Il Tagikistan di fronte alle minacce d'instabilità regionale (di Fabio Indeo)

Nel corso degli ultimi mesi si sono verificati in Tagikistan degli episodi di violenza che possono essere riconducibili a degli attacchi terroristici, evidenziando nuovamente la marcata vulnerabilità di questa nazione e le difficoltà nel fronteggiare le minacce poste dai militanti estremisti. Parallelamente, la combinazione tra la politica fortemente accentratrice ed autoritaria adottata dal presidente Rahmon e le difficili condizioni economico-sociali interne, foriere di tensioni e di conflittualità nei confronti dell'autorità statuale, rappresentano una pericolosa miscela destinata ad intaccare la stabilità e la sicurezza nazionale.

A luglio, 4 ciclisti stranieri (tra i quali due americani) sono stati investiti ed uccisi nella città meridionale di Danghara, da un auto che pare li abbia appositamente colpiti: dopo qualche ora, alcuni dei responsabili hanno fatto circolare un video nel quale rivendicavano la loro appartenenza allo Stato Islamico.

Ciononostante, le autorità tagiche (prima della diffusione del video)  avevano invece individuato i colpevoli in alcuni esponenti del Partito della Rinascita Islamica, formazione politica ufficialmente bandita dal  settembre del 2015 con l'accusa di aver pianificato e cercato di porre in atto un tentativo (fallito) di colpo di stato.

A corollario di quest'accusa, un ondata di arresti ha colpito alcuni appartenenti al PRI, accusati di pianificare nuovi attacchi in collaborazione con i foreign fighters dello stato islamico. L'obiettivo del presidente Rahmon appare quello di screditare agli occhi degli occidentali l'unica forza di opposizione esistente, facendo pressioni affinché non concedano asilo politico o accoglienza ai suoi esponenti, come nel caso leader del PRI Kabiri.
L'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva - organizzazione multilaterale di sicurezza regionale guidata dalla Russia - ha accolto le istanze tagiche inserendo il PRI nella lista delle organizzazioni terroristiche, mentre l'Interpol si è rifiutata di spiccare un mandato di arresto internazionale nei confronti di Kabiri.

Benché minoritario nel paese, con appena due seggi in parlamento, il PRI legittimava la natura formalmente multipartitica del sistema politico tagico: il PRI ebbe un ruolo notevole di mediazione nei negoziati di pace che posero fine alla guerra civile del 1995, contribuendo al mantenimento della stabilità. Inoltre, la partecipazione di un movimento dichiaratamente islamico alla competizione politica - riconoscendo apertamente la costituzione e il carattere secolare dello stato - costituiva un teorico modello di riferimento per altre nazioni dove la combinazione tra appartenenza religiosa e partecipazione politica era ampiamente dibattuta. Con la messa al bando del PRI questa speranza è stata vanificata ed ora Rahmon è l'indiscusso deus ex machina della nazione.

Inoltre, la partecipazione del leader PRI a Kabiri ad un convegno a Teheran nel dicembre 2015 (tre mesi dopo il bando emanato da Rahmon) ha impresso un forte riorientamento nella politica estera tagica, basata ora su un aperta ostilità e diffidenza nei confronti del tradizionale alleato iraniano, accusato di dare ospitalità ad esponenti dell'opposizione islamica tagica e quindi percepito come minaccia alla stabilità del proprio governo. Questo approccio s'interseca anche con il crescente ruolo dell'Arabia Saudita come finanziatore di diversi progetti in Tagikistan, riproducendo in Asia centrale quella tradizionale rivalità geopolitica propria del Medio Oriente tra Teheran e Ryad.

Alla fine di agosto, dei colpi di mortaio hanno ucciso due persone nel distretto tagico di Farkhor, area che confina con la provincia afgana di Takhar, teatro in passato di incursioni armate di militanti ed islamisti. Voci non confermate hanno raccontato di una reazione armata condotta oltreconfine attraverso elicotteri ad opera di forze tagiche e russe, con l'uccisione di 6 Taliban.

Ancora una volta si ripropone il problema della vulnerabilità della frontiera tra Tagikistan ed Afghanistan - porosa e scarsamente controllata - alle incursioni di militanti e terroristi armati, dove il solo fiume Panj separa le due nazioni. Ad aggravare questa condizione di vulnerabilità, il redde rationem che sembra essersi scatenato tra i Taliban afgani e i foreign fighters (centroasiatici e non) legati allo Stato Islamico (che mirano a creare il vilayat Khorasan, ovvero fare della regione centroasiatica una provincia dello stato islamico).

Nel corso degli ultimi mesi si sono intensificati gli scontri tra Taliban e militanti IS,  soprattutto nei distretti settentrionali afgani di Jowzjan e Faryab, in prossimità del confine con il Turkmenistan ma che in realtà rappresentano una minaccia anche per le altre repubbliche centroasiatiche confinanti ovvero Uzbekistan e Tagikistan. Tale conflittualità testimonia la fine della temporanea convergenza strategica di interessi tra le due fazioni e l'emergere delle evidenti rivalità e differenze, in quanto fautori di due visioni contrapposte: quella nazionale perseguita dei Taliban (creazione dell'emirato islamico in Afghanistan) e quella globale-transnazionale dello stato islamico, mirata all'abbattimento delle frontiere nazionali come condizione per la realizzazione del califfato islamico.

Tuttavia, questa situazione si colloca in uno scenario di tipo nuovo, con i Taliban che vengono progressivamente presi in considerazione come potenziali interlocutori politici per il mantenimento della stabilità regionale ed in funzione anti-Stato Islamico, percepito dai principali attori regionali e non (Russia, Cina, Uzbekistan) come una pericolosa minaccia ai confini meridionali.

Pechino, ad esempio, ha bisogno di una duratura condizione di stabilità per la piena realizzazione del progetto geo-economico della Belt and Road Initiative e per evitare infiltrazioni di terroristi nella regione autonoma dello Xinjiang, destinate a saldarsi con le istanze autonomiste-religiose della popolazione uigura. Questo approccio spiega il rafforzamento della cooperazione militare bilaterale con il Tagikistan e il lancio del "Quadrilateral Cooperation and Coordination Mechanism" - che include Tagikistan, Afghanistan e Pakistan - come un nuovo blocco di sicurezza regionale (che di fatto escluderebbe la Russia), oltre alle indiscrezioni sulla volontà cinese di realizzare una base militare nella provincia nordorientale afgana del Badakhshan, che implicherebbe una crescente collaborazione con il confinante Tagikistan.

Per quanto concerne l'Uzbekistan, ad agosto una rappresentanza di Taliban afgani ha avuto dei colloqui con il ministro degli esteri uzbeco Kamilov a Tashkent: la pacificazione e la stabilità dell'Afghanistan risultano precondizione necessaria per rafforzare il commercio transfrontaliero e per la realizzazione delle infrastrutture ferroviarie di trasporto ed energetiche tra le due nazioni. Occorrerà valutare l'impegno dei Taliban in tal senso, considerato che in passato gli attacchi alle infrastrutture faceva parte del loro modus operandi.

Per la repubblica tagica, la mancata soluzione delle distorsioni interne appare la principale causa d'instabilità, in quanto le condizioni socio-economiche della nazione favoriscono la diffusione del jihadismo: elevata disoccupazione giovanile, rigido controllo statale della religione, autoritarismo, povertà, determinano un quadro nel quale la propaganda ideologica jihadista, la riscoperta dell'appartenenza religiosa e, concretamente, la possibilità di beneficiare di dazioni in denaro e compensi offerti dai reclutatori costituiscono un alternativa che rischia di avere una forte attrazione per migliaia di giovani senza prospettive.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Il-Tagikistan-di-fronte-alle-minacce-d-instabilita-regionale-di-Fabio-Indeo-560-ITA.asp 2018-09-28 daily 0.5