Asia Centrale e COVID-19, tra geopolitica e interdipendenza economica (di Fabio Indeo)

Anche se il numero dei contagi e delle vittime non appare paragonabile con quanto verificatosi in Italia o in generale in Occidente, il contagio da COVID-19 sta proliferando anche in Asia Centrale. Uno degli aspetti maggiormente rilevanti riguarda il differente approccio adottato dalle cinque repubbliche della regione per fronteggiare gli effetti della pandemia globale: mentre Kazakhstan, Kirghizistan ed Uzbekistan hanno adottato serie misure per contenere i contagi (imposizione di un periodo di emergenza caratterizzato dalla chiusura dei confini, delle scuole, dei trasporti pubblici), Tagikistan e Turkmenistan hanno ufficialmente dichiarato di non aver riscontrato casi di contagio da COVID-19. Questa presunta immunità delle due nazioni maggiormente autoritarie in Asia Centrale potrebbe però creare dei seri problemi nel medio termine, in quanto sia Dushanbe che Ashgabat non hanno chiuso le frontiere (anche se sembrerebbe che il presidente tagico Rahmon stia adottando alcune misure come la chiusura parziale di scuole ed asili), considerando inoltre che il vetusto sistema sanitario turkmeno non sarebbe in grado di reggere l'impatto di un eventuale numero crescente di contagi.

La combinazione tra gli effetti delle misure di emergenza adottate nella regione e nel resto del mondo (sospensione delle attività economiche, del traffico merci transfrontaliero) con l'imminente fase di recessione economica globale potrebbe avere un impatto fortemente negativo sul piano sociale ed economico in Asia Centrale, esacerbando le distorsioni esistenti in un quadro di crescente impoverimento e di latente conflittualità ed instabilità. Infatti, la sicurezza alimentare, l'industria turistica (in notevole ascesa visto il potenziale attrattivo dell'Asia Centrale), le relazioni commerciali ed energetiche (in primis con Russia e Cina ma anche tra le stesse repubbliche centroasiatiche) verranno duramente colpite dalla crisi economica in atto.

Il Kazakhstan ha immediatamente adottato delle misure economiche a supporto della popolazione e dei vari settori produttivi nazionali, grazie ai 60 miliardi di dollari allocati nel Fondo Nazionale e quindi potenzialmente disponibili per le iniziative intraprese: nel mese di Aprile, il Kazakhstan ha iniziato a risarcire i cittadini per i mancati introiti, cercando di preservare il tessuto produttivo ed economico nazionale dagli effetti nefasti del blocco globale.

Per le altre nazioni lo scenario appare molto differente, e solo con il sostegno economico ed i prestiti erogati dalle organizzazioni finanziarie internazionali (Fondo Monetario, Banca Mondiale, Banca Asiatica per lo Sviluppo, Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) sarà possibile puntellare le deboli economie centroasiatiche. Lo stesso presidente uzbeko Mirziyoyev ha emanato un decreto che consente alla nazione di richiedere prestiti agli istituti finanziari internazionali (oltre 3 miliardi di dollari) per mitigare gli effetti della pandemia, congelando temporaneamente le ambizioni di crescita economica e di sviluppo nutrite da Tashkent.
Risulta interessante analizzare il ruolo svolto dall'Unione Economica Euroasiatica (e dalla Russia) in questa fase di emergenza sanitaria, e come le decisioni assunte da questa organizzazione abbiano un' influenza sul contesto economico e sociale delle repubbliche centroasiatiche, non soltanto dei paesi membri ma anche delle tre nazioni che non fanno parte di questa organizzazione regionale.

In primis, la Commissione Economica della EAEU ha imposto il bando sull'esportazione di alcuni prodotti agricoli sino al 30 giugno, decisione che rappresenta una minaccia sostanziale alla sicurezza alimentare degli stati centroasiatici in quanto blocca le esportazioni di cereali e farina dal Kazakhstan, considerato il “granaio dell'Asia Centrale”. Il 60% del consumo cerealicolo del Tagikistan proviene dal Kazakhstan, ed anche Kirghizistan ed Uzbekistan dipendono dalle importazioni kazake. Per mitigare gli effetti di un incombente crisi alimentare, destinata ad innescare condizioni di instabilità sociale nella regione, il Kazakhstan ha stabilito delle quote di esportazione mensili - pari a 200 mila tonnellate di cereali - per coprire i bisogni delle repubbliche centroasiatiche sino ad agosto.

Inoltre, la Commissione ha deciso di rimuovere i dazi doganali relativi all'importazione di dispositivi medici ed attrezzature necessarie per combattere la diffusione del virus, imponendo altresì il bando temporaneo sull'esportazione di dispositivi per la protezione individuale ai paesi non membri EAEU. Parallelamente, Mosca ha deciso di inviare kit epidemiologici a tutte le nazioni dello spazio post-sovietico - privilegiando i tradizionali partner centroasiatici ovvero Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan - con una mossa di soft power finalizzata ad accrescere la propria influenza geopolitica nella regione.

Significativo è stato anche l'intervento di Mosca per alleviare le gravi ripercussioni economiche e sociali legate al blocco dell'attività lavorativa dei lavoratori stranieri presenti in Russia provenienti dallo spazio post sovietico, in modo particolare dall'Asia Centrale (si ritiene che circa 2 milioni di uzbeki, 700mila tagiki e 600mila kirghisi siano impiegati in attività lavorative in territorio russo), ora impossibilitati ad inviare le rimesse economiche ai loro familiari nei territori d'origine. Le rimesse dei migranti costituiscono una voce considerevole nei bilanci nazionali delle deboli economie centroasiatiche, rappresentano ad esempio il 30% del PIL del Tagikistan e vengono utilizzate per supportare l'economia locale e i consumi. Il 17 Aprile il Presidente Putin ha deciso di fornire supporto economico ai lavoratori stranieri presenti in Russia, che verranno ad esempio esentati dal pagamento mensile dei cosiddetti permessi di lavoro sino al 30 giugno: è opportuno sottolineare che i migranti kirghisi non necessitano di permessi in quanto appartenenti ad uno stato membro dell'EAEU, mentre sono obbligatori per tagiki ed uzbeki in quanto nazioni extra-EAEU.

In aggiunta agli effetti negativi provocati dalla pandemia globale sulle economie centroasiatiche, vanno considerate anche le ripercussioni provocate dal crollo del prezzo del petrolio, destinate a colpire pesantemente Kazakhstan e Turkmenistan, i due principali esportatori di idrocarburi nella regione.

La riduzione del prezzo del barile del petrolio a 20 dollari rappresenta una concreta e immediata minaccia per il Kazakhstan, in quanto nei mesi scorsi le autorità politiche avevano elaborato un bilancio nazionale nel quale gli introiti derivanti dall'esportazione del petrolio erano basati su stime di prezzo al barile pari a 55 dollari. Questa situazione implicherà minori introiti per alimentare il Fondo Nazionale, dal quale parallelamente vengono drenate risorse per finanziare le misure di supporto alla popolazione e all'economia nazionale, indebolendo lo strumento finanziario che sta permettendo al Kazakhstan di affrontare la crisi. Per quanto concerne il Turkmenistan, il problema risiede nel fatto che i prezzi di vendita del gas naturale seguono quelli del petrolio: si prevede quindi un ulteriore riduzione dei prezzi di vendita del gas naturale turkmeno (di fatto già bassi: Mosca paga 110 dollari per mille metri cubi mentre Pechino 185 dollari), scenario destinato a ripercuotersi negativamente sul bilancio nazionale, dove gli introiti derivanti dalla vendita del gas rappresentano il 70-80% del totale.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Asia-Centrale-e-COVID-19--tra-geopolitica-e-interdipendenza-economica-di-Fabio-Indeo-792-ITA.asp 2020-05-11 daily 0.5