Il nodo geopolitico dei Corridoi Trans-Caucasici (di Fabrizio Vielmini)

L'esito della seconda guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020 ha posto le basi per un profondo riassesto degli equilibri economici e politici di tutto il Caucaso ed, attraverso la regione, dei rapporti di forza fra i potenti attori esterni interessati allo sviluppo (o al blocco) dei corridoi strategici che attraversano questo crocevia.

Per quasi 30 anni, dopo che gli armeni erano riusciti a strappare il Karabakh all’Azerbaijan nel primo conflitto del 1991-93, il sistema delle comunicazioni attraverso il Caucaso si è trovato semi-paralizzato. La linea del fronte attorno al Karabakh interrompeva i contatti diretti fra Azerbaijan e Turchia. Nell’intricato assetto amministrativo ereditato dall’URSS, l’Azerbaijan controlla un’exclave ad ovest dell’area del conflitto, il Nakhichevan, da cui passa il collegamento ferroviario fra Iran e Transcaucasia così che quest’ultimo anche rimase bloccato. Ulteriori conflitti separatisti in Georgia erano poi intervenuti a chiudere l’altro asse ferroviario della regione, che collega la Russia al Medio Oriente attraverso l’Abkhazia. 

La guerra dello scorso autunno ha potenzialmente sbloccato la barriera del Karabakh così che ora i differenti assi strategici che si snodano attraverso la regione potrebbero venire riaperti. Nel quadro dell’accordo di cessate il fuoco mediato e sottoscritto dalla Russia con i leader di Armenia ed Azerbaigian, l’articolo 9 prevede la costruzione di un corridoio di trasporto fra Turchia ed Azerbaigian attraverso Armenia e Nakhichevan.

L’exclave azera potrebbe così divenire il perno di connessione delle reti ferroviarie di Russia, Turchia ed Iran e di due corridoi di portata pan-eurasiatica, quello fra Golfo Persico ed Mar Nero e fra Caspio Mediterraneo che riporterebbe la regione al suo ruolo storico di crocevia di connettività.   

A seguito dei conflitti separatisti dei primi anni 90, la geoeconomia dei trasporti regionali rimase dominata dal corridoio Est-Ovest Mar Nero-Mar Caspio attraverso la Georgia. Tale asse venne sponsorizzato dagli USA ed i loro alleati in Europa quale strumento geopolitico per influire sulle dinamiche regionali prendendo a pretesto le risorse energetiche del mar Caspio. Lo scopo di questo “Nuovo Grande Gioco” era di fissare il dato dell’interruzione dei collegamenti Nord-Sud per escludere la Russia ed l’Iran dalla Transcaucasia orientandone i paesi lungo l'asse Turchia-Georgia-Azerbaigian. 

Tale disegno è stato poi rimesso in causa da due sviluppi principali. Innanzitutto, la Cina ha varato il proprio piano della Grande Via della Seta/OBOR, destinato ad attraversare la regione suscitando i timori degli occidentali. La Turchia poi ha assunto una propria posizione autonoma all’interno della geopolitica regionale, sottraendosi al ruolo di Junior partner in cui gli USA avrebbero voluto relegarla. 
Il dato attuale vede un ulteriore rafforzamento dell’asse fra un trionfante Azerbaigian e la Turchia, il cui supporto politico e militare è stato la chiave della vittoria di novembre. 

L'Azerbaigian rafforza di molto la propria posizione geopolitica coronando anni di sforzi di politica estera. Gli investimenti negli assi di trasporto sono stati al centro della strategia azera, prima allo scopo di isolare l’Armenia (in primo luogo con la linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars) ed ora per consolidare la presa sui “distretti liberati” attorno al Karabakh con una nuova rete infrastrutturale - quale l'autostrada Ahmadbeyli–Fuzuli–Shusha quest’ultima capitale storica e cuore del Karabakh. Ulteriori punti di connessione, quali tre aeroporti già in costruzione, vogliono marcare la riavvenuta appropriazione di territori agognati per 30 anni. In secondo luogo, Baku si attende di vedere ulteriormente potenziato il proprio peso negoziale nei confronti di Russia, USA UE, Iran, potenze la cui influenza si esplica sul proprio territorio e verso cui ha cercato di mantenere una strategia di equidistanza tale da non dover subire diktat da nessuna di esse. 

Grazie alla forte connessione con Baku, la Turchia si avvia a proiettarsi verso nuove direttrici di espansione, nella regione così come in direzione dell’Asia centrale attraverso il mar Caspio. Il collegamento attraverso il Caspio mette in relazione le evoluzioni intorno al Karabakh con le dinamiche geopolitiche centrasiatiche in vista dell’uscita degli USA dall’Afghanistan. Dal 2018, l’Afghanistan è collegato all’asse transcaucasico tramite il cosiddetto "Corridoio di Lapislazzuli", che comprende un nesso ferroviario ed autostradale fra la città di Herat (già zona d’operazioni italiana per la IFOR) e il porto di Turkmenbashi sul Mar Caspio. Simili progetti, dove, di nuovo, la componente strategica predomina sui calcoli economici, richiamano la lotta per orientare il futuro del Centro Asia tramite l'Afghanistan fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Cina, con India e Pakistan ansiosi di non perdere posizioni negli equilibri in via di ridefinizione. Sostenuto dalla Turchia l'Azerbaigian è pronto a sostenere qualsiasi progetto di collegamento con l’altra riva del Caspio. 

Di fronte a tali sviluppi, la posizione della Russia è quanto mai delicata. Quale garante della sicurezza del Karabakh Mosca detiene le chiavi per sbloccare tutti i progetti facenti perno sul Nakhichevan. Il calcolo russo è però estremamente complicato. Da un lato, Mosca si felicita della perdita d’influenza occidentale nel proprio “cortile di casa” fra Caspio e Mar Nero. Dall’altro, essa teme la crescita della potenza turca così come un’eccessiva presenza cinese nelle due regioni. Oggettivamente per la Russia, il funzionamento a pieno regime dei due assi logistici intersecantesi nel Nakhichevan significherebbe un importante stimolo per i prodotti russi sui mercati del Medio Oriente, prima di tutto in Iran e Turchia, dove il commercio è in costante crescita.

Dal canto suo, l’Iran sembra aver tutto da guadagnare dalla rimessa in funzione dello snodo del Nakhichevan. Il territorio dell’Iran è fondamentale per due importanti corridoi di trasporto transcontinentali: il “Corridoio Nord-Sud”, che da anni sostiene con la Russia attraverso l’Azerbaigian (linea ferroviaria Rasht-Astara) ed il citato “Corridoio Golfo Persico-Mar Nero", tramite cui l’Iran potrebbe interagire con i paesi di tale bacino via Armenia e Georgia fornendo loro a sua volta accesso all’Oceano Indiano attraverso il proprio porto di Bandar-e Abbas. L’Iran è inoltre interessato a migliorare la propria connettività con la Turchia, dato il basso livello tecnologico dell’attuale ferrovia Istanbul–Teheran, attraverso il rilancio dello snodo ferroviario dell'era sovietica a Julfa-Jolfa, in Nakhichevan, crocevia della linea sud-nord verso Yerevan e Tbilisi e quella ovest-est, verso la Russia via l’Azerbaigian. Ulteriori punti di forza ed opportunità dell’Iran rispetto a Turchia e Russia provengono dalla propria posizione di unico paese confinante con l'Armenia, Azerbaigian e Nakhichevan. 
D’altro canto, l’Iran affronta anch’esso incognite strategiche di grande respiro, in primis, la presenza della forte minoranza azera (almeno 20 milioni) proprio nelle aree interessate dai nuovi progetti di trasporto. Nella nuova congiuntura, Teheran perde una leva d’influenza sull’Azerbaigian, che per decenni è dipeso dal territorio iraniano per collegarsi con il Nakhichevan. 

Le reticenze più forti ai nuovi piani infrastrutturali vengono dai due altri paesi della regione, Armenia e Georgia. Soffocata per decenni dalla politica di blocco turco-azera, l’Armenia avrebbe molto da guadagnare dal ripristino della connettività regionale che la vedrebbe divenire uno snodo logistico regionale. In quanto parte sconfitta, Yerevan teme tuttavia di consolidare ulteriormente i risultati ottenuti dai suoi rivali. I delegati armeni hanno sospeso la loro partecipazione alla commissione ministeriale con azeri e russi per elaborare i programmi d’attuazione dei nuovi progetti logistici. Yerevan ha chiesto accordi supplementari per chiarire presunte ambiguità nel documento sottoscritto, di fatto sabotando l’iniziativa. Al cuore del funzionamento dei nuovi assi sta una striscia di territorio armeno larga 44 km, la provincia di Syunik, nesso imprescindibile per la realizzazione del “corridoio di Zangazur” fra Baku e Ankara.

Nell’era post-Karabakh 2, la Georgia si trova di fronte ad un cortocircuito della propria politica estera. Per un quarto di secolo Tbilisi ha mantenuto una linea incondizionata di avvicinamento al blocco atlantico, prestando il proprio territorio al corridoio infrastrutturale volto ad isolare Russia ed Iran. Se il nodo del Nakhichevan rientrasse a pieno regime, la Georgia perderebbe la propria funzione di connettore esclusivo degli scambi tra il Mar Nero e il Mar Caspio e fra Turchia ed Azerbaigian (la recente linea Baku-Tbilisi-Kars, in cui Tbilisi ha investito notevolmente, è di 340 km più lunga del nesso tramite Nakhichevan e l’Armenia).

Vi sarebbero infine gli attori sub-statali della regione, in particolare le repubbliche separatesi dalla Georgia di Abkhazia ed Ossezia del Sud, entrambe basi di nessi infrastrutturali strategici quali la ferrovia costiera del mar Nero e l’autostrada transcaucasica. Tutti vorrebbero sfruttare le proprie importanti collocazioni logistiche per migliorare posizioni economiche e negoziali, ma non sono al momento in grado di far sentire la propria voce. 

In definitiva troppi fattori intervengono nel rallentare la realizzazione dei progetti di connettività. Gli attori giocano la partita delle infrastrutture avendo in mente le implicazioni strategiche e geopolitiche che i nuovi progetti comporteranno. Nell’attesa che il dragone economico cinese faccia sentire la sua forza anche a queste latitudini, vi sono diffuse aspettative negative nei confronti della Turchia e delle accresciute capacità che le infrastrutture le fornirebbero. Conscio del problema, Recep Tayyip Erdoğan ha proposto a tutti gli attori regionali di sottoscrivere un “Patto caucasico”, o formato “3 + 3” (Armenia, Azerbaigian e Georgia più Turchia, Russia e Iran), proposto quale nuovo quadro multilaterale di cooperazione e coordinazione fra le potenze e gli Stati post-sovietici, anche nell’ottica di un sistema di sicurezza comune. A metà giugno, Erdoğan si è recato con il Presidente azero Aliyev nelle “terre liberate”. Egli ha qui ha affermato l'interesse di tutti gli stati regionali, Russia compresa, nello stabilire il corridoio di Zangazur. Ankara corteggia inoltre l’Armenia prospettandole la riapertura delle comunicazioni terrestri, sibillinamente, “se Yerevan farà passi positivi verso Ankara”. Si vedrà nelle prossime settimane se la situazione armena si sbloccherà in seguito alla vittoria elettorale di giugno del premier in carica Pashinyan, autore di diverse dichiarazioni a favore dei nuovi assi di trasporto.

Ma anche in tal caso resterà l’incognita delle mosse degli Stati Uniti. Rinverdendo l'importanza geopolitica regionale di Russia, Iran e Turchia, gli assi infrastrutturali continentali minano equilibri che Washington ha costruito per decenni. Gli USA influenzano le posizioni della Georgia che si è detta pronta a considerare il quadro “3 + 3” solo se divenisse un “2 + 3”, ossia se la Russia ne fosse esclusa, ciò che ovviamente improponibile dato il ruolo svolto da Mosca sul terreno del Karabakh e la serie di azioni di veto che da qui si originerebbero se la Russia fosse messa sulla difensiva. Il “Grande Gioco” è dunque destinato a continuare a discapito della connettività. 




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Il-nodo-geopolitico-dei-Corridoi-Trans-Caucasici-di-Fabrizio-Vielmini-965-ITA.asp 2021-07-14 daily 0.5