Il Gorno-Badakhshan tra la Nuova Via della Seta e lo spill over dall'Afghanistan (di Giannicola Saldutti)

A dispetto della sua nota stabilità politica, l’Asia centrale offre numerosi spunti per riflettere sul sempre attuale tema delle autonomie locali nello spazio post-sovietico, divampato già in molte occasioni dal 1991: ultima ma non ultima, la crisi nel Donbass ed i suoi violenti strascichi. La questione del crescente desiderio di autonomia e delle specificità etno-sociali del Gorno-Badakhshan è una delle più problematiche riscontrabili in Asia Centrale, nonché un potenziale focolaio di scontri temuto, per motivi simili, sia dalla Russia che dalla Cina. La faglia culturale che taglia a metà il Tagikistan è la riprova di quanto siano friabili ed "artificiali" i confini centroasiatici, considerando i criteri, a tratti molto labili, con i quali sono stati stabiliti già dopo la rivoluzione d’ottobre. 

C'è da ricordare che il Gorno-Badakhshan, regione orientale del Tagikistan arroccata alle pendici del Pamir, è sempre stata refrattaria a qualsiasi tipo di potere centrale: l’intero territorio venne infatti annesso all'Impero Russo soltanto nel 1895 e, successivamente, all'URSS nel 1925 in qualità di oblast'  nella Repubblica Socialista Sovietica del Tagikistan. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la guerra civile tagika del 1992 scoppiò proprio per il controllo di questo territorio che pretendeva l'autonomia da Dushambe in base a motivi etnico-religiosi, in realtà, del tutto fondati: i suoi abitanti si distinguono dai tagiki sunniti per la lingua pamiri e per il credo sciita, che vede nell'Aga Khan il leader spirituale. I recenti disordini (risalenti all’autunno del 2018) avvenuti nel capoluogo Khorog e scatenati dalla visita del presidente tagiko Rahmon (in carica ininterrottamente dal 1994) non hanno colto di sorpresa gli esperti dell’area, dal momento che le politiche adottate da Dushambe si stanno rivelando piuttosto miopi ed incentrate esclusivamente sulla continuità del potere del leader tagiko che dovrebbe, stando a voci sempre più insistenti, "abdicare" entro il 2020 in favore del figlio Rustam. 

Rahmon non sembra aver fatto tesoro dell'esperienza multinazionale e multiconfessionale di altri Paesi centroasiatici: gli abitanti del Gorno-Badakhshan lamentano l'assenza di un’adeguata rappresentanza politica e la mancanza di programmi tv e radio in lingua pamiri. La situazione viene costantemente monitorata dalla Cina: un improvviso divampare degli scontri, infatti, contribuirebbe ad alzare notevolmente la temperatura nelle aree limitrofi, in un sistema di vasi comunicanti rivelatosi spesso pericoloso nelle dinamiche centroasiatiche.

Ricordiamo, infatti, che il Gorno-Badakhshan confina con lo Xinjiang cinese, regione di etnia uigura e di credo musulmano tradizionalmente recalcitrante nei confronti del potere di Pechino. Per questo motivo, la presenza militare cinese si fa sempre più forte ai confini con il Tagikistan: il Gorno-Badakhshan rappresenta un transito necessario per qualsiasi attività  terroristica o, più in generale, di natura criminale. Russia a Cina, d'altronde, non sono per nulla intenzionate a "balcanizzare" ulteriormente la scacchiera eurasiatica e a minare l'integrità territoriale di uno Stato membro dell'ODKB, considerando che la più grande base militare russa in terra straniera è situata proprio in Tagikistan. 

Nel mese di luglio si sono tenute le esercitazioni congiunte russo-tagike proprio nella base presso Khorog, dove, almeno fino al 2042, risiederà la 201° divisione motorizzata presente in Tagikistan dalla fine della seconda guerra mondiale. Secondo l’analista tagiko Hairullo Mirsaidov, la Russia aizzerebbe spesso i gruppi criminali ed i trafficanti di droga locali proprio per mettere pressione su Rahmon: la presenza militare russa sul suolo tagiko è necessaria al fine di garantire una stabilità che difficilmente Dushambe riuscirebbe a garantire con le proprie forze, ricordando che fin dai tempi dell’Urss il Tagikistan è considerato come la repubblica con il più basso livello di sviluppo, unito al più alto tasso di natalità dell’intera area. Addirittura, in tempi non sospetti il Cremlino si sarebbe spinto oltre, chiedendo ai tagiki di poter controllare direttamente con le proprie forze armate il confine con l’Afghanistan, ottenendo il rifiuto categorico di Dushambe. 

La prossimità del Tagikistan con Kabul e la sua influenza culturale, economica e religiosa rappresenta un’altra fonte di forte preoccupazione per Mosca, considerando la forte esposizione del Paese centrasiatico alla radicalizzazione religiosa e al traffico di droga ampiamente tollerato presso i remoti valichi di frontiera sulle impervie alture del Pamir, “distrattamente” controllati dalle forze tagiche. Proprio in Tagikistan, infatti, durante la perestrojka venne fondata la prima forza politica su base religiosa in Unione Sovietica: il PIVT, il Partito Tagiko della Rinascita Islamica. Secondo un report recentemente pubblicato da Murat Laumulin, la propaganda ideologica dello Stato Islamico è già riuscita ad attecchire: soltanto nel biennio 2014-2015 il governo tagiko ha disposto la chiusura di circa duemila moschee. Negli ultimi sette anni Rahmon combatte contro l’integralismo di matrice islamista, propagandato anche attraverso la rete che conta circa 3 milioni di utenti in Tagikistan. Per dare un’idea del problema, basti pensare che nel 2015 il tenente dell’Omon tagiko, Gulmuroda Khalimov, è entrato tra le file dell’Isis, partendo per la Siria al fine di “combattere per i diritti dei mussulmani” e promettendo di “tornare in Tagikistan per instaurare la legge della sharia”. 

Sempre secondo il parere di Laumulin, il Gorno-Badakhshan è potenziale obiettivo dei terroristi anche per la sua funzione in chiave geo-strategica. Uno degli obiettivi più funzionali ad un attentato terroristico potrebbe essere il lago Sarez ed il suo sistema di dighe che, se fatte saltare, metterebbero in serio pericolo circa 6 milioni di persone tra Tagikistan, Afghanistan, Kyrgyzstan e Turkmenistan. Il Gorno-Badakhshan, se non costantemente monitorato, potrebbe rappresentare rafforzare la minaccia del radicalismo islamico in una regione dall’elevata sensibilità. In questo senso, la presenza militare russa si fa, ora più che mai, necessaria per contrastare qualsiasi tipo di minaccia. Non si sa, però, fino a che punto al Cremlino convenga giocare con il fuoco: soffiare sulle braci del separatismo etnico-religioso potrebbe, alla lunga, far saltare il quadro centroasiatico. Il congedo di Rahmon viene percepito, oggi più che mai, come necessario. Mosca e Pechino dovranno senza dubbio incoraggiare ed accompagnare Dushambe in una delicata fase di transazione di potere in chiave riformista, che punti a raffreddare gli animi indipendentisti e a stabilizzare la situazione, rivisitando completamente le politiche che fino ad ora il Tagikistan ha adoperato nei confronti di più di 200mila dei suoi abitanti.




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