Da Trump a Biden: la strategia statunitense in Asia Centrale (di Fabio Indeo)

Nonostante la regione non rappresenti una priorità strategica nella politica estera americana, la posizione che la nuova Amministrazione Biden assumerà nei confronti dell’Asia Centrale riveste una certa rilevanza, soprattutto nella ridefinizione degli equilibri geopolitici volti ad un contenimento dell’influenza sino-russa nell’area.

In realtà, Biden non appare intenzionato ad apportare sostanziali cambiamenti alla Strategia degli Stati Uniti per l’Asia Centrale 2019-2025 - adottata nel febbraio 2019 dal suo predecessore - anche perché gli obiettivi chiave di Washington nella regione rimangono inalterati, ovvero promuovere la sovranità, l’indipendenza e l'affermarsi di governi democratici; la risoluzione dei conflitti regionali; rafforzare la cooperazione politica ed economica regionale, affinché prevalgano i principi dell’economia di mercato nella sfera energetica e dello sviluppo delle risorse naturali. La strategia sottolinea come la regione Asia Centrale sia vitale da un punto di vista geostrategico per la protezione degli interessi di sicurezza nazionale statunitensi, slegandoli però dal livello di coinvolgimento americano in Afghanistan: infatti, da un lato si evidenzia come le cinque repubbliche centroasiatiche debbano essere considerate come parte integrante di una regione indipendente, mentre dall’altro lato l’Afghanistan non deve rappresentare un fattore decisivo nelle relazioni tra Stati Uniti ed Asia Centrale.
Questa iniziativa si innesta nel format C5+1, ovvero la cornice di cooperazione inclusiva con le repubbliche centroasiatiche lanciata dagli Stati Uniti nel 2015, strutturatasi nel corso degli anni secondo degli assi strategici fondamentali come la collaborazione per lanciare azioni congiunte contro il terrorismo, promuovere la competitività economica, lo sviluppo dei corridoi di trasporto.

La nuova strategia americana per l’Asia Centrale ha trovato infatti spunto dal mutato quadro geopolitico nella regione, in modo particolare a seguito dell’ascesa al potere del presidente uzbeco Mirziyoyev (successore di Islam Karimov), fautore di una politica di cooperazione economica e diplomatica  improntata sul miglioramento delle relazioni bilaterali con le repubbliche circostanti: per Washington, questa rinnovata propensione al dialogo centroasiatico rappresenta un’attraente “finestra d’opportunità” per rivitalizzare la presenza americana nella regione in termini economici e diplomatici, a seguito della progressiva marginalizzazione legata alla conclusione del progetto del Northern Distribution Network nel 2014 (corridoio logistico principalmente concepito per approvvigionare le truppe statunitensi impegnate in Afghanistan, che attraversava le repubbliche centroasiatiche beneficiarie a loro volta di investimenti, diritti di transito, accordi di cooperazione commerciale e di partnership militare).

Per queste ragioni, nella strategia di Biden l’Uzbekistan continuerà a svolgere un ruolo chiave nella regione, non soltanto come affidabile interlocutore nel dialogo politico o per considerazioni di natura economico-commerciale, ma anche per supportare gli sforzi volti ad inserire l’Afghanistan in un ampio quadro di cooperazione economica ed energetica che includa anche l’Asia Meridionale (India e Pakistan) e come tassello o hub logistico dei progetti infrastrutturali per rafforzare l’interconnettività regionale: l’Uzbekistan infatti è l’unica nazione ad avere una linea ferroviaria con l’Afghanistan, Termez-Hairaton-Mazar I Sharif, costruita nel 2009 anche grazie al supporto finanziario dagli Stati Uniti come snodo infrastrutturale strategico nell’ambito del Northern Distribution Network, mentre altri importanti progetti (in primis la sezione ferroviaria del corridoio Lapis Lazuli, che dall’Afghanistan attraverserà il Turkmenistan, il Caspio ed il Caucaso prima di arrivare in Europa) sono in corso di realizzazione.

A differenza dalla precedente Amministrazione, dalle prime dichiarazioni del nuovo Presidente Biden traspare la volontà di intraprendere un approccio maggiormente improntato sul tema della protezione dei diritti umani, sul rafforzamento della rule of law e sulla promozione di un processo di democratizzazione. Biden ha espresso forti critiche nei confronti della Cina in relazione alla  situazione degli Uiguri nella provincia autonoma dello Xinjiang, tema che necessariamente si riflette anche nelle relazioni con tre delle cinque repubbliche centroasiatiche in quanto Kazakhstan. Kirghizistan e Tagikistan confinano con lo Xinjiang: inoltre, in queste nazioni risiedono comunità di Uiguri sulle quali la Cina vorrebbe estendere un controllo preventivo in termini securitari, esigenza che spinge Pechino ad esercitare delle pressioni su questi stati (ad esempio per il loro rimpatrio) che di fatto condizionano alcune loro decisioni di politica interna ed estera.

Come in passato, il rinnovato interesse statunitense e la volontà di approfondire la collaborazione viene vista con favore dalle repubbliche centroasiatiche, in quanto consente di bilanciare l’influenza sino-russa attraverso il rafforzamento delle relazioni con un partner alternativo che rappresenta la maggiore potenza globale, potenzialmente capace perciò di realizzare investimenti per lo sviluppo agricolo ed industriale e di costituire un partner in ambito securitario, per rafforzare la stabilità sul piano nazionale e regionale. 

Allo stesso tempo, un eccessiva enfasi dell’Amministrazione Biden sul tema della democratizzazione, autoritarismo, diritti umani, rule of law rischia di raffreddare la volontà di collaborazione dei governanti centroasiatici, in quanto verrebbe percepita come un indebita ingerenza esterna nelle questioni politiche nazionali: in sostanza, si ripeterebbe lo scenario del 2005, quando a seguito della cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan gli Stati Uniti vennero percepiti come la “longa manus” delle “rivoluzioni colorate” avvenute nello spazio post-sovietico - a causa del loro continuo richiamo alla tutela dei diritti umani e al processo di democratizzazione - favorendo un deciso irrigidimento dei governanti centroasiatici verso la collaborazione con Washington.

L’involuzione attualmente in corso in Kirghizistan rappresenterà il primo significativo banco di prova per Biden in Asia Centrale: infatti, la nazione sta vivendo la sua terza “rivoluzione” (innescata da moti popolari che contestavano il regolare svolgimento delle elezioni legislative) nella quale è emersa - grazie ad una campagna di intimidazione e violenza – la figura di Japarov (liberato dal carcere dai suoi seguaci nei giorni dell’insurrezione) il quale attualmente concentra nelle proprie mani la carica di presidente ad interim e di primo ministro, ed è pronto ad emendare la costituzione per poter correre alle presidenziali ed imprimere una svolta presidenzialista alla nazione un tempo definita “isola della democrazia” in Asia Centrale.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Da-Trump-a-Biden-la-strategia-statunitense-in-Asia-Centrale-di-Fabio-Indeo-873-ITA.asp 2020-12-02 daily 0.5