Il Caucaso Meridionale nella competizione strategica tra Ankara e Mosca (di Gabriele Beretta)

Una serie di scontri armati tra Armenia e Azerbaigian, scoppiati il 12 luglio lungo il confine tra i due paesi nell’area di Tavush/Tovuz, si è inasprita nei giorni successivi, causando la morte di diversi soldati da entrambi le parti. Al momento i combattimenti sono stati caratterizzati da un impiego piuttosto limitato di fanteria e un considerevole utilizzo di artiglieria e di droni. Le dinamiche che hanno riacceso la tensione - già in equilibrio precario dalle ultime schermaglie e dal successivo cessate-il-fuoco del 2018 – rimangono contradditorie, con accuse reciproche dei due governi sulla responsabilità di aver aperto il fuoco; secondo quanto ricostruito da Zaur Shiriyev, analista azero dell’International Crisis Group, è probabile che lo scoppio materiale delle ostilità sia il frutto di problemi di comunicazione sulle attività di confine (spostamenti di truppe, manutenzione) tra i due paesi, e che vi sia stata una escalation a partire da piccoli incidenti.

Secondo altri analisti, tra cui Thomas de Waal, il governo azero aveva più interesse della controparte a riprendere le ostilità, sfogando un certo livello di frustrazione – ripetutamente espresso dalla leadership del presidente Aliyev, anche solo la settimana precedente – verso la percepita mancanza di progressi sostanziali nei negoziati per la situazione del Nagorno-Karabakh. L’incapacità del Gruppo di Minsk (conferenza all’interno dell’OSCE, incaricata di favorire una soluzione pacifica e negoziata al conflitto) di portare ad un accordo di pace e la conseguente crescente sfiducia nei negoziati multilaterali potrebbe quindi essere alla base della svolta nella postura diplomatica e mediatica del governo azero. Da parte armena invece, le critiche verso il Gruppo si basano principalmente sull’assenza al tavolo ufficiale di rappresentanti della Repubblica del Nagorno-Karabakh (ipotesi ovviamente osteggiata e impensabile per la controparte), mentre la Repubblica Armena è accusata di utilizzare lo stallo dei negoziati per congelare la questione dei territori occupati e solidificare lo status quo.

L’Azerbaigian, inoltre, ha intensificato le proprie capacità militari negli ultimi anni (dopo i gravi scontri del 2016) e ha ampliato ulteriormente il gap tecnologico con l’Armenia - membro del CTSO e protetta dalla Russia che mantiene una propria base militare a Gyumri, non distante da Tavush. La Russia è stata un fornitore consolidato e fondamentale di armamenti per entrambi i paesi, anche se nell’ultimo decennio l’Azerbaigian è riuscito con discreto successo a diversificare strategicamente la fornitura e l’approvvigionamento dei propri mezzi militari, con crescenti collaborazioni in tal senso con paesi dell’Unione Europea (Repubblica Ceca, Francia e anche Italia, con Leonardo), Turchia e Pakistan, solo per citare le più importanti; inoltre, dal 2018, il paese si è dotato di un sistema missilistico terra-terra LORA Israeliano, particolarmente avanzato e integrato in un complesso sistema di droni, missili anti-carro e sistemi elettronici di coordinamento e comunicazione, del quale già nel 2019 Aliyev sottolineava “la capacità di distruggere ogni obiettivo militare” con estrema precisione. Proprio questa capacità è tornata di rilievo recentemente quando l’escalation retorica tra i due paesi ha portato il ministero della Difesa azero a paventare l’utilizzo dei missili LORA per colpire la centrale nucleare armena di Metsamor (responsabile di più di un terzo del fabbisogno energetico dell’Armenia).

La minaccia, per quanto allarmante, appare tuttavia decisamente improbabile per le conseguenze catastrofiche per la regione e per l’Azerbaigian stesso; per questo motivo è stata condannata da tutti gli attori coinvolti nel processo di pacificazione, con richiami da parte di Stati Uniti, Russia e Unione Europea sull’urgenza di abbassare il livello di tensione diplomatico oltre che militare, e di riprendere i negoziati. Ad esprimere prontamente il proprio sostegno incondizionato all’Azerbaigian è stata invece la Turchia, legata allo stato caucasico da un’alleanza militare e da una “fratellanza” culturale-etnica, come ricordato pochi giorni fa dai rispettivi vertici militari.
Va ricordato che la Turchia non intrattiene alcun tipo di relazione diplomatica con l’Armenia – con cui mantiene una chiusura totale delle frontiere – dal 1993, e pone la risoluzione del conflitto sul Nagorno-Karabakh come prerequisito per una normalizzazione dei rapporti. A pesare sui rapporti turco-armeni c’è anche l’eredità storica del Genocidio Armeno (la cui storicità è negata esplicitamente solo da due paesi: Turchia e Azerbaigian), nonostante l’Armenia abbia più volte ripetuto la propria disponibilità a un riavvicinamento diplomatico senza precondizioni.

L’intervento diplomatico della Turchia si configura come il prodotto di dinamiche regionali complesse, solo in parte rispondenti ai rapporti bilaterali con Azerbaigian e Armenia, e che coinvolgono specialmente le contraddittorie relazioni tra Erdogan e la Russia. Il rapporto tra i due paesi dopo il crollo dell’URSS è stato caratterizzato da una costante collaborazione economica, energetica e militare; la Turchia resta ad oggi fortemente dipendente dalla fornitura di gas russo – per il quale paga prezzi più alti rispetto ai partner Europei di Gazprom – ed ha in programma l’apertura di una centrale nucleare co-progettata e finanziata dai partner russi; rimane, inoltre, sostanzialmente invariata la cooperazione tra i due paesi sul fronte militare-tecnologico, con la Russia che negli ultimi anni ha rifornito di armamenti avanzati la Turchia. Nonostante il legame tra i due paesi, cementato anche da un condiviso senso di diffidenza verso l’Occidente, Russia e Turchia si sono trovate su posizioni strategiche radicalmente differenti nei principali conflitti dell’area mediterranea e medio-orientale.

Il conflitto nel Caucaso meridionale rischia infatti di trasformarsi nel terzo palcoscenico principale della competizione strategica tra i due paesi, dopo la Siria e la Libia; a chiamare in causa la Russia è stato proprio Erdogan, che ha definito quello armeno un “attacco deliberato” di un paese che “sta agendo al di sopra delle proprie capacità”, con un’accusa nemmeno troppo implicita a Mosca di avere un atteggiamento quanto meno complice nelle scelte prese a Yerevan. A destare ulteriori sospetti in questo senso c’è l’insolita ubicazione dei conflitti, lontano dalla Linea di Contatto militarizzata lungo le aree contese del Nagorno-Karabakh, ma sul confine che divide l’armena area di Tavush e la regione azera di Tovuz. La zona è vicina a diverse linee infrastrutturali tanto vitali per l’economia dell’Azerbaigian quanto cruciali per il suo rapporto con la Turchia: si parla della ferrovia Baku-Tbilisi-Kars ma soprattutto del South Caucasus Pipeline e dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan che trasportano idrocarburi dal Caspio all’Anatolia (e da lì, in Europa), escludendo l’Armenia.
La partnership energetica turco-azera è un tassello fondamentale della strategia di Ankara per ridurre la propria dipendenza dal gas russo, e lo scoppio delle ostilità nell’area potrebbe essere un tentativo da parte armena (e russa?) di compromettere in un colpo solo l’economia azera, la diversificazione energetica turca e la solidità del loro rapporto bilaterale.

D’altro canto la postura assertiva e intransigente della Turchia potrebbe non essere semplicemente collegata ai legami energetici, politici ed etnici con l’Azerbaigian, ma rappresentare una battaglia in quella che de Waal chiama “una guerra di parole, più che una guerra di pistole”, ingaggiata per soddisfare le esigenze di consenso domestico e rinsaldare le fila della sua base nazionalista. Una motivazione che potrebbe essere condivisa dai falchi di Baku, specialmente alla luce delle violente manifestazioni anti-armene e belliciste che, già il 14 luglio, hanno marciato sul Parlamento azero chiedendo a gran voce dure ritorsioni armate, l’intervento dell’esercito su vasta scala e la liberazione del Karabakh. In entrambi i casi comunque, appare piuttosto improbabile che Turchia e Azerbaigian siano interessati a intensificare il conflitto, specialmente se questo dovesse coinvolgere Mosca in una guerra nel suo immediato vicinato; un’ipotesi che andrebbe ben oltre le capacità di Baku e le ambizioni di Ankara. 

Quella tra Ankara e Mosca potrebbe essere infatti una partita negoziale all’interno di un complesso e instabile schema competitivo regionale. In Siria, nonostante le divergenze strategiche, le ricorrenti crisi e violazioni del cessate-il-fuoco, i due paesi sono riusciti a siglare diversi accordi di demilitarizzazione e ad attuare alcune operazioni congiunte come il pattugliamento dell’autostrada M4 sul confine turco-siriano. Diversa la situazione in Libia dove l’intervento turco – risalente a gennaio 2020 - a favore della coalizione internazionale che supporta il Governo di accordo nazionale di al-Sarraj ha cambiato l’equilibrio delle forze in campo, a sfavore delle forze ribelli di Haftar supportate da Russia, Francia ed Egitto. Mentre è attualmente in corso un dialogo tra Putin e Erdogan per raggiungere una tregua in Libia, gli sviluppi in entrambi gli scenari sembrano favorire un riavvicinamento diplomatico e strategico tra la Turchia e gli Stati Uniti, con Erdogan e Trump che hanno annunciato una più stretta collaborazione a tutto tondo, commerciale e militare. L’intensità e la profondità di questo riallineamento – chiaramente inviso a Mosca – influirà sul potere contrattuale di Ankara, con conseguenze anche sul teatro caucasico.

Per ora, i paesi del CSTO non hanno supportato apertamente l’Armenia, e la Russia si è principalmente proposta come mediatore, limitandosi ad alcune esercitazioni aeree congiunte con le forze armene. La cautela di Mosca potrebbe dipendere dall’importanza delle relazioni con Baku ma anche dal rapporto complicato col governo di Nikol Pashinyan, salito al potere durante la “Rivoluzione di Velluto” del 2018 che aveva segnato un tentativo armeno di distanziarsi, almeno in parte, dall’orbita russa; da allora ci sono stati diversi episodi di tensione e Pashinyan è stato più volte dipinto dagli ambienti e dai media russi come “una copia di Poroshenko”. È probabile comunque che la Russia, nonostante il proprio inalterato supporto all’alleato in caso di escalation, stia cercando di sfruttare la situazione per consolidare la propria influenza sul Caucaso meridionale e mantenere l’equilibrio strategico a suo favore, possibilmente senza compromettere il legame con l’Azerbaigian. In ogni caso, un’eventuale intensificazione della mobilitazione turco-azera porterebbe quasi inevitabilmente l’Armenia in una situazione di ulteriore dipendenza dalla protezione di Mosca e a un possibile dispiegamento militare russo sul campo, uno scenario che rappresenterebbe una sconfitta per tutti gli altri attori coinvolti.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Il-Caucaso-Meridionale-nella-competizione-strategica-tra-Ankara-e-Mosca-di-Gabriele-Beretta-845-ITA.asp 2020-08-01 daily 0.5