Il rapporto BP 2015: uno sguardo sul comparto dell'oil & gas centroasiatico (di Fabio Indeo)

La pubblicazione del report della British Petroleum (BP Statistical Review of World Energy 2015) fornisce una rilevante ed affidabile prospettiva sulle evoluzioni in atto nello scenario energetico internazionale.
In quest'ottica, risulta di particolare interesse osservare i dati relativi alle tre repubbliche centroasiatiche produttrici di idrocarburi e detentrici di rilevanti riserve di petrolio e gas naturale (Kazakhstan, Turkmenistan ed Uzbekistan) e compararli con i dati degli anni precedenti, con l'obiettivo di analizzare i progressi della loro strategia di diversificazione delle esportazioni e l'influenza degli ostacoli (strutturali e geopolitici) che ancora permangono ed ostacolano il raggiungimento di questi obiettivi nei quali si coniugano interessi di politica estera e di politica interna.

Il report della BP conferma le enormi riserve di petrolio detenute dal Kazakhstan, che ammontano a 30 miliardi di barili, le seconde più vaste in Eurasia dopo la Federazione Russa e che pongono la repubblica governata da Nazarbayev al dodicesimo posto al mondo per riserve.

Tuttavia la combinazione tra i bassi prezzi del petrolio e la necessità di cospicui investimenti e di tecnologia moderna - per ovviare alle difficoltà di sfruttamento e di commercializzazione di alcuni giacimenti sul Caspio (come Kashagan) - si riflette pesantemente sulla produzione, calata nel 2015 dopo due anni di crescita. Considerati i consumi interni, il Kazakhstan può destinare all'esportazione circa 1,5 milioni di barili al giorno, ma la produzione petrolifera sostanzialmente stagnante allontana nel tempo l'obiettivo di raddoppiare la produzione, arrivando alla quota di 3 milioni di barili prodotti al giorno grazie all'apporto del mega-giacimento di Kashagan.

Secondo le stime Kashagan dovrebbe contenere 13 miliardi di barili di petrolio, ma dopo un parziale avvio della produzione nel settembre 2013, alcuni problemi tecnici hanno bloccato le attività. Secondo le autorità kazake il restart della produzione dovrebbe avvenire entro dicembre 2016, anche se le compagnie del consorzio dedite allo sfruttamento di questo giacimento sul Mar Caspio fanno slittare il termine a giugno 2017.
Nonostante i ritardi, il consorzio stima che nel 2020 (anziché nel 2018) la produzione dovrebbe attestarsi sui 370 mila barili al giorno, raggiungendo poi i 450mila barili al giorno nel 2025, mentre a pieno regime la produzione di Kashagan dovrebbe raggiungere 1,5 milioni di barili al giorno.

È interessante notare come la collocazione geografica di Kashagan nel settore settentrionale del Caspio e l'eterogeneità del consorzio NCOC (North Caspian Operating Company) - esso infatti annovera l’italiana Eni, la kazaka KazMunayGaz, la francese Total S.A., l’anglo-britannica Royal Dutch Shell, la statunitense Exxon Mobile (ognuna delle quali possiede una quota del 16,81%), la cineseChina National Petroleum Corporation (che possiede l’8,4%) ed infine la giapponese Inpex(con il 7,56%) - influiscano sulla decisione inerente i futuri mercati di sbocco della produzione di questo giacimento.

Considerando la posizione geografica e per l'infrastruttura esistente, l'opzione di convogliare la produzione iniziale di Kashagan nell'oleodotto CPC - da Tengiz al terminal russo di Novorossiysk sul Mar Nero - appare sensata in termini economici, in attesa della costruzione di altre eventuali infrastrutture di esportazione, ma si scontra sia con la volontà kazaka di diversificare le rotte e sia con gli interessi geopolitici delle compagnie coinvolte.

Infatti, un crescente impegno finanziario cinese - per supportare l'incessante lievitare dei costi di sfruttamento di Kashagan - potrebbe facilitare lo sviluppo della rotta orientale, ovvero convogliare la produzione di Kashagan sull'esistente oleodotto sino-kazako (da Atyrau ad Alashankou) e sulla futura parallela pipeline che i cinesi intendono realizzare per convogliare il petrolio kazako dal Caspio verso la Cina.

Il corridoio occidentale verso i mercati europei è invece l'opzione supportata dalle compagnie occidentali, potenziando le esportazioni con petroliere lungo il Caspio e convogliando volumi crescenti sull'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC).

Per quanto concerne le riserve di gas naturale, BP stima 900 miliardi di metri cubi (mmc), con una produzione in costante crescita (12,4 mmc nel 2015) ma in larga parte assorbita dalla domanda interna e che comunque non arriva a soddisfare i bisogni dell'intera nazione, in quanto la produzione si concentra nel Kazakhstan nordoccidentale e non esistono connessioni sviluppate con il resto della nazione: questa condizione costringe Astana ad importare gas dalla Russia e dai confinanti Uzbekistan e Turkmenistan da destinare alle densamente popolate regioni meridionali.

Diversamente dal settore petrolifero, il Kazakhstan ha difficoltà a porsi come esportatore significativo di gas naturale, sia per gli elevati consumi interni e sia per la distanza dai mercati occidentali, in quanto parte dei giacimenti sono vicini al confine russo: quindi la direttrice orientale d'esportazione è quella maggiormente seguita, con quasi 11 mmc esportati in Russia e 0,4 mmc esportati in Cina nell'ambito del gasdotto Cina-Asia Centrale, in crescita rispetto ai 0,1 mmc del 2014.

In una prospettiva infrastrutturale, con il completamento entro il 2017 del gasdotto Beyneu-Bozoi-Shymkent - che avrà una capacità di 10 mmc - il Kazakhstan potrà incrementare le esportazioni verso la Cina ma allo stesso tempo soddisfare i  bisogni delle regioni meridionali, connettendosi con i gasdotti esistenti, e di conseguenza riducendo le importazioni dalle repubbliche centroasiatiche vicine.

A differenza del Kazakhstan, il Turkmenistan ha delle limitate risorse petrolifere (600 milioni di barili) ma dispone di immense riserve di gas naturale, le quarte al mondo dopo Iran, Russia e Qatar.

Tuttavia, il report di BP evidenzia un interessante dato relativo al comparto petrolifero turkmeno, ovvero la crescita continua della produzione petrolifera (+5%) rispetto al 2014, passata da 249 mila barili a 261mila giornalieri.

Questo incremento della produzione petrolifera risulta importante in quanto viene convogliata nell'oleodotto BTC (attraverso petroliere che collegano il porto di Turkmenbashi al porto azero di Baku), legittimando la cooperazione energetica con i mercati europei e sviluppando il vettore di esportazione energetica occidentale all'interno di una più ampia strategia di diversificazione. Basti pensare che nel 2015 il Turkmenistan ha incrementato del 40% le sue esportazioni petrolifere nel BTC.

Le autorità turkmene forniscono stime differenti sulle riserve potenziali del Caspio,  al fine di attrarre investimenti e know how per lo sviluppo dei giacimenti offshore: diverse grandi compagnie petrolifere internazionali - Eni, la malese Petronas, Dragon Oil, la russa Itera - hanno investito nell'offshore turkmeno, contribuendo all'incremento della produzione.

Per quanto concerne il gas naturale, nel 2015 la produzione turkmena è cresciuta del 4,5% (da 69,3 mmc a 72,4 mmc), condizione che consente alla nazione centroasiatica di implementare i progetti di diversificazione delle rotte d'esportazione, alimentando il vettore orientale e quello occidentale. 

Tuttavia, se da un lato vengono annunciati importanti progetti come il gasdotto TAPI (capacità 33 mmc, da realizzare entro il 2019), il potenziamento del gasdotto Cina-Asia Centrale (Asghabat si è impegnata ad esportare 65 mmc di gas entro il 2020) e la connessione del gasdotto East-West con il progettato gasdotto Transanatolico (per alimentare il vettore occidentale d'esportazione, con una capacità di 30 mmc), dall'altro lato si rileva come l'attuale ritmo di crescita della produzione non appaia sufficiente al raggiungimento degli obiettivi sanciti nel programma di sviluppo nazionale, ovvero produrre 230 mmc di gas naturale entro il 2030, in modo da destinare circa 180 mmc all'esportazione.

Comparando i dati BP relativi all'esportazione di gas turkmeno, si deduce un preoccupante calo delle esportazioni rispetto al 2014, ridotte da 41,6 mmc a 38,1 mmc del 2015. Ad influire su questo calo la decisione di Gazprom di ridurre i volumi acquistati da 9 mmc (2014) a 2,8 mmc nel 2015, mentre sono cresciute le esportazioni verso l'Iran (7,2 mmc) e verso la Cina (27,7 mmc), certificando la dipendenza di Asghabat dai mercati energetici cinesi, dove viene convogliato il 70% delle esportazioni.

Inoltre, l'immenso giacimento di Galkynysh (che le autorità turkmene stimano aver riserve per 26 mila miliardi di metri cubi, 9 mila miliardi in più delle riserve totali nazionali stimate da BP) non sembra aver raggiunto ancora i livelli di produzione prospettati per le prime due fasi di sfruttamento - portate avanti dai cinesi - ovvero  60 mmc, per raggiungere poi i 90-95 mmc nella terza fase da completare entro il 2020 grazie al coinvolgimento di compagnie giapponesi.

Per quanto concerne l'Uzbekistan, questa repubblica centroasiatica detiene limitate riserve di petrolio (600 mila barili, come il Turkmenistan) mentre BP stima riserve di gas naturale pari a 1.100 miliardi di metri cubi.
Potenzialmente quindi l'Uzbekistan avrebbe i mezzi per assurgere al ruolo di gas supplier regionale: basti considerare che questa repubblica detiene le stesse riserve di gas dell'Azerbaigian - partner strategico della UE nella realizzazione del Corridoio Energetico Meridionale, al fine di garantire una condizione di sicurezza energetica attraverso la strategia di diversificazione delle rotte - ed ha una produzione tre volte superiore a quella azera (Tashkent produce 57,7 mmc di gas contro i 18,2 mmc di Baku).

Tuttavia il fattore geografico, l'elemento infrastrutturale e la domanda interna condizionano la strategia energetica uzbeca: infatti, la posizione strategica dell'Azerbaigian sull'altro lato del Caspio garantisce a questa repubblica la possibilità di raggiungere con maggiore facilità i mercati europei, mentre l'Uzbekistan si trova incastonato nel cuore dell'Asia Centrale, confina con tutte le repubbliche postsovietiche, e gli unici partner energetici risultano essere Cina e Russia.

Inoltre, la produzione di gas uzbeca è stagnante in quanto è cresciuta di soli 1,1 mmc nell'arco di un decennio, e in gran parte assorbita dalla domanda interna (50,3 mmc), cresciuta del 3,1% che di fatto a inficiato sulla riduzione delle esportazioni, passate da 8,5 mmc del 2014 a 7,5 mmc del 2015.

Russia e Kazakhstan sono tradizionali partner energetici di Tashkent, sfruttando il vetusto sistema infrastrutturale di gasdotti di epoca sovietica. A differenza della cooperazione energetica con il Turkmenistan, la Russia appare intenzionata a mantenere il proprio peso sul comparto energetico uzbeco: entro il 2018 la Lukoil sarà in grado di produrre all’anno 16 mmc di gas uzbeco, volumi che potrebbero essere destinati a soddisfare la domanda interna - evitando le interruzioni delle forniture destinate al consumo nazionale - o a incrementare le esportazioni verso la Russia.

Per ragioni di prossimità geografica e orientamento geopolitico, la Cina rappresenta un altro rilevante partner energetico, attraverso il gasdotto Cina-Asia Centrale: tuttavia, secondo BP il volume delle esportazioni si è ridotto dai 2,4 mmc del 2014 a 1,5 mmc del 2015, condizione che appare parzialmente vanificare l'obiettivo di Karimov di incrementare le esportazioni verso la Cina sino ad arrivare a 10 mmc.

In conclusione, si può rilevare che l'efficace strategia di diversificazione delle rotte d'esportazione energetica intrapresa dal Kazakhstan potrebbe indebolirsi per l'appartenenza di Astana all'Unione Euroasiatica all'interno della quale la Russia - in qualità di azionista di maggioranza - intende creare un mercato unico del petrolio e del gas naturale. Riguardo al Turkmenistan, la decisione russa di non rispettare i contratti esistenti e di non acquistare i volumi pattuiti di gas turkmeno per il 2016 appare destinata ad accentuare la dipendenza dai mercati cinesi, in attesa dell'avvio del TAPI e della realizzazione del Corridoio Energetico Meridionale. Infine, la capacità dell''Uzbekistan di sviluppare rotte alternative risulta pesantemente condizionata dalla sua posizione geografica, in quanto una sua potenziale inclusione nel Corridoio Energetico Meridionale verso la UE dipende dalla realizzazione di infrastrutture di lavorazione e di esportazione ex novo, orientate verso ovest: considerati i costi elevati, la crescente ed ampia domanda interna e la consolidata influenza sino-russa nel comparto energetico nazionale, questa prospettiva appare geopoliticamente non fattibile.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/Il-rapporto-BP-2015-uno-sguardo-sul-comparto-dell-oil---gas-centroasiatico-di-Fabio-Indeo-249-ITA.asp 2016-06-28 daily 0.5