Kazakhstan: un difficile equilibrio tra Mosca e Pechino sullo sfondo della crisi ucraina (di Fabrissi Vielmini)

Le relazioni fra il Kazakhstan e la Cina proseguono a svilupparsi esponenzialmente favorite dalla congiuntura economica ed internazionale caratterizzata dal ribasso del prezzo dei combustibili fossili e dalla vicinanza politica alla Russia. Con un’economia ancora largamente basata sullo sfruttamento delle materie prime, il Kazakhstan risente in modo particolare della crisi internazionale mentre la scelta dell’integrazione eurasiatica con Mosca nel quadro dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE) espone il paese all'effetto delle sanzioni occidentali sull'economia del vicino. Di fronte a ciò la Cina offre al Kazakistan un contrappeso diplomatico ed un volano di crescita basato sullo sviluppo delle infrastrutture. 

Sfruttando tale congiuntura, negli ultimi due anni la Cina ha sottoscritto con i paesi centroasiatici contratti del valore di decine di miliardi di dollari USA, con il Kazakhstan in cima alla lista. Oltre a notevoli assets nello sfruttamento dei giacimenti d’idrocarburi, in questi anni, i cinesi si sono anche inseriti nel settore della cooperazione nucleare (inclusa la produzione di combustibile).

Oltre ad una fonte alternativa d’energia, il Kazakhstan rappresenta per Pechino la porta d’accesso alla regione e, attraverso questa, ai mercati mediorientali ed europei. Nel 2014, la Cina ha lanciato un piano di sviluppo di largo respiro denominato Silk Road Economic Belt (SREB). L'iniziativa prevede di saldare le infrastrutture di collegamento dello Xinjiang (regione autonoma nord-occidentale della Cina) con la rete kazakhstana e regionale. Al fine di favorire tali progetti, i cinesi hanno creato un fondo ad hoc di oltre 40 miliardi USD. Il 5 maggio scorso, il Presidente kazako Nursultan Nazarbayev ha assegnato al proprio governo il compito di costruire una nuova linea ferroviaria attraverso il paese dal confine con la Cina fino al porto di Aktau sul mar Caspio. 

Spinto da energia ed infrastrutture, il fatturato dell'interscambio sino-kazakhstano dovrebbe raddoppiare quest’anno dai 24 miliardi di dollari del 2012 (pari a oltre il 60% di tutto il commercio cinese con il Centro Asia). Pechino si muove abilmente nella regione. La via cinese al business, basata sul coinvolgimento parallelo delle istituzioni statali (quali la holding pubblica KazMunaiGas nel caso del Kazakistan) e dei membri di spicco dell’oligarchia economica, crea un modello di business in cui gli interessi personali si intersecano con le relazioni internazionali nel successo a lungo termine degli investimenti. In una regione in cui le condizioni di partenza per gli investitori esteri non sono fra le più facili, l’offerta cinese è tale da spiazzare già nel medio termine la concorrenza non solo del modello russo ma anche di quello occidentale. Nei confronti di questi ultimi e degli altri attori esterni, Pechino offre ai regimi locali le condizioni di cooperazione più favorevoli, tanto più che le relazioni con la Cina non sono oberate da condizioni sul modello nazionale di democrazia e rispetto dei diritti fondamentali. Tale situazione cela tuttavia risvolti perniciosi per i paesi della regione. Il modello cinese infatti, data la natura opaca delle relazioni che esso alimenta, caratterizzate dalla prevalenza di accordi «informali» su obblighi contrattuali definiti, radica ulteriormente la piaga locale della corruzione e, conseguentemente, l’atavica sinofobia da sempre presente nella società del Kazakhstan.

Soprattutto, sui piani cinesi grava l’incognita della posizione della Russia. Arterie ferroviarie direttamente alternative alla Transiberiana, quale la citata linea est-ovest in Kazakistan, non possono venire accolte con favore a Mosca. Più in generale, l’impostazione liberoscambista della SREB è in contraddizione diretta con il carattere protezionistico dell’UEE, nato proprio per ridurre la dilagante penetrazione commerciale della Cina nella regione. Finora Mosca e Pechino sono riuscite a trovare una formula di mediazione tra i loro contrapposti interessi regionali. L’esposizione della Russia in Ucraina ha ulteriormente impedito alla Russia di contrastare l’invadenza economica della Cina in Asia centrale ed in Kazakhstan in particolare. Tuttavia, con la crescita del peso cinese in Kazakhstan, Astana si troverà sempre più in difficoltà a soddisfare contemporaneamente i propri partner russi e cinesi. In questa prospettiva, occorre rilevare che solo mantenendo e rafforzando la sua associazione con la Russia, il Kazakhstan potrà evitare il rischio di trasformarsi in un fornitore deindustrializzato di risorse naturali per la Cina. 

In tale prospettiva è possibile misurare l’effetto distruttivo della crisi ucraina per l’insieme delle relazioni fra i paesi del continente eurasiatico. Proprio il separatismo ucraino, che Mosca si è trovata a sostenere per mantenere le proprie posizioni ad occidente, ha generato un cambiamento nella percezione kazakhstana dell'importanza del proprio partenariato strategico con la Cina. Dopo la Crimea, la presenza di Pechino è vista ad Astana quale garanzia nei confronti di un eventuale nazionalismo aggressivo di Mosca che potrebbe ripercuotersi sulle vaste regioni settentrionali del paese abitate in prevalenza da russi etnici. Lo scorso anno, il ritorno di Karim Masimov, uno dei massimi esperti nazionali di affari cinesi, alla guida del governo di Astana è stato letto come l'espressione di una tale politica. In tale prospettiva, Astana potrebbe utilizzare gli investimenti cinesi per neutralizzare potenziali tendenze separatiste in tali regioni, al punto di favorire l’immigrazione di kazaki etnici dalle regioni confinanti sotto sovranità cinese. 

In definitiva, Astana necessita di una rapida soluzione della crisi in Ucraina, che, attenuando i fattori etno-territoriali che sono intervenuti a distrarla dalle vere priorità dello sviluppo nazionale, riporterebbe la delicata equazione “multi-vettoriale” della propria politica estera sui binari della normalità. Al contrario, la persistenza dell’imbroglio ucraino danneggerà altresì la presenza europea in Asia centrale, regione da cui gli Stati Uniti hanno segnalato di volersi ritirare consegnandola all'abbraccio di una sempre più stretta cooperazione fra Russia e Cina.




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