Cooperazione energetica nel bacino del Caspio: l’accordo sul giacimento di Dostluk (di Fabio Indeo)

Nelle scorse settimane, Turkmenistan ed Azerbaigian hanno stipulato un accordo in ambito energetico che può essere considerato storico, in quanto implica il potenziale superamento di uno dei principali ostacoli che si frapponevano ad una concreta cooperazione tra le due nazioni del Caspio nel settore dell’oil&gas, aprendo la strada all’auspicato coinvolgimento del Turkmenistan nel Corridoio Energetico Meridionale.

Il 21 gennaio, il presidente Turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov e il suo omologo azerbaigiano Ilham Aliyev hanno siglato - in videoconferenza -  una dichiarazione di intenti (Memorandum of Understanding) nella quale le parti hanno trovato un accordo per l’esplorazione congiunta - e per la futura commercializzazione degli idrocarburi estratti - del giacimento offshore di Dostluk (“amicizia”) nel bacino del Caspio.

Questo accordo sembra porre fine di fatto ad una disputa trentennale che ha contrapposto Baku ed Ashgabat sin dal raggiungimento dell’indipendenza nazionale, conseguenza della ridefinizione amministrativa e politica del bacino del Caspio: infatti, sino al 1991 il Caspio era stato considerato come una sorta di “lago” russo-iraniano, mentre ora si configurava come un bacino sul quale avanzavano le proprie rivendicazioni i cinque stati rivieraschi (tra i quali le recenti repubbliche indipendenti dell’Azerbaigian, Kazakhstan e Turkmenistan).

Il  giacimento conteso di Dostluk - chiamato  “Kyapaz” dall’ Azerbaijan e “Sardar” dal Turkmenistan - si trova sulla  linea di confine marittima che separa le due nazioni, assieme agli altri due giacimenti di Azeri e Chirag (chiamati dai turkmeni Omar e Osman). In attesa di una definizione condivisa del bacino del Caspio e dei confini marittimi, tra il 1997 e il 2002 l’Azerbaigian decise di procedere in maniera autonoma allo sviluppo energetico dei giacimenti Azeri e Chirag, con l’ausilio di un consorzio internazionale guidato dalla British Petroleum. Assieme al giacimento vicino di Guneshli, questi 3 giacimenti offshore coprono il 70% della produzione azerbaigiana di petrolio (779mila barili prodotti giornalmente nel 2019 secondo il report annuale della BP) con riserve di circa 7 miliardi di barili. Questa decisione autonoma dell’Azerbaigian provocò un forte risentimento da parte del Turkmenistan, che nel 2008 rilasciò una licenza alla compagnia Buried Hill per svolgere attività di prospezione sismica nel giacimento di Serdar, anche se poi Baku ed Ashgabat si accordarono per congelare il suo sfruttamento sino alla risoluzione della disputa inerente la proprietà.

L’importanza di questo recente accordo non risiede tanto sulla portata delle riserve di idrocarburi - 1,4 miliardi di barili e 13 miliardi di metri cubi (Gmc, di gas naturale) - ma sulle conseguenze geopolitiche che sono alla base di una rinnovata cooperazione energetica tra Turkmenistan ed Azerbaigian, soprattutto a seguito della Convenzione sul Bacino del Caspio dell’agosto 2018 -  che rende possibile (almeno sulla carta) la creazione di un gasdotto transcaspico - e dell’avvio del gasdotto Trans Adriatico (TAP) nel dicembre 2020.

Il TAP rappresenta infatti la necessaria bretella infrastrutturale del Corridoio Energetico Meridionale promosso dall’Unione Europea, che consente al gas azerbaigiano estratto dal giacimento offshore di Shah Deniz di arrivare sui mercati italiani, greci e bulgari, attraverso il transito nel gasdotto Transanatolico (TANAP) che connette l’Azerbaigian con la Turchia. Al fine di potenziare ed ampliare la capacità di trasporto del Corridoio Energetico Meridionale, raggiungendo l’ambizioso obiettivo di 60 Gmc all’anno, sussiste la necessità strategica di coinvolgere il Turkmenistan (o eventualmente altri produttori regionali), nazione che detiene le quarte maggiori riserve gassifere al mondo: infatti, l’Azerbaigian non dispone di riserve e capacità di produzione tali da soddisfare in maniera autonoma un tale incremento dei volumi trasportati.

Il clima di crescente fiducia e la cooperazione energetica in fieri tra le due nazioni sembra creare i presupposti favorevoli per la realizzazione del gasdotto transcaspico: basti considerare che, concretamente, l’accordo per lo sviluppo congiunto del giacimento offshore di Dostluk implicherà la necessità di creare il primo collegamento infrastrutturale diretto tra le due nazioni.

Tuttavia, in aggiunta alle tradizionali “resistenze” della Russia e dell’Iran sulla realizzazione di un gasdotto sottomarino attraverso il Caspio - motivate da preoccupazioni di natura ambientale ma in realtà riconducibili a questioni puramente geopolitiche e di concorrenza sui medesimi mercati energetici -  il problema degli investimenti e della domanda globale di energia potrebbero raffreddare i facili entusiasmi.

Nonostante il presidente azerbaigiano guardi con favore ad un rafforzamento della cooperazione energetica ed abbia espresso piena disponibilità a consentire il transito delle esportazioni di gas turkmeno attraverso il territorio nazionale, egli ha espressamente chiarito che spetterà ad Ashgabat trovare i fondi e gli investimenti necessari per la realizzazione del collegamento infrastrutturale con l’Azerbaigian (ovvero il gasdotto sottomarino transcaspico), sul modello dello sforzo fatto dal governo di Baku e dalla compagnia nazionale SOCAR nella realizzazione del TAP e del TANAP.

Nel 2015 il governo turkmeno aveva finanziato interamente (2,5 miliardi di dollari) la realizzazione del gasdotto est-ovest, concepito per trasportare il gas estratto dai principali giacimenti delle province orientali sulle coste del Caspio, con l’obiettivo di alimentare un corridoio d’esportazione orientato verso i mercati europei. Tuttavia, considerando la profonda crisi economica che attanaglia attualmente la nazione centroasiatica, appare irrealistico ipotizzare che riesca a finanziare la realizzazione della condotta sottomarina dal porto di Turkmenbashi a quello di Baku.

Inoltre, la perdurante pandemia globale legata al covid19 ha prodotto un impatto devastante sui mercati energetici mondiali, con un crollo della domanda di idrocarburi e una forte riduzione dei prezzi, che hanno di fatto ridotto i margini di guadagno dei paesi esportatori: secondo diversi esperti ed analisti, lo scenario energetico post covid sarà improntato alla promozione della transizione ecologica, con una sostanziale prevedibile riduzione dei combustibili fossili, condizioni che congelerebbero la realizzazione di progetti infrastrutturali (ad esempio il gasdotto transcaspico) che stentavano comunque a decollare.

In quest’ottica, anche la realizzazione della linea D del gasdotto Cina-Asia Centrale - destinato a trasportare esclusivamente gas turkmeno (a differenza delle altre condotte che trasportano pure gas uzbeko e kazako) attraverso Kirghizistan e Tagikistan – sembra destinato a perdere rilevanza strategica per la Cina: infatti Pechino ha notevolmente incrementato le importazioni di gas naturale liquido via mare (in primis dall’Australia) e si accinge a beneficiare delle importazioni di gas russo grazie all’avvio del gasdotto Power of Siberia, ridimensionando il ruolo del Turkmenistan come fornitore di gas naturale.

Problema analogo anche per quanto concerne i mercati europei, per il plausibile scenario energetico post-pandemico fondato su una domanda ridotta e progressivamente soddisfatta da crescenti importazioni di GNL dagli Stati Uniti, dalle prospettive di sviluppo del gasdotto nel Mediterraneo Orientale (nonostante l’attuale congiuntura economica renda difficili investimenti massicci per la realizzazione di nuove infrastrutture) e soprattutto dalle recenti importazioni provenienti dall’Azerbaigian lungo il corridoio energetico meridionale.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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