Intervista al professor Alexander Knyazev, Università di San Pietroburgo, specialista di Asia centrale: “La protesta è nata pacifica la violenza è tra oligarchi e clan”

Sulla crisi kazaka abbiamo intervistato il professor Alexander Knyazev, dell’università di San Pietroburgo, specialista di Asia centrale, Iran ed Afganistan, residente in Kazakhstan nel 2013-2020. 

Quali sono i principali fattori trainanti della settimana di violenza? 
Tutto è iniziato in modo pacifico nelle regioni occidentali. Ad Aktau, la gente è scesa in piazza per rivendicazioni economiche. Va comunque osservato come sia stata anche avanzata la richiesta politica di un’uscita definitiva dalla scena dell’ex-Presidente Nazarbayev, percepito quale simbolo dell’ingiustizia sociale.  

Sebbene massicciamente presenti sullo sfondo, le motivazioni economiche sono tuttavia marginali nello spiegare il caos in cui è sprofondato il paese. Il conflitto era destinato ad esplodere quale risultato delle tensioni che, dal momento delle dimissioni formali di Nazarbayev nel 2019, si sono accumulate ai vertici del potere. Tokayev ha assunto la carica suprema cosciente della necessità di una serie di riforme. Al contrario, si è trovato nell’impossibilità di agire autonomamente, bloccato in una rete di veti che gli venivano posti dal suo predecessore su impulso della mafia famigliare cresciuta intorno ad esso.  

Tokayev ha cercato di sfruttare le proteste nel Nord-Ovest per sbloccare lo stallo sciogliendo il governo. La mossa ha messo i rappresentanti della cerchia Nazarbayev in allarme, spingendoli a scatenare i primi disordini nelle regioni meridionali. Ci si attendeva che Tokayev, figura percepita quale mancante del polso necessario a gestire situazioni violente, si sarebbe dimesso o avrebbe accettato le condizioni della fronda.  

Al contrario, Tokayev ha proseguito sulla sua linea. A questo punto, figure quali i nipoti di Nazarbayev Kairat Satybaldy e Sanat Abish, che avevano ricoperto ruoli dirigenziali nel Comitato di sicurezza Nazionale (KNB) proprio curando i contatti con gruppi eversivi, hanno deciso di puntare sulla violenza generalizzata per vincere la partita.  
 
I portavoce del governo hanno accentuato il ruolo del Jihadismo transnazionale, parlando di un legame con l’Afghanistan. 
Una connessione diretta fra le dinamiche afghane e gli eventi in corso è fuori discussione. Anche sotto il primo regime talibano e durante l’occupazione occidentale, non vi sono mai state reti operative fra Afghanistan e resto del Centro Asia.  

Tuttavia, esistono gruppi jihadisti che fanno riferimento alla Turchia e ad altri paesi dell’area del Golfo. Va rilevato inoltre come il Kazakistan sia da anni impegnato in operazioni di rientro dei propri cittadini implicati nell’insorgenza ISIS. Gran parte dei repatriati ha proseguito un’opera discreta di propaganda. Tali soggetti sono stati agganciati dai descritti settori deviati del KNB. Simili connessioni riguardano anche gruppi che nel loro radicalismo si sono spinti verso il mondo criminale. 

Ad Alma-Ata, simili soggetti hanno sopraffatto coloro che volevano protestare per avanzare richieste sociali in opposizione a Nazarbayev ed il suo clan. Nei grandi centri urbani del paese sono presenti masse di sottoproletari che a lungo sono state tenute sotto controllo con politiche distributive, possibili nel momento in cui il paese ha goduto della manna petrolifera. Con la crisi, il regime ha dovuto progressivamente tagliare le prebende spingendo tali masse in un impoverimento che è divenuto intollerabile nelle condizioni della pandemia.  

Che ruolo hanno avuto i clan? 
Il fattore tribale ha giocato un suo ruolo, dato che nel sud si trovano i clan della Grande Orda da cui proviene la famiglia Nazarbayev. In senso positivo, le logiche tribali hanno confinato le proteste violente in queste zone, dato che i Kazaki occidentali non si sono sentiti coinvolti.  

Le proteste hanno fornito un’opportunità all’oligarca Mukhtan Ablyazov per presentarsi quale leader alternativo. 
Ablyazovnon rappresenta un serio attore politico almeno da un decennio. Dispone di qualche gruppo di sostegno che rilancia la sua propaganda sul terreno ma le sue possibilità di espansione sono minime. Lo stesso si può dire delle altre figure che facendo riferimento all’Occidente hanno cercato di porsi all’avanguardia delle proteste rivelandosi incapaci di parlare al popolo.
 
Più in generale, la dinamica degli eventi ha rivelato una drammatica assenza di chiare figure di leader, al massimo sono emersi capi-popolo a livello locale. 
 
E sul piano della competizione geopolitica fra potenze di cui il Kazakistan è costante oggetto? 
Aprendo l’ombrello OTCS la Russia ha intrapreso un passo rischioso. Qualunque cosa non dovesse funzionare verrà imputata a Mosca e ciò potrebbe avere un impatto su tutta la presenza russa all’interno della CSI. I soldati russi possono divenire oggetto di possibili provocazioni. 

Allo stesso tempo, l’intervento è stato per la Russia il male minore, date le potenziali ricadute del caos sul proprio territorio. 

Se in tale contesto, la leadership di Tokaev riuscirà a stabilizzare la situazione in tempi brevi, lo Stato kazakistano manterrà la sua importanza sulla scena regionale. In ogni caso, il nuovo Stato avrà minori margini di manovra rispetto all’era Nazarbayev. E’ finita l’era della multivettorialità in cui il paese giocava interessi russi, cinesi, americani e turchi l’uno contro l’altro. E sicuramente, pur se la competizione geopolitica proseguirà, Cina e Russia risulteranno avvantaggiate.  


Articolo pubblicato il 8 gennaio 2022
Fonte: Il Manifesto
Articolo Originale: https://ilmanifesto.it/la-protesta-e-nata-pacifica-la-violenza-e-tra-oligarchi-e-clan/




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