Foreign fighters in Asia Centrale. Mito o realtà? (di Lorena Di Placido)

Per le repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, la principale causa di instabilità regionale deriva comunemente dalla critica situazione di sicurezza dell’Afghanistan, paese dal quale proliferano traffici illeciti capaci di contaminare i vicini (per poi diffondersi anche al di fuori del mero ambito regionale), nonché porto sicuro per gli estremisti religiosi dei gruppi radicali messi al bando nei paesi d’origine, che negli anni passati hanno trovato rifugio nelle aree tribali al confine con il Pakistan. Con la prospettiva del ritiro della coalizione multinazionale dall’Afghanistan (entro la fine del 2016), in Asia Centrale si è rafforzata la consapevolezza che dal minore controllo sulla sicurezza di quel paese deriverà verosimilmente un aumento del radicalismo (oltre che della criminalità) nei paesi vicini. 
Sul finire del 2014, tuttavia, una ulteriore minaccia per la sicurezza si sta concretizzando proprio all’interno di Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, che si sono scoperti vulnerabili a una predicazione jihadista orientata al reclutamento di combattenti da inviare nel teatro di crisi costituito da Siria e Iraq.
Il fenomeno, che risulta essere in una fase di rapida evoluzione, costituisce almeno per un duplice ordine di motivi una grave preoccupazione per i governi locali, da sempre impegnati a reprimere derive estremiste di qualsivoglia genere e a dettare forme controllo variamente invasive sulle attività religiose. Infatti, i foreign fighters (come vengono comunemente identificati i jihadisti reclutati all’estero) da un lato conducono un’attività di predicazione radicale già di per sé foriera di destabilizzazione, ma con l’aggravante di essere orientata all’invio di combattenti che, qualora rientrassero in patria al termine dell’esperienza bellica maturata all’estero, potrebbero utilizzare le competenze acquisite per attuare piani terroristici o, comunque, capaci di mettere a rischio la sicurezza nazionale. Non si dispone di dati univoci sul numero degli individui coinvolti, le cui stime oscillano complessivamente dai 400 circa fino ai mille e più. 
Sebbene si tratti di un fenomeno relativamente recente, emerso soprattutto nell’ultimo anno, le misure di contrasto, prevenzione e repressione si innestano generalmente su quanto già in precedenza stabilito a livello normativo da ciascun paese per la gestione delle forme di estremismo religioso con finalità terroristiche.
I jihadisti provenienti dal Kazakhstan sarebbero un numero compreso tra i 180 e i 250. Già dalla campagna di attentati a Mangystau e in altre località occidentali del paese del 2011, il governo ha reagito introducendo misure di regolamentazione e controllo sulle attività religiose, volte a disciplinare la predicazione e la pratica religiosa in modo che non potessero recare potenziali danni alla sicurezza dello stato. Successivamente, il governo ha approvato il programma per contrastare l’estremismo religioso e il terrorismo nel periodo 2013-17, mediante maggiori controlli sui gruppi confessionali e l’insegnamento nelle scuole, promuovendo, parallelamente, un islam moderato di stampo tradizionale. Relativamente ai foreign fighters, dal primo gennaio 2015 saranno in vigore nuove misure repressive che prevedono anche pene detentive per i reduci da operazioni militari all’estero.
I kyrgyzi che combattono contro le forze governative in Siria al fianco dei jihadisti sarebbero diverse decine. Anche in questo caso, le autorità hanno deciso di intervenire sul fronte della prevenzione, con una legge del 6 gennaio 2014, che autorizza i testi religiosi da adottare nelle scuole e nelle università e limita l’utilizzo dei simboli religiosi al mero ambito accademico o di studio. Un certo controllo in tal senso esisteva, comunque, anche in precedenza, giacché l’attenzione per le possibili derive estremiste dovute a una inappropriata predicazione rientra nei problemi affrontati per i principali centri urbani del sud del paese (Osh e Jalal Abad). 
Il Tajikistan dedica da tempo grande attenzione ai rischi della formazione religiosa dei giovani e della predicazione estremista. Già nel 2010 il governo ha imposto il rimpatrio di quanti si trovassero all’estero per compiere studi di religione, nel timore che potessero venire condizionati da predicazione radicale; da allora, ne sono rientrati in patria 1950, l’80% circa del totale. Nel 2011, è stato introdotto il divieto di frequentare le moschee per i minori e di far indossare il velo alle giovani studentesse, mentre dal 2012 è stato proibito il proselitismo ed ogni legame non autorizzato con organizzazioni religiose straniere, prevedendo pene pecuniarie per i trasgressori. Data questa forte sensibilità per l’estremismo religioso, con l’avvento del fenomeno dei foreign fighters le autorità locali sono intervenute, nel 2014, con una legge che punisce la partecipazione a conflitti in paesi stranieri con pene detentive che vanno dai 12 ai 20 anni.
Mentre per il Turkmenistan il fenomeno risulta ancora piuttosto contenuto e limitato a poche decine di combattenti, l’Uzbekistan risulta invece maggiormente esposto. Tashkent, che, in particolare negli anni ’90, è stata teatro dall’attività di gruppi terroristici con base nella Valle del Ferghana (uno fra tutti, l’Islamic Movement of Uzbekistan), reagisce ora al fenomeno dei foreign fighters con pene detentive per quanti si recano a svolgere attività terroristica all’estero o che, venendo a conoscenza di situazioni a rischio, non informino le autorità.
Il fenomeno jihadista contemporaneo pone alle realtà statuali centroasiatiche una nuova sfida per la sicurezza, che acutizza le difficoltà incontrate da ciascuna già negli anni passati nella gestione dell’estremismo, del radicalismo o anche semplicemente delle attività religiose. Benché si tratti di una sfida alla sicurezza comune anche a molti paesi europei, il caso di quelli centroasiatici sembrerebbe denunciare maggiori difficoltà di gestione, dettate, oltre che da limiti alla governance interni a ciascuno, anche dalla mancanza di un coordinamento regionale capace di operare per una più efficiente sicurezza dei confini.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/Foreign-fighters-in-Asia-Centrale--Mito-o-realta--di-Lorena-Di-Placido-32-ITA.asp 2014-12-19 daily 0.5