Il ribaltamento diplomatico tra Cina e USA e la sua influenza in Asia Centrale (di Fabio Rondini)

I recenti eventi riguardanti la regione dell’Asia Orientale e Centrale sembrano potenzialmente in grado di ridefinire equilibri politici consolidati da diversi decenni, ponendo nuove domande sul futuro delle relazioni costruite dagli Stati Uniti in queste due aree. Tra questi, vanno ricordate soprattutto, il riavvicinamento tra Washington e la Cina causato dalla crisi missilistica coreana, l’ambizioso programma cinese “One Belt One Road” e il taglio ai fondi destinati allo sviluppo di numerose regioni dell’Asia centrale voluto dal Presidente Donald Trump. Tali elementi indicano che la nuova amministrazione repubblicana non sia ancora riuscita ad elaborare una strategia concreta e che la Cina stia progressivamente espandendo la propria influenza.

Partendo dalla situazione in Asia Orientale, nonostante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’eredità del sistema di alleanze statunitense ha perdurato, dimostrandosi un utile canale per il mantenimento dell’influenza di Washington in Asia e per consolidare le relazioni con partner strategici quali Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Giappone, Corea del Sud e Taiwan. 

La decisione di mantenere in vita tali legami può essere paragonata alla sopravvivenza della NATO in Europa; entrambe legittimate dalla condivisione dello stesso scopo: difendere i Paesi partecipanti da qualsiasi aggressione esterna. 

Questa condizione diplomatica ha riscontrato la forte opposizione di Pechino, che ha sempre considerato questi legami come strumenti diplomatici volti a contenere sua influenza nella regione. In particolare, l’ex Presidente Barack Obama e la sua amministrazione si sono dimostrati molto più attivi in Asia Orientale rispetto ai suoi predecessori nell’Ufficio Ovale e, in occasione del discorso pronunciato da Obama dinnanzi al Parlamento Australiano del 17 Novembre 2011(1), l’ex Presidente ha sottolineato la postura degli Stati Uniti di “Pacific Power”; slogan rafforzato dal concetto di “Pivot to Asia” elaborato dall’allora Segretario di Stato Hillary Clinton. Indubbiamente, le questioni relative alla sicurezza della regione hanno giocato un ruolo decisivo nel mantenere viva l’attenzione diplomatica di Washington sui suoi alleati; tuttavia, la presenza statunitense in Asia orientale non sarebbe stata giustificata e spiegata esclusivamente da ragioni militari, ma anche da motivi economici e commerciali. 

Questa tendenza avrebbe dovuto essere confermata dalla conclusione del Trans-Pacific-Partnership (TPP), che avrebbe dovuto rassicurare i funzionari cinesi riguardo alla ragione principale del mantenimento della presenza americana nella regione: non solo il contenimento dell’espansionismo cinese, ma anche il bisogno di una maggiore e più approfondita cooperazione in ambito economico. Eppure, l’esclusione della Cina stessa dai negoziati per il TPP, insieme al rafforzamento dei legami militari con partner nuovi e di vecchia data da parte di Washington (dal Giappone all’Australia, dalle Filippine alla Corea del Sud, insieme al Vietnam) hanno accresciuto le preoccupazioni cinesi riguardo alla strategia americana, considerata come apertamente contrastante rispetto agli interessi della Repubblica Popolare Cinese (2).

Questa percezione ha progressivamente condotto verso misure più assertive da parte di Pechino, come la decisione di inviare due unità navali nel 2012 per riaffermare la sovranità cinese sulle isole Senkaku nel Mar Cinese Meridionale, arcipelago protetto dalla marina statunitense. In altre parole, secondo la posizione espressa da Shi Yinhong, Consigliere di politica estera del Consiglio di Stato cinese, a causa del “Pivot to Asia” sullo sfondo, “la rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina è andata aumentando e la cooperazione strategica tra questi due attori è stata gradualmente danneggiata”(3).

Nel corso degli ultimi mesi, diversi fattori e numerosi eventi hanno generato una sorta di diplomazia caotica da parte di Washington verso l’Asia, inducendo gli esperti a etichettare il “Pivot to Asia” come un esperimento defunto.

Tra questi, l’elezione di Donald Trump, con il suo programma di politica estera improntato a un’idea di America First ancora molto sfocata, e le dichiarazioni rilasciate dal Vice Segretario per l’Asia Pacifico Susan Thrornton secondo le quali il “Pivot to Asia” sarebbe da considerarsi come un semplice pilastro della strategia di politica estera della precedente amministrazione e la cui prosecuzione non appare come necessaria per la nuova presidenza.

I primi mesi dell’amministrazione repubblicana hanno dimostrato di essere caratterizzati da un approccio diplomatico imprevedibile e da una tendenza verso il protezionismo sancito dal ritiro degli USA dal TPP, conducendo a uno scenario politico sempre più difficile da decifrare. Trump ha dimostrato interesse verso l’Asia, invitando numerosi leader a Washington durante i primi mesi della sua presidenza (soprattutto i Primi Ministri australiano e giapponese, oltre al Presidente cinese Xi Jinping) e focalizzandosi sulla questione coreana. Sembra, tuttavia, che tali misure siano improntate maggiormente a cercare di liquidare la questione nord coreana, piuttosto che all’elaborazione di una strategia di lungo periodo per l’Asia orientale. 

La combinazione di un approccio imprevedibile e di una diplomazia caotica rende difficile lo sviluppo di una strategia di politica estera e conduce ad una riduzione dell’influenza americana nell’area, sancita sia dall’abbandono del TPP(4), sia dall’attivismo economico cinese, il cui esempio più ambizioso risiede nel progetto “One Belt One Road”(OBOR) volto a garantire l’approvvigionamento di risorse energetiche all’economia cinese (5). OBOR, tuttavia, costituisce solo una delle numerose iniziative promosse da Pechino negli ultimi anni (tra le quali la costituzione dell’Asian Infrastructure Investment Bank oppure la promozione della New Development Bank fondata dai Paesi BRICS nel 2014). Tale attivismo economico, unito al vertice dell’ASEAN del 28-29 Aprile 2017 e alle crescenti spese per il settore militare stanziate da Pechino, potrebbe portare a un ribaltamento dello status diplomatico dell’intero continente.

Anche in Asia centrale, la situazione diplomatica sembra indirizzarsi verso una riduzione dell’influenza americana. Questa regione non ha mai costituito una priorità nella politica estera statunitense e il taglio di fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo verso l’Asia centrale e meridionale non costituisce in sé una novità, sia per la postura internazionale promossa da Trump in campagna elettorale, sia perché dopo la conclusione della guerra in Afghanistan l’interesse statunitense in Asia centrale appare molto ridimensionato. 

La proposta di taglio agli aiuti interesserà soprattutto il settore sanitario, la lotta al cambiamento climatico, ma anche l’interruzione totale degli aiuti a Kazakistan e Uzbekistan; il primo riceveva un ammontare di aiuti finanziari pari a 6 miliardi di dollari annui, mentre il secondo, uno dei Paesi più diplomaticamente isolati al mondo insieme alla Corea del Nord, otteneva da Washington circa 3,4 miliardi (6). 

Pur limitati, tali aiuti, destinati soprattutto alla promozione della democrazia, dei diritti umani e alla lotta al terrorismo, consentivano agli Stati Uniti di mantenere un certo livello di influenza, che ora sembra essere sostituito gradualmente dai numerosi piani infrastrutturali promossi dalla OBOR, tra i quali spicca la progettazione di una linea ferroviaria che dovrebbe attraversare Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan. 

Molti Paesi asiatici si ritrovano dunque in una condizione di apparente dicotomia tra la protezione militare offerta dagli Stati Uniti contro un potenziale espansionismo cinese, e la possibilità di trarre profitto economico dai programmi di sviluppo di Pechino. Secondo gli esperti, con un graduale disimpegno statunitense, la situazione geopolitica dell’Asia sta raggiungendo il punto oltre il quale molti Stati sono disincentivati a rafforzare i legami strategici con Washington per paura di ritorsioni economiche da parte di Pechino(7). Per queste ragioni l’Asia meridionale e centrale sta incrementando notevolmente la loro importanza geopolitica. Se vorrà continuare a conservare una certa influenza a livello globale, l’amministrazione Trump sarà chiamata a rivedere i propri piani di politica estera per tali aree, continuando a promuovere piani di sviluppo, aiuto e di promozione della democrazia e, nel caso dell’Asia centrale, anche di riforme nel settore della difesa. 


Note
(1) Barack Obama speech at the Australian Parliament, White House, November 17 2011. 
(2) Axel Berkofsky, Il pivot to Asia di Washington: risultati e impatti in Il Mondo di Obama, a cura di Paolo Magri, Piccola Biblioteca Mondadori, 2016. 
Gianluca Pastori, “Dopo il‘pivot to Asia’ un vero cambio di rotta?”, ISPI online, 21 Febbraio 2017. 
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dopo-il-pivot-asia-un-vero-cambio-di-rotta-16346.
(3) Axel Berkofsky, Il pivot to Asia di Washington…cit, p. 52.
(4) Dan de Luce, Keith Johnson, In the South China Sea, the US is struggling to halt Beijing’s advance, Foreign Poicy, May 25 2017
(5) Benjamin Lee, Trump’s first 100 days in Asia, The Diplomat, 28 Aprile 2017.
Francesco Tortora, Cina, ASEAN,‘Via della Seta’ e prospettive imminenti, L’Indro, 17 Maggio 2017
(6) Alyssa Ayres, Trump To Cut Foreign Aid Budgets, Opening South And Central Asia's Door To Chinese Influence, Forbes, 4 Maggio 2017.
https://www.forbes.com/sites/alyssaayres/2017/05/04/trump-to-cut-foreign-aid-budgets-opening-south-and-central-asias-door-to-chinese-influence/#14f71b1f5f50
Catherine Putz, Will the US Ever Get a New Central Asia Policy?, The Diplomat, 3 Maggio 2017.
http://thediplomat.com/2017/05/will-the-us-ever-get-a-new-central-asia-policy/
(7) Ely Ratner, Samir Kunar, The United States is losing Asia to China, Foreign Policy, 12 Maggio 2017.

(Fabio Rondini ha conseguito nel 2015 con
lode la Laurea Magistrale in Politiche Europee ed Internazionali presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano discutendo una tesi in Storia
dei Trattati e Politica Internazionale dal titolo “Il ruolo dell’Italia nell’Alleanza Atlantica (1949 – 1955)“. Nel
2016 ha ottenuto il Master in Diplomacy presso l’Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Ha partecipato a numerose simulazioni
Consules ed è membro del Club Atlantico Cisalpino con cui collabora.)





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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/Il-ribaltamento-diplomatico-tra-Cina-e-USA-e-la-sua-influenza-in-Asia-Centrale-di-Fabio-Rondini-404-ITA.asp 2017-07-31 daily 0.5