Dopo l'attentato di Aktobe molte questioni rimangono aperte (di Catherine Putz)

Astana sta cercando all’estero i colpevoli per i fatti di violenza dello scorso fine settimana. Le autorità ad Aktobe hanno riportato che i cinque militanti sospettati sono stati uccisi durante l’irruzione nell’appartamento dove presumibilmente si erano nascosti dopo gli attacchi della scorsa domenica. 

I parlamentari di Majilis sono stati ospiti del podcast di Muhammad Tahir per RFE/RL all’inizio della settimana ed hanno riferito che si sa molto poco in merito agli attacchi dello scorso weekend. Precedentemente le autorità avevano comunicato che sei aggressori rimanevano in libertà. Se togliamo i cinque che secondo le notizie sono stati uccisi venerdì, ne rimane solo uno – un numero sempre in diminuzione di quelli che possono far luce sulla motivazione degli attacchi ad Aktobe. Le autorità avrebbero preso alcuni aggressori in custodia, ma è stato riferito poco in merito al loro stato o alle spiegazioni che avevano dato alle autorità. 

Reuters ha scovato alcuni nomi che circolano nei media kazaki, che presumibilmente sono collegati agli aggressori. Uno dei nomi, Rustem Omarov, è associato al profilo del social network VKontakte, dove tra aprile e giugno è stato condiviso un video in russo che promuoveva l’ISIS. Almeno questo può fornire un indizio di quale potrebbe essere stata la loro motivazione, ma non necessariamente li lega direttamente alla grande rete ISIS. 

Il racconto del governo kazako ha assunto connotati già familiari, sostenendo che il gruppo è stato organizzato dall’estero. Con un numero di vittime pari a 25 (principalmente costituito dagli aggressori stessi), questi attacchi ad Aktobe sono diventati l’incidente più grave della recente storia della regione. Il Presidente Nursultan Nazarbayev ha intensificato le accuse nei confronti dei cospiratori stranieri, fornendo al governo nel corso dell’incontro del Consiglio per la Sicurezza le istruzioni per aumentare il monitoraggio dei finanziamenti stranieri destinati alle società ed ai cittadini kazaki. Ha citato gli Stati Uniti, l’Israele e la Germania come esempi di paesi che hanno leggi che rendono possibile la trasparenza dei finanziamenti stranieri, ma come ho già spiegato precedentemente in relazione al cosiddetto progetto di legge sugli agenti stranieri nel confinante Kyrgyzstan, l’analogia non è così semplice. Se un’organizzazione straniera stesse finanziando i terroristi all’interno del Kazakistan, non invierebbe denaro attraverso i canali ufficiali. 

Come sottolinea Bruce Pannier nel podcast, questo racconto non collima con le prove disponibili. “Pare che non ci sia stata tanta pianificazione,” spiega Pannier, sottolineando il fatto che la prima azione degli aggressori era stata quella di rapinare un negozio di armi. “Quindi è ovvio che non avevano armi e non avevano soldi per comprarle”. Inoltre, evidenzia che tanti degli aggressori ripresi dalle telecamere CCTV portavano i fucili. Ciò contrasta con gli attacchi terroristici verificatisi altrove, nel corso dei quali le pistole automatiche erano le armi scelte dal nucleo dell’ISIS e dai loro sostenitori (ad esempio a Parigi). In più, gli uomini non erano vestiti per un ben organizzato attacco terroristico: uno portava una felpa arancione, un altro un giubbotto azzurro. 

La lista dei dettagli che non conosciamo in merito agli attacchi ad Aktobe è molto lunga. Come erano organizzati? Come si conoscevano? Chi o quale gruppo ha pianificato (male, direi) l’attacco? Perché lo hanno in quel momento? Quali sono stati i loro obiettivi finali?

Su quest’ultima domanda, Aigerim Toleukhanova, la corrispondente per “The Conway Bulletin” e EurasiaNet fornisce un po’ di indizi nel podcast: “Anche se non hanno detto niente, le azioni hanno parlato per loro. Hanno aggredito … i luoghi ufficiali, come i palazzi militari, quindi è come se avessero attaccato il governo.” In particolare, i tre civili che sono stati uccisi sono un impiegato, una guardia di sicurezza ed un cliente dei negozi di armi (che sono stati descritti anche come negozi per la caccia oppure, con meno precisione, magazzini delle armi). Quando gli aggressori hanno sequestrato un pullman di pendolari hanno fatto scendere i passeggeri prima di farlo schiantare contro il cancello della base militare. Mentre nessun gruppo si è dichiarato responsabile degli attacchi, la scelta dell’obiettivo ed il modo di esecuzione sono indicativi di un’operazione scarsamente organizzata e finanziata scatenata dalla rabbia nei confronti dello Stato. È evidente che ci sono seri problemi che il Kazakistan deve affrontare in merito a come il suo apparato di sicurezza individua e risponde agli attacchi di violenza e di terrorismo interno, ma è più verosimile che lo Stato continuerà a focalizzarsi sui fattori esterni.




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