Cooperazione militare in Asia Centrale: il Tagikistan tra Mosca e Pechino (di Fabio Indeo)

Nelle scorse settimane le repubbliche centroasiatiche (eccetto il Turkmenistan) sono state coinvolte in una serie di esercitazioni militari nell’ambito dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), con l’obiettivo di rafforzare le loro capacità di fronteggiare minacce destabilizzanti o scenari di crisi legati all’attuale situazione in Afghanistan.

Le esercitazioni militari congiunte Combat Brotherhood 2021 dell’OTSC (che hanno coinvolto oltre 4mila militari, aerei ed elicotteri) si sono svolte nel Tagikistan meridionale, in prossimità del confine con l’Afghanistan, scelta logistica che ha permesso a Mosca di fornire rassicurazioni all’alleato centroasiatico sull’impegno e la capacità del blocco regionale di proteggere l’integrità territoriale e la sovranità degli stati membri, con l’obiettivo di formare una sorta di rete di protezione attorno al Tagikistan per impedire destabilizzanti incursioni terroristiche, traffici illeciti di armi, droga, persone. 

L’otto novembre, la città russa di Kazan ha ospitato un esercitazione congiunta che ha coinvolto le forze di peacekeeping dell’OTCS nell’esercitazione chiamata Indestructible Brotherhood-2021, volta a consolidare un sistema di sicurezza collettiva a guida OTSC: a queste esercitazioni hanno contribuito direttamente Tagikistan, Kirghizistan e Kazakhstan (come membri OTSC), mentre rappresentanti del governo uzbeko sono stati invitati alla fase finale delle esercitazioni. Il contingente OTSC impegnato in operazioni di peacekeeping ammonta a circa 3600 unità ed è composto sia da militari che da personale civili: è interessante osservare come l’obiettivo dell’esercitazione rifletta concretamente uno dei principali problemi che gli attori regionali sono costretti a fronteggiare, ovvero la gestione di un flusso di migranti provenienti dall’Afghanistan. Infatti, nel corso di questa esercitazione, le forze di peacekeeping OTSC sono state impegnate nella creazione e protezione di un campo profughi (attraverso l’organizzazione di posti di blocco), nell’organizzazione di attività di distribuzione di aiuti umanitari e in operazioni preventive di monitoraggio e controllo al fine di contenere eventuali azioni illegali.

Alla luce della potenziale instabilità in Afghanistan, l’attivismo russo conferma e legittima il ruolo di Mosca come indiscusso garante della sicurezza regionale, sia attraverso la cooperazione bilaterale con le repubbliche centroasiatiche e sia in una dimensione multilaterale (in ambito OTSC). Inoltre, l’effettiva presenza di un ombrello protettivo-securitario russo di fatto renderebbe vane le iniziative statunitensi e della NATO di ottenere in concessione delle basi militari in Asia Centrale, in funzione di monitoraggio preventivo e di contenimento delle minacce terroriste rappresentate dai combattenti arruolati dallo Stato Islamico-Khorasan (ISKP). Alla fine di ottobre, il ministro degli esteri russo Lavrov ha ribadito questo principio, rivolto soprattutto alle nazioni confinanti con l’Afghanistan e in modo particolare all’Uzbekistan, avvantaggiato da una posizione geopolitico-strategica che in passato è stata funzionale agli Stati Uniti e alla NATO nell’implementazione del Northern Distribution Network, originariamente concepito per il supporto alla missione militare in Afghanistan. Tuttavia, va anche sottolineato che queste dichiarazioni di Mosca rappresentano un modo per affermare come lo spazio post sovietico ricada ancora nella sfera d’influenza securitaria russa, anche perché Kirghizistan, Tagikistan e Kazakhstan - in quanto stati membri dell’OTSC - non possono ospitare basi straniere, mentre Uzbekistan e Turkmenistan dovrebbero modificare i principi fondamentali della loro politica estera, e non appaiono intenzionate a farlo.

Sul piano diplomatico, durante i Colloqui di Mosca sull’Afghanistan - ai quali hanno partecipato tutte e cinque le repubbliche centroasiatiche (oltre a Cina, Iran, Pakistan) la Russia ha ribadito la propria posizione di apertura nei confronti dei Taliban, e del probabile futuro riconoscimento del loro governo in virtù dei risultati temporaneamente conseguiti, soprattutto per quanto concerne il loro impegno ad evitare che la nazione sia rifugio per terroristi intenzionati a destabilizzare le repubbliche circostanti. In precedenza, durante il suo discorso in videoconferenza al summit della Comunità degli Stati Indipendenti, il presidente russo Putin ha messo in guardia le repubbliche centroasiatiche sulla minaccia rappresentata da ISKP, che avrebbe a disposizione migliaia di miliziani in territorio afgano, oltre duemila dei quali stanziati nelle province settentrionali del paese, in prossimità dei confini con Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Secondo Putin, i jihadisti sarebbero pronti a mescolarsi con i migranti in fuga dall’Afghanistan per rinfocolare tensioni interetniche e alimentare la conflittualità nello spazio post sovietico.

Nel frattempo, anche la Cina continua a rafforzare la propria presenza militare nella regione, con l’obiettivo di prevenire incursioni armate dall’Afghanistan (e dall’Asia Centrale) finalizzate a destabilizzare la provincia autonoma dello Xinjiang, snodo strategico dei corridoi energetici e commerciali all’interno della Belt and Road Initiative.

Il Tagikistan appare uno dei principali partner nella cooperazione militare intrapresa da Pechino: nelle ultime settimane, Dushanbe ha (indirettamente) confermato la presenza militare cinese nel territorio nazionale, in una base stanziata nella regione di Murghab, in prossimità del confine afgano, postazione che permette a Pechino di controllare lo strategico corridoio di Wakhan. Consapevole della vulnerabilità dell’architettura di sicurezza regionale e della difficoltà di sigillare i 1300 km di confine con l’Afghanistan, il presidente tagiko Rahmon avrebbe richiesto alla Cina finanziamenti e supporto per la costruzione di un posto di polizia nei pressi di Vakhon - nella provincia autonoma del Gorno-Badakhshan sempre lungo il confine tra Afghanistan e Tagikistan - punto nevralgico per la sicurezza cinese dal quale monitorare non solo il corridoio di Wakhan ma anche la provincia settentrionale pakistana del Khyber Pakhtunkhwa. In questa installazione (ed in altre più piccole) verrebbero stanziate forze di polizia paramilitare di reazione rapida, per meglio fronteggiare il peculiare tipo di minaccia proveniente dall’Afghanistan (es. incursioni improvvise di jihadisti, traffici di armi ed esplosivi). In cambio, il Tagikistan sarebbe disposto a trasferire il controllo della base nella regione di Murghab in mano cinese, senza pretendere canoni d’affitto ma a titolo gratuito. 

La mancata reazione della Russia di fronte alle dichiarazioni che ufficializzano la presenza militare cinese in Tagikistan certifica da un lato il superamento di quella formula della “divisione del lavoro” tra Mosca e Pechino in Asia Centrale, con la Russia impegnata a garantire la sicurezza e la stabilità, mentre la Cina maggiormente interessata a promuovere le relazioni economiche e la cooperazione commerciale: allo stato attuale, gli interessi strategici cinesi nella regione e gli investimenti effettuati (infrastrutture, pipelines) spingono Pechino ad intervenire direttamente rafforzando la cooperazione in ambito militare-securitario per proteggere i propri asset.

D’altro lato, il tacito assenso russo può essere interpretato come la volontà di coinvolgere i maggiori attori regionali nella costituenda architettura di sicurezza regionale, per stabilizzare l’Afghanistan e sconfiggere il terrorismo jihadista dell’ISKP.

A differenza delle altre repubbliche centroasiatiche - che al momento prediligono un approccio dialogante e di apertura nei confronti dei Taliban - il Tagikistan appare fortemente preoccupato dalla situazione in Afghanistan, e continua a considerare i Taliban una minaccia destabilizzante.

Le preoccupazioni tagike appaiono fondate sulla base delle notizie che sono filtrate secondo le quali i Taliban avrebbero fornito armi ed equipaggiamento ai militanti tagiki di Jamat Ansarullah (noti come i Taliban tagiki) stanziati nelle province settentrionali dell’Afghanistan, che di fatto rappresentano quindi una minaccia incombente sui confini nazionali e sulla stabilità interna.

Nonostante i Taliban abbiano smentito, la volatilità in ambito securitario sembra destinata ad accentuarsi, anche perché non sembra da escludere l’ipotesi che alcuni attori (Rahmon, la Russia) stiano strumentalmente enfatizzando le potenziali minacce esistenti con l’obiettivo di perseguire i propri fini geopolitici: nel caso del Tagikistan, accrescere il proprio ruolo come partner privilegiato nella regione sia per Mosca che per Pechino, attirando investimenti e rafforzando la leadership interna. 




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Cooperazione-militare-in-Asia-Centrale-il-Tagikistan-tra-Mosca-e-Pechino-di-Fabio-Indeo-1019-ITA.asp 2021-12-23 daily 0.5