin non fa certamente eccezione nella pratica di questo obbligato esercizio liturgico. Ma da ieri, quando lascia galoppare la mente nella rapida perlustrazione degli sterminati confini russi, il sovrano del Cremlino deve torcere lo sguardo anche verso oriente. Per concentrarsi sul Kazakistan, scosso da una rivolta che minaccia di espandersi nella regione centroasiatica che separa e connette Russia e Cina.

Dal suo punto di osservazione, Putin vede l’incendio kazako come allargamento della manovra a tenaglia concepita dagli Stati Uniti e dai paesi antirussi della Nato (Polonia e Romania le avanguardie, oltre alle formalmente neutrali Svezia e Finlandia, con Londra aiuto regista di Washington) per rovesciare il regime di Mosca.

È l’incubo della “rivoluzione colorata”, versione sofisticata della pressione americana con cui i leader russi convivono da tre quarti di secolo. Dubitevole che in questa fase storica gli Stati Uniti, alle prese con una tempesta interna, sentano l’urgenza di rovesciare il regime russo. Ma quel che conta è la percezione di Putin e della sua squadra, aggravata dall’invisibile ma serpeggiante transizione verso una nuova leadership, ancora avvolta nelle nebbie.

In tale contesto, la destabilizzazione del Kazakistan è solo il più recente, colossale anello della catena di tensioni e conflitti che premono lungo i confini della Federazione Russa. Dalla Bielorussia all’Ucraina, dalla Georgia alle instabilità endemiche fra Caucaso e Caspio (qui Putin aveva appena finito di sedare l’ennesima fiammata del conflitto fra azeri e armeni) eccoci al massimo paese dell’Asia centrale.

Nove volte l’Italia, con solo un terzo della nostra popolazione (di cui un quinto russi, più moltissimi russofoni), il Kazakistan tocca la Russia lungo settemila chilometri di porosissima frontiera, in piena steppa. Questo paese ricco di idrocarburi e di altre risorse strategiche, tra cui l’uranio, di cui produce circa il 43% del volume globale – il triplo di Australia e Canada che l’affiancano sul podio – è il cuore dell’Asia centrale. Inaggirabile crocevia dei traffici fra Europa, Turchia, Russia e Cina. L’Italia vi possiede corposi interessi energetici. Nel 2015 ha firmato con il governo locale un impegnativo accordo di cooperazione militare.

Il rilievo strategico del Kazakistan è per Mosca tale da averla spinta a paracadutare un proprio contingente militare sul territorio del vicino in subbuglio. Classico “aiuto fraterno”, sia pur limitato, coperto dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), struttura militare che insieme a russi e kazaki comprende armeni, tagiki, bielorussi e kirghizi. Naturalmente su richiesta del presidente locale, Tokaev, il cui destino è affidato a Mosca.

Se la “rivoluzione colorata” – ammesso che tale possa definirsi il violento conflitto in corso – prevalesse, o se il Kazakistan scadesse a terra endemicamente contesa, spartita fra clan e oligarchi legati a sponsor esterni, il quadrante centro-asiatico entrerebbe in fibrillazione. Con riflessi immediati su Russia e Cina. Si spiega così il perfetto allineamento – per ora – di Mosca e Pechino contro i “terroristi”, certi che siano manipolati dall’esterno (Washington e Londra, s’intende).

La guerra delle propagande è al suo acme, tanto da rendere quasi impossibile una lettura pacata e analitica della partita kazaka, che sul fronte interno sembra involvere in regolamento di conti fra potentati rivali, una volta evaporato il vecchio padre padrone Nazarbaev, bersaglio preferito degli insorti.



Articolo pubblicato il 08 gennaio 2022

Fonte: Limes

Autori: Lucio Caracciolo

Articolo Originale: https://www.limesonline.com/rubrica/lucio-caracciolo-kazakistan-rivolta-repressione 




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