Asia Centrale e Taliban verso una normalizzazione delle relazioni? (Fabio Indeo)
La creazione dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, conseguente alla presa del potere dei Taliban, ha innescato una profonda trasformazione nello scenario geopolitico della regione, all’interno del quale prevalgono le preoccupazioni inerenti la questione securitaria. Le cinque repubbliche centroasiatiche - in modo particolare Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan che condividono il confine con questa martoriata nazione - monitorano attentamente l’evoluzione in atto in Afghanistan, al fine di evitare ripercussioni sulla stabilità interna determinate dalla necessità di gestire un consistente flusso di rifugiati e potenziali incursioni destabilizzanti di terroristi armati all’interno dei confini nazionali.
Si rileva tuttavia come queste nazioni stiano adottando un approccio differente nei confronti del nuovo regime Talebano, nel quale si alternano il rafforzamento della risposta militare al confine - spesso in collaborazione con la Russia - ed un attivismo politico-diplomatico orientato ad intavolare negoziati con la nuova leadership politica afgana sulle questioni di interesse strategico (sicurezza regionale, lotta al terrorismo, interconnettività).
In questi ultimi mesi i Taliban hanno cercato di rassicurare la comunità internazionale e gli attori regionali sulle loro intenzioni ed obiettivi politici, ovvero realizzare un Emirato Islamico all’interno dei confini nazionali e di non avere delle mire transnazionali: in conformità con gli accordi di pace di Doha tra Stati Uniti e Taliban, questi ultimi si impegnano formalmente a combattere gruppi terroristici (soprattutto IS-K, Stato Islamico-Khorasan ovvero la fazione di foreign fighters affiliati a Daesh creatasi nella regione, ma anche Al Qaeda) che possono rappresentare una minaccia alla sicurezza dei paesi confinanti, evitando un loro radicamento in Afghanistan. Tuttavia, l’attacco terroristico all’aeroporto di Kabul rivendicato da IS-K ha messo in luce le difficoltà dei Taliban di garantire la sicurezza sul piano domestico, con possibili ripercussioni ed implicazioni sul contesto regionale.
Le nazioni centroasiatiche temono infatti infiltrazioni di gruppi armati che possano condurre azioni destabilizzanti con l’obiettivo di rovesciare i regimi laici e secolari che si sono costituiti nello spazio post-sovietico. A rafforzare questi timori, la presenza di militanti di etnia centroasiatica non soltanto nelle fila di IS-K ma anche a supporto dei Taliban, all’interno di gruppi terroristici come Jamaat Ansarullah (fondato in Tagikistan) e il “risorto” Movimento Islamico dell’Uzbekistan.
Le notizie sull’attivismo dei cosiddetti “Talebani tagichi” nei territori di confine tra Afghanistan e Tagikistan, nella temuta prospettiva che possano condurre atti terroristici o incursioni armate oltre confine, hanno contribuito ad accentuare la posizione di profonda diffidenza del presidente Rahmon verso i nuovi governanti di Kabul. Agli inizi di luglio, quando cominciarono gli sconfinamenti delle forze di sicurezza afgane in fuga dai Taliban, il presidente tagiko Rahmon ordinò l’invio di 20 mila soldati per rafforzare il controllo al confine, mentre alla fine del mese il Tagikistan organizzò una vasta esercitazione militare su scala nazionale (oltre 100mila effettivi coinvolti).
Tra le nazioni centroasiatiche il Tagikistan è l’unica nazione che si oppone fermamente ad un progressivo riconoscimento e legittimazione del governo Taliban, in quanto non inclusivo delle varie minoranze etniche presenti in Afghanistan, in modo particolare di quella tagika, (la seconda del paese dopo l’etnia Pasthun) che rappresenta il 27% della popolazione afgana.
Le altre repubbliche centroasiatiche hanno mostrato un atteggiamento maggiormente collaborativo, improntato sulla necessità di iniziare un dialogo politico con i Taliban che permetta di risolvere le principali criticità, come la gestione del flusso di rifugiati, che potrebbe aumentare a causa del progressivo peggioramento del tessuto economico nazionale afgano legato al congelamento dei fondi all’estero.
Queste posizioni sono emerse anche nel corso dei recenti summit delle organizzazioni multilaterali di sicurezza regionale (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e Organizzazione della Cooperazione di Shanghai), dove parallelamente alla necessità di rafforzare la sicurezza ai confini, le nazioni centroasiatiche hanno evidenziato l’opportunità di instaurare un dialogo con la nuova leadership talebana e di scongelare i fondi afgani bloccati all’estero, condizioni che riflettono chiaramente i loro interessi geopolitici ed economici legati alla cooperazione con questa nazione e ai vantaggi legati alla progressiva integrazione di questa nel contesto regionale.
Soprattutto Uzbekistan e Turkmenistan stanno promuovendo un’attività diplomatica e di dialogo nei confronti dei Taliban, che non rappresenta una conseguenza dettata dal nuovo assetto geopolitico in divenire ma che in realtà riflette un orientamento che Tashkent ed Ashgabat perseguono da tempo. Per Uzbekistan e Turkmenistan infatti, l’Afghanistan costituisce uno snodo geografico-strategico di fondamentale importanza, per promuovere i corridoi economici, energetici e di trasporto che consentiranno alle repubbliche centroasiatiche di accedere a nuovi mercati, attuando una vitale diversificazione economica: il collegamento ferroviario Termez-Hairaton-Mazar I Sharif (e la sua futura estensione al Pakistan o/e verso l’Iran), il gasdotto TAPI (dal Turkmenistan al Pakistan ed India attraverso l’Afghanistan), l’elettrodotto TAP (che ricalca lo stesso tracciato), il corridoio economico Lapis Lazuli (dall’Afghanistan attraverso il Turkmenistan sino al Caucaso e la UE) sono dei progetti infrastrutturali che richiedono come conditio sine qua non uno scenario di stabilità e sicurezza nel quale vengano garantiti gli investimenti e la regolarità (senza interruzioni) dei traffici.
Nonostante non confini con l’Afghanistan, un esigenza analoga è stata espressa dal presidente kazako Tokayev, in quanto la condizione di instabilità regionale e la mancanza di liquidità del nuovo governo Taliban hanno in sostanza inciso negativamente sulle esportazioni di grano dal Kazakhstan all’Afghanistan, che transitano attraverso il territorio uzbeko, rilevanti per l’economia nazionale in quanto rappresentano 2/3 del totale delle esportazioni di frumento.
Recentemente anche il Kirghizistan ha adottato questo approccio fondato sulla normalizzazione dei rapporti con i Taliban, inviando una delegazione a Kabul per discutere di questioni di interesse comune.
In questa fase di consolidamento del potere dei Taliban, da parte delle repubbliche centroasiatiche (ad eccezione del Tagikistan) sembra prevalere un approccio improntato sulla realpolitik – in primis Uzbekistan e Turkmenistan ma un orientamento condiviso anche dai due maggiori attori regionali, Cina e Russia - ovvero sulla disponibilità a dialogare con i Taliban, riconoscendo loro legittimità come interlocutore istituzionale, in cambio del loro impegno a combattere i gruppi terroristici presenti nel territorio nazionale e ad evitare incursioni transfrontaliere, garantendo altresì stabilità e sicurezza, precondizione essenziale per la piena implementazione e per il successo dei progetti di interconnettività e cooperazione regionale.
(tratto da: https://www.dw.com/en/afghanistan-district-after-district-falls-to-the-taliban/a-57939556)