Il Virus, il Petrolio e la Bambolina (di Massimo Nicolazzi)

L’ultimo sprofondo del prezzo fu nel 2015/2016. Giù fino a ventotto dollari, e cominciò a scendere dopo che per anni si era comodamente alloggiato sopra i 100 dollari a barile. L’Opec si dimostrò del tutto impotente. Poi russi e sauditi decisero che qualche piccolo conflitto di interessi su Iran e Siria non poteva precludere il fraterno incontrarsi di due grandi produttori. Money first. Parlarono, trovarono l’accordo, e il prezzo si inerpicò sin oltre gli 80 dollari/barile, per poi mettersi a zigzagare tra i 50 e i 60 (che come fascia di equilibrio va bene a tutti).

Adesso si risprofonda, e i due invece di replicare litigano. Non c’è replica in commedia; ma sarebbe comunque impossibile, perché è la commedia stessa ad essere cambiata. Nel 2017 si trattava di tarare una corrente sovraproduzione al livello della domanda; laddove comunque l’andamento della domanda incrociando assunzioni di sviluppo e di efficienza energetica era in qualche modo prevedibile, o se preferite modellizzabile.  Magari non ci si azzeccava, però era possibile tentare di calcolare su basi di ragionevolezza il taglio alla produzione necessario a far recuperare equilibrio al mercato, e poi ripartirlo con formale equità tra i produttori interessati.

Ieri era sovraproduzione; ed oggi è coronavirus. Il ciclo che rileva non è più quello economico; ma quello epidemiologico. Più il contagio dura e si diffonde, e più l’economia si ferma. Quando e dove si fermerà a nessuno è dato sapere. La previsione prende la forma di uno sparo nel buio. E dunque che senso ha accordarsi su un taglio di produzione e sulla sua ripartizione se non si ha alcun elemento per decidere della sua adeguatezza al difendere il prezzo?

E difatti non si accordano. Liberi tutti. Se non puoi difendere i prezzi, ti provi almeno a difendere i volumi. Ovvero la tua quota di mercato in un mercato dove la domanda sta crollando a picco. Il saudita, che ha il costo di produzione più basso, si mette a produrre di più e a vendere a sconto per accaparrarsi quanto più mercato possibile. Il russo ancora tiene. L’americano, che ha il costo maggiore (detta così è imprecisa, ed avrebbe bisogno di articolazione tecnica; ma a nostri fini rende l’idea e dunque possiamo dispensarcene) ci va decisamente in affanno. Quelli col costo più basso pompano a tutta per prendersi i clienti di quelli col costo più alto. Narrata così più che complotto sembrerebbe concorrenza. Prendete tre produttori di bamboline, e fategli crollare la domanda. Quello con il costo di produzione più basso di solito la scampa; e quello a cui produrre una bambolina costa uno sproposito è il primo a rischiare (ovviamente se producono tutti e tre per il mass market; che la bambolina di Prada funziona con logiche diverse). Al precipitare della domanda prezzo e sopravvivenza del produttore tanto per il petrolio come per le bamboline li fa il mercato; e che parlando di petrolio ci venga da parlare di “guerra” anziché di concorrenza è solo perché rispetto alle bamboline il petrolio è infinitamente più sexy.

Tanto per il prezzo al tempo del coronavirus. Che però è un tempo, e non un’eternità. Insomma una parentesi; e come si muova il prezzo dentro la parentesi può essere meno che appassionante. Se non per osservare, al limite del divertimento, come per salvare il cow boy scenda in campo direttamente lo Stato. Il Presidente Trump annuncia che acquisterà greggio di produzione nazionale sino ad esaurire le capacità di stoccaggio della Strategic Reserve. Che detta così roboa e sembra promettere salvezza all’industria nazionale. Se non fosse che la capacità residua stimata della Reserve è di giusto 77 milioni di barili; meno della capacità produttiva mondiale di un solo giorno (al netto di quella americana…) e pari a una dozzina di giorni di produzione nazionale di shale oil. Per rinnovare con successo le glorie dello storico protezionismo petrolifero americano temo dovranno inventarsi altro, e di più. E difatti stanno già pensando di rimettere in pista la gloriosa Railroad Commission of Texas (RRC), autorità che funziona come una sorta di cartello ex lege dei produttori e che fu in qualche modo il modello cui si ispirò l’OPEC.  Dovrebbe intervenire per difendere i prezzi e imporre un taglio della produzione domestica; e così magari gettare le basi per mettersi a parlare con gli altri due (Arabia Saudita e Russia). Col Segretario Generale dell’Opec si sono giò telefonati; e il Commissioner Sitton ha dichiarato di essere stato invitato al prossimo meeting. La RRC al meeting Opec, ovvero il virus che rende possibile l’impensabile. Per la RRC non sarà comunque un chiaccherare facile; e andare oltre la parola non sarà semplice, almeno fino a quando i consumi li detterà la pandemia.  Sinchè dura gli tocca soprattutto di sperare che la parentesi sia breve.

L’apparente paradosso americano è che il produttore privato e indipendente è pressochè terrorizzato dal mercato ed invoca l’accordo di cartello. Non è una novità. L’anomalia della parentesi è proprio che in tempi normali i produttori non si comportano aderendo al modello bambolina. Nella normalità storica (al netto appunto delle parentesi di crisi) la concorrenza tra produttori è di regola scarsa se non quasi inesistente. Hanno una forte inclinazione alla cartellizzazione; e però la cartellizzazione funziona bene in tempi di vacche grasse (domanda robusta, prezzi sostenuti,…) e molto meno in condizioni di mercato della domanda. Cartellizzo, ma se i tempi si fanno difficili devo essere pronto a competere; o se preferite a guerreggiare. Fraenkel (uno dei grandi economisti del petrolio dell’altro secolo) nel suo Essentials of Petroleum scriveva di un modello di control – cum – competition; e quello che scriveva lui nel 1946 con riferimento al comportamento delle grandi società petrolifere private pare perfettamente applicabile ai produttori dell’oggi.

Le regole della concorrenza di mercato (il modello bambolina) in un industry virtualmente immune da preoccupazioni antitrust funzionano quasi solo in tempi di crisi. Finita la parentesi (congiunturale) si dovrebbe potere tornare alla normalità. E’ dunque possibile che (magari già nel secondo semestre di quest’anno) ci si riavvicini all’equilibrio, che il prezzo ritorni da dov’era venuto (50 – 60 dollari/barile), e che persino gli independents americani riprendano fiato.

C’è però una novità che comincia a manifestarsi. Prende corpo dall’idea che già oggi abbiamo scoperto e reso producibili più riserve di petrolio di quante ne consumeremo nei prossimi anni. Se le politiche di decarbonizzazione avranno successo, il valore di alcune riserve oggi nel sottosuolo potrebbe azzerarsi. Tecnicamente, si dice che diventerebbero stranded assets.

Non abbiamo un modello previsionale che ci prefiguri affidabilmente il se, il quando ed il quanto di uno scenario stranded (o meglio abbiamo esercizi che variano per l’intera ampiezza di un pendolo che oscilla tra “è già successo” e “forse non succede mai”). Il produttore non può però aspettare il modello. Deve fare una politica commerciale che se sta seduto sopra un patrimonio molto voluminoso non può che guardare oltre il breve periodo. Non potrà che farsi guidare da proprie percezioni e visioni di futuro.

Nel 1931 Harold Hotelling scrisse un saggio che ancora oggi influenza l’analisi economica delle risorse non rinnovabili; e che al di là delle intenzioni può essere usato come riferimento per la politica commerciale del produttore. Devi decidere se produrre o tenere sottoterra l’idrocarburo. La regola (semplificando) di Hotelling è che se il valore della risorsa nel sottosuolo cresce più del tasso di interesse di mercato conviene non produrre; e viceversa se il valore cresce meno del tasso di interesse meglio vendere e reinvestire in attività con ritorno uguale o superiore al tasso di interesse.  

Adesso immaginatevi che il Saudita abbia studiato Hotelling (e lo possiamo dare per scontato), che il costo di produzione sia il più basso in assoluto (e questo lo diamo per scontato pure) e che la sua visione sia nel senso che tra 5 – 10 anni un po’ delle riserve di petrolio già oggi accertate debbano essere cancellate dai libri perché stranded. Voi al suo posto cosa fareste?

Uno scenario possibile è che il Saudita decida di pomparsi il più velocemente possibile tutto quanto è pompabile, nonna eventualmente compresa. Coi miei costi spiazzo tutti gli altri; e non gli lascio spazio fino a quando non ho esaurito il mio magazzino. Mi vendo tutto, e poi stranded sarà lei.

Che è certo scenario estremo, e giusto da teoria dei giochi. Però se i Sauditi cominciassero ad esempio a resuscitare contratti di lungo periodo anziché spot, e magari con volumi minimi garantiti (take or pay, o qualcosa di equivalente) ed anche un qualche sconto di prezzo ci starebbero segnalando che Hotelling lo hanno studiato benissimo, e che semplicemente e per convenienza lo stanno praticando con cautela. Con la possibilità incombente che il modello bambolina sopravviva alla parentesi virale, e si faccia nuova normalità.

(Tratto da https://ispionline.it)




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