Il Rublo, i déjà vu e. . . gli orsi feriti (di Dario Delbò)

Un anno addietro, di questi tempi, il Rublo perdeva terreno sotto l'effetto combinato delle sanzioni USA e del calo del prezzo del petrolio, crollo poi interrotto da un'effimera stabilizzazione delle quotazioni intorno ai 55 euro/dollaro e 65 dollaro/rublo. Oggi, viviamo un déjà vu, perché dalla fine di maggio di quest'anno il Rublo, (e con esso le monete dei paesi satellite come Armenia e Azerbaigian) ha ricominciato a perdere terreno nei confronti delle principali divise mondiali, arrivando a quotare in questi giorni 73 euro/dollaro.

Come mai questa nuova perdita di valore?
Innanzitutto, dobbiamo ricordare come le sanzioni varate siano le più dure mai adottate contro Mosca e questo ha fatto precipitare il paese in un tunnel di recessione e inflazione che ha concorso a creare ulteriore svalutazione monetaria, e a proposito di déjà vu ritorna alla memoria l'eco lontano di un precedente storico, perché la Russia una situazione simile l'aveva già vissuta nel 1998, quando una crisi finanziaria di origine asiatiche, ( a proposito di déjà vu ) iniziò a far sentire i suoi effetti nel mondo e ovviamente anche nell'ex URSS, estremamente fragile dopo il crollo dell'impero con un settore industriale allo sfascio, una massiccia fuga di capitali e il prezzo del petrolio in crollo verticale a quotazioni che fanno impallidire i valori odierni. Allora, per far fronte alla situazione le autorità russe cercarono di agganciare il valore del rublo al dollaro, fallendo e innescando una spirale di svalutazione che bruciò i risparmi della popolazione, creando ingenti masse di poveri che qualche anno dopo avrebbero sostenuto in massa il nuovo Zar Putin il quale iniziò la sua ribalta nel palcoscenico politico russo, proprio in quegli anni, fu infatti l'allora presidente Boris Yeltsin a nominarlo a capo dell'esercito, chiamato a ripristinare l'ordine e la sicurezza. Popolazione che oggi, nell'ordinata e tranquilla pax Putiniana non scende più per le strade urlando il suo disagio ma reagisce in modo più pragmatico, acquistando di tutto, dai beni di prima necessità alle automobili, dagli abiti all'arredamento, senza dimenticare la valuta straniera, comprando beni durevoli proprio per evitare di vedere le proprie risorse economiche volatilizzarsi, ma così facendo rischiando di auto-costringersi a uno scambio di beni simile a quello di un'economia di baratto.

D'altronde se nel 2015 il Paese rischia un crollo del PIL stimato tra 3.9 e 4.4% è l'inflazione, ( prevista al 15,8% nel 2015 ) a preoccupare in particolar modo gli economisti e soprattutto la popolazione che ne vede gli effetti materiali nella vita di tutti i giorni e che viene gestita dalla banca centrale Russa in modo schizofrenico, inizialmente con tagli dei tassi, poi aumento e ora nuovamente sforbiciata al 11% decisione presa più per cercare di arginare l’emorragia di capitali dal Paese che per arrestare la discesa della moneta: per fine anno infatti i deflussi potrebbero toccare quota 140 miliardi di dollari e per puro spirito campanilistico va anche riportato che in questo quadro gli istituti di credito italiani sono esposti verso la Russia per 27,6 miliardi di euro.

Ma allontaniamoci per un attimo dalle statistiche e dalle percentuali per ritornare a seguire il caldo vento della storia; particolare quella Russa, dove i freddi avvenimenti economici si intrecciano a particolari coincidenze storiche ricorrenti, oggi come nel 1998 di carattere politico e petrolifero: la crisi Ucraina e le tensioni con l'occidente, sono arrivate proprio mentre il Paese assisteva a un drastico ridimensionamento della propria principale fonte di entrate in valuta estera, l’export di petrolio. Di qui la perdita di valore del rublo, che a sua volta ha messo in difficoltà i debitori privati, indebolendo ancora di più l’economia e riducendo il livello di fiducia sul mercato, così si è innescato un circolo vizioso senza più la garanzia collaterale rappresentata dal prezzo del greggio e da quello implicito delle riserve petrolifere e di gas, con conseguente fuga degli investitori dagli asset denominati in rubli.  Situazione che in base all'andamento attuale interesserà le banche russe e quindi l'economia del paese almeno fino alla fine del primo semestre 2016, anche perché l'attuale politica della banca centrale Russa, si è dimostrata poco efficace a calmierare la crisi, e questo nonostante Il ricavato della massiccia esportazione di petrolio, ( che se pur con prezzo del barile basso ) venduto in caro-dollaro, ristora il budget nazionale che si avvantaggia inoltre di un debito pubblico minimo e riserve monetarie ammontanti a oltre quattrocento miliardi di dollari ( 80% dei quali, usati quest’anno per cercare di frenare il crollo del rublo ) e pur avendo imprese statali e parastatali, attesta il presidente dell’Unione degli imprenditori Aleksandr Shokhin, dotate di mezzi per coprire i loro debiti esteri. Più che altro è l’imprenditoria privata ad apparire preoccupata per l’estrema insicurezza del cambio con il dollaro e l’euro, nelle aziende russe ci si domanda ogni giorno se il rublo ha raggiunto il fondo e ricomincerà a risalire o se ci si deve aspettare un altro tonfo e volatilità protratta nel tempo.

Appare quindi chiaro, che per frenare questa discesa che danneggia tutti, comprese le aziende italiane e non solo, è necessario trovare una soluzione politica di compromesso sull'Ucraina, che non accontenti ma scontenti le parti in una cornice di pragmatico realismo e che permetta al ferito orso Russo di salvare la faccia; perché spesso nella storia, molti leader forti per salvare l'onore hanno sacrificato il paese e in tempi di globalizzazione e mercati interconnessi i confini economici sono sicuramente più  ramificati di come una vecchia visione della politica a volte li dipinge.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Il-Rublo--i-deja-vu-e----gli-orsi-feriti-di-Dario-Delbo-144-ITA.asp 2015-09-30 daily 0.5