Kazakistan, il perno dell'Asia Centrale (di Eugenio Novario e Fabrizio Vielmini)

Per la vastità e la centralità geografica del proprio territorio, incardinato fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, il Kazakistan rappresenta un’articolazione fondamentale nella definizione del rapporto fra Mosca e Pechino. Per entrambe il paese gioca un ruolo geopolitico di primo piano. Per la Russia il territorio kazako costituisce la via d’accesso all’Asia centrale. In seguito al lancio della Belt and Road Initiative (Bri o nuove vie della seta), anche la Cina attribuisce al Kazakistan un’importanza altrettanto determinante. Specularmente, quest’ancora giovane repubblica centroasiatica definisce la propria visione del mondo anche e soprattutto attraverso il passato, l’attuale e il futuro rapporto con i potenti vicini. Il paese è quindi al centro di un’enorme cintura d’acciaio, cemento e finanza, trampolino principale del consolidamento della nuova via della seta in direzione ovest e sud. Non è un caso che l’immenso progetto sia stato presentato al mondo da Xi Jinping nel 2013 proprio nella capitale kazaka, l’allora Astana. 


Il contesto geopolitico

 Al di là della centralità per le connessioni eurasiatiche, l’importanza del Kazakistan è accresciuta da ulteriori elementi di alto profilo strategico: la sua condizione di Stato rivierasco del Mar Caspio, nei cui fondali si trovano immense riserve di idrocarburi (che si aggiungono alle altre significative ricchezze minerarie nel resto dei suoi spazi continentali); la tradizione islamica della sua popolazione, che seppur temperata dall’esperienza ideologica comunista collega culturalmente il Kazakistan alla regione del Xinjiang, dove tra l’altro vive una significativa minoranza kazaka composta secondo gli ultimi dati disponibili da oltre 1,2 milioni di persone; il citato ruolo di articolazione con le altre tre repubbliche turcofone dell’Asia centrale (Uzbekistan, Kirghizistan e Turkmenistan) e quella iranofona del Tagikistan.


Il dispiegarsi della Bri amplifica ulteriormente la rilevanza strategica del paese, così come di tutta l’area centroasiatica. Il piano infrastrutturale cinese si sviluppa infatti sullo sfondo della parallela contrapposizione commerciale e geopolitica tra Stati Uniti e Cina, la quale a sua volta si somma al confronto fra gli Stati Uniti e la Russia in Ucraina e Siria. In tal modo, le evoluzioni del quadro geopolitico globale tra Usa, Russia e Cina si ripercuotono sul Kazakistan con intensità variabile. I rapporti con gli Usa sono improntati alla cooperazione diplomatica e industriale, con una considerevole capacità d’influenza a Washington derivante dagli ingenti capitali che il regime ha trasferito nel corso degli anni in Occidente. La strategia di sicurezza nazionale statunitense ha come obiettivo principale che i cinque «-stan» restino resilienti all’egemonia russo-cinese e stabili di fronte a possibili penetrazioni di movimenti jihadisti, sviluppando riforme politico-economiche in senso liberaldemocratico. Il Kazakistan intrattiene inoltre rapporti con la Nato sin dall’accordo sottoscritto nel 1995 nel quadro del programma Partnership for Peace (Pfp), mai messo seriamente in discussione nel dibattitto politico interno nonostante le ripe[1]tute proteste da parte russa e le diffidenze cinesi.


Inoltre, esiste una complessa rete di relazioni economiche e politiche con l’Unione Europea (in particolare con Francia, Germania e Italia) primo partner commerciale e principale investitore, Turchia, monarchie del Golfo, Corea del Sud, Giappone e Iran. Tale rete dimostra sia l’elevata capacità diplomatica del paese, soprat[1]tutto del suo ex presidente Nursultan Nazarbaev, sia la funzione che Nur-Sultan riveste per chiunque voglia avere un ruolo nell’estesa e complessa arena centroasiatica. Come ad esempio l’Italia, che vede nel Kazakistan un paese importante non solo per la diffusa e radicata presenza di imprese nazionali quali Eni, Bonatti, Renco, Kios, Saipem, Tenaris e Valvitalia ma anche per la sua centralità geografica, che ne fa un trampolino di lancio per tutta la filiera delle nostre piccole e medie imprese nel continente eurasiatico.


A fronte di un tale complesso gioco diplomatico, Russia e Cina devono dunque seguire con estrema attenzione gli sviluppi in quest’area. Nonostante il Kazakistan venga sovente descritto come oggetto geopolitico, il paese presenta un complesso quadro interno che ne determina l’evoluzione geostrategica. Tra i fattori endogeni si possono annoverare l’evoluzione della situazione politica e l’esito della transizione, i legami storici e le identità culturali, il crescente peso dell’opinione pubblica, l’influenza dei mass media, l’insufficiente grado di autonomia militare, lo sviluppo delle riforme, il peso e le scelte della nomenklatura economica.


La rilevanza geopolitica del Kazakistan viene oggi accentuata dalla transizione politica in corso: dopo quasi trent’anni di dominio personale in gran parte incontrastato, l’Elbasy («padre della Patria») Nazarbaev ha deciso di lasciare (formalmente) le redini della politica nazionale per affidarle a uno dei suoi uomini più fidati, Kasym-Zhomart Tokaev (presidente del Kazakistan dal marzo 2019), delineando una complessa e imprevedibile forma di coabitazione. Fra i motivi principali della scelta del proprio successore, Nazarbaev ha considerato il gradimento di cui Tokaev gode a Mosca e a Pechino, – diplomatico sin dai tempi sovietici, già premier e ministro degli Esteri, profondo conoscitore della lingua e dei meccanismi di potere russi e cinesi – così come in Europa e negli Stati Uniti (è stato anche direttore generale della sede Onu di Ginevra fra 2011 e 2013). Il successore di Nazarbaev può quindi rassicurare tutti i partner che hanno un interesse nella definizione della posizione internazionale del Kazakistan.


Mosca: il partner ineludibile

L’importanza geopolitica che il Kazakistan riveste per la Russia non può essere sottovalutata. In termini geografici, Nur-Sultan condivide con Mosca il confine terrestre più lungo del mondo, oltre 7.500 chilometri che rendono il grande Nord del paese praticamente indivisibile dall’estensione asiatica della Federazione Russa, della quale il Kazakistan costituisce la porta verso l’Asia centrale. Per Mosca il vicino meridionale è un partner imprescindibile per la gestione degli equilibri nel Mar Caspio e ospita sul suo territorio importanti infrastrutture militari, che ovviamente non hanno perso rilevanza in seguito all’indipendenza. In Kazakistan risiede inoltre una cospicua minoranza russa, meno pronunciata rispetto al periodo sovietico ma che costituisce tuttora oltre il 20% della popolazione, corroborando e potenziando i legami storici tra i due vicini.


Nur-Sultan rappresenta dunque un elemento fondamentale dell’attuale politica estera del Cremlino, all’interno e al di là dello spazio ex sovietico. In quest’ultima area il Kazakistan è assieme alla Bielorussia il partner più stretto di Mosca, fondamentale per la gestione delle due organizzazioni internazionali a guida russa: l’Unione Economica Eurasiatica (Uee) e l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc). La Russia attribuisce all’Uee un particolare valore simbolico, ancor prima che geopolitico e geoeconomico, e tale organizzazione non sarebbe sorta senza lo stimolo e l’elaborazione concettuale di Nazarbaev. Analogamente NurSultan ha supportato la diplomazia di Mosca in situazioni di conflitto in cui sono in gioco interessi della Russia, come ad esempio nel caso dei colloqui di Astana sulla Siria con Turchia e Iran. Il Cremlino non può dunque permettere che il Kazakistan abdichi al ruolo di fedele alleato.


Da parte sua, anche Nur-Sultan ha molteplici ragioni per sostenere il partenariato con Mosca. La feconda rete di relazioni economiche e militari può essere riassunta con un dato: il 39% delle importazioni kazake proviene dalla Russia.


Quest’ultima non può tuttavia diventare una destinazione dell’export del paese centroasiatico, fondato quasi esclusivamente su petrolio e gas come quello del suo vicino settentrionale. Nonostante Nazarbaev abbia tentato una diversificazione verso la Cina e la rotta transcaspico-turca, al netto di quello venduto a Pechino l’85% del petrolio e il 100% del gas esportato da Nur-Sultan passa attraverso il territorio russo.


Il sistema industriale dei due paesi è inoltre profondamente connesso. Le maggiori compagnie energetiche russe (Lukojl, Gazprom e Rosneft’) sono coinvolte nello sfruttamento delle materie prime e altre aziende operano in campi fondamentali per lo sviluppo del Kazakistan come i trasporti, l’agroindustria, la difesa, la finanza, la distribuzione e la logistica. Nel 2018 erano presenti nel paese centroasiatico 9.952 società a partecipazione russa, pari al 35% delle aziende a capitale straniero che operano in Kazakistan.


Il settore della Difesa costituisce un ulteriore potente collante del rapporto russo-kazako: oltre a far parte dell’Otsc, Nur-Sultan ha sottoscritto ben otto trattati di cooperazione militare con Mosca. Compreso quello siglato ad Astana nel 2013 che ha istituito un sistema di difesa aerea regionale congiunto e unificato (Urads), il cui comando è stato collocato nell’ex capitale Almaty. L’82% delle importazioni di armi del Kazakistan proviene dalla Russia e il 50% del personale militare del paese è addestrato dalle Forze armate della Federazione.


Un altro architrave della relazione bilaterale è poi la comune apprensione di fronte alla crescente presenza cinese nella regione, che Mosca e Nur-Sultan cerca[1]no di bilanciare attraverso la partecipazione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) e spingendo Pechino ad articolare le reti infrastrutturali della Bri in senso favorevole alle proprie economie e su linee accettabili per l’insieme dello spazio postsovietico.


Tra la popolazione kazaka la Russia gode di una percezione molto positiva 5. Anche sondaggi condotti da istituti occidentali 6 concludono che non solo la Russia è lo Stato verso il quale i kazaki guardano con maggior favore, ma che questi ultimi subordinano l’eventuale appoggio alle politiche statunitensi alla condizione che le stesse non siano contrarie agli interessi di Mosca. È evidente che il comune passato ha integrato in profondità i kazaki nella civiltà russa e questo rimane un fondamentale elemento antropologico-culturale nelle relazioni fra i due paesi, seppur in qualche modo attenuato dalle politiche etnonazionaliste seguite dalle élite del Kazakistan dopo il 1991. Il soft power russo si basa inoltre sul diffuso bilinguismo, che fa dei media russi un elemento forte e pervasivo nella vita quotidiana dei kazaki. Tale dato è importante in quanto il dominio dei media di Mosca non solo plasma le percezioni nazionali sulla politica mondiale, ma influenza anche l’opinione pubblica kazaka sui temi di politica interna. Di conseguenza, in un momento di transizione come questo chiunque in Kazakistan cerchi di scalare i vertici politici nazionali si adopera per ottenere il sostegno della Russia.


Nella relazione tra Mosca e Nur-Sultan esistono tuttavia delle controtendenze destinate a diventare più incisive negli anni a venire, soprattutto nel contesto della transizione politica kazaka. Non si può dimenticare che il coordinamento tra i due paesi si è retto in gran parte sull’intesa personale tra Putin e Nazarbaev, che si sono incontrati frequentemente per chiarire e appianare le possibili divergenze. La stessa adesione del Kazakistan all’Uee è strettamente associata alla figura dell’ex presidente kazako. Scegliendo Tokaev quale suo successore, quest’ultimo ha voluto offrire garanzie di continuità politica in primis a Mosca. Ciononostante, in assenza del fattore personale in futuro potrebbe essere più complicato raggiungere soluzioni operative.


La crisi in Ucraina sta lacerando anche le relazioni turco-kazake. Dopo che la Russia ha messo in discussione l’intangibilità dei confini postsovietici riappropriandosi della Crimea, lo spettro di scenari separatisti ha ricominciato a serpeggiare fra i russi etnici delle regioni settentrionali del paese, instillando nell’establishment kazako un certo timore sulla possibile evoluzione della politica putiniana. Tale paura è sempre stata presente nella visione strategica di Nazarbaev. Lo stesso spostamento della capitale da Almaty ad Astana (1997) venne dettato da una volontà di equilibrare quantitativamente il rapporto tra l’etnia autoctona e quella russa per prevenire possibili spinte separatiste.


Sul piano esterno, il confronto fra Russia e Occidente ha creato non poche tensioni nelle relazioni del Kazakistan con Unione Europea e Stati Uniti. Circostanza percepita come contraria agli interessi nazionali dai circoli governativi, che ve[1]dono nel mantenimento della diplomazia multivettoriale la chiave e il Leitmotiv della politica estera postindipendenza.


Da qui le prese di distanza degli ultimi mesi, come l’introduzione di un programma per abbandonare l’alfabeto cirillico a favore di quello latino (passaggio poi rinviato al 2035) e l’annuncio che il governo avrebbe iniziato a usare esclusivamente la lingua kazaka 7. I russi etnici vivono con apprensione l’uscita di scena di Nazarbaev, che percepiscono come figura di garanzia. Tanto che la transizione sembra aver incentivato la tendenza all’emigrazione dei non kazaki, spingendo così il paese verso un’ulteriore etnonazionalizzazione.


In seguito all’esplosione della crisi ucraina in Kazakistan si sono levate molte critiche contro le basi della Russia, accusata di occupare oltre centomila chilometri quadrati di territorio. Il governo ha voluto rinegoziare con Mosca i termini delle concessioni ottenendo la restituzione del 15% del suolo, che peraltro non veniva utilizzato dalle Forze armate russe.


La tendenza a rivedere gli assi consolidati del rapporto bilaterale riguarda persino l’Uee. Per quanto il Kazakistan mantenga una piena autonomia in campo fiscale e monetario, la partecipazione all’organizzazione limita la possibilità di NurSultan di adottare politiche in contrasto con gli interessi russi. Le ripercussioni sull’economia kazaka delle sanzioni inflitte dall’Unione Europea a Mosca, la crisi del rublo e alcuni regolamenti commerciali che occasionalmente giocano contro gli interessi del paese centroasiatico hanno innescato critiche severe nei confronti dell’adesione all’Uee, che arrivano a paventare la possibilità di un’uscita di NurSultan dall’Unione 10. Finora tali appelli non hanno riscosso successo, perché minoritari e strumentali alle strategie interne e internazionali del Kazakistan, ma in futuro la situazione potrebbe cambiare in caso di saldatura tra i nazionalisti e gli esponenti della nuova generazione.


Lo stretto legame tra Kazakistan e Russia, in particolare l’adesione della repubblica centroasiatica all’Uee, è inoltre sotto pressione da parte tanto degli Stati Uniti quanto dell’Unione Europea, che nel 2019 ha rilanciato la propria strategia verso l’Asia centrale.


La sfida cinese

Mentre l’intesa russo-kazaka diventa più incerta, Nur-Sultan si trova sempre più stretta nell’abbraccio cinese. La crescita degli interessi dell’Impero del Centro in Kazakistan è stata costante nel corso degli anni ed è destinata ad aumentare ulteriormente per effetto della Bri, nella quale il paese centroasiatico riveste una posizione chiave. Lo sviluppo delle infrastrutture finanziate dalla Cina è stato integrato nel programma nazionale Nurly Zhol («via luminosa»), che punta a rendere il paese un crocevia di contatti su scala eurasiatica mediante tre corridoi transcontinentali diretti verso la Russia, la Turchia (attraverso il Caspio e il Caucaso) e l’Iran 11. Alla proiezione kazaka contribuiscono strutture internazionali quali il programma per la cooperazione regionale in Asia centrale (Carec).


Il viceministro degli Esteri Roman Vassilenko ha reso noto che dal momento dell’indipendenza il Kazakistan ha potenziato 2.500 chilometri di ferrovie e costruito circa 4 mila chilometri di strade, inclusi i 2.700 chilometri del tratto kazako dell’autostrada Europa occidentale-Cina, lunga 7 mila chilometri. Nel crescente traffico ferroviario fra il Vecchio Continente e la Repubblica Popolare, due terzi dei beni attraversano il Kazakhstan. 


Tali dinamiche hanno permesso alla Cina di diventare il principale partner commerciale di Nur-Sultan (16% dell’interscambio), superando la Russia. Dal lancio della Bri nel 2013 Pechino ha investito nel paese centroasiatico oltre 5 miliardi di dollari, che si aggiungono ai 12 iniettati dalla China National Petroleum Corporation (Cnpc) nel comparto degli idrocarburi e ai 6,2 destinati alla costruzione di oleodotti verso oriente. Cnpc e altre compagnie cinesi controllano oltre un quarto degli asset kazaki nel settore energetico.


Come conseguenza, il debito di Nur-Sultan verso la Cina ammonta a 12,3 miliardi di dollari, pari al 4% del pil 15. Il Kazakistan prova a ovviare a tale situazione cercando di aumentare il proprio profilo internazionale, come dimostra la creazione dell’Astana International Financial Center, centro finanziario internazionale ubicato nell’ex area Expo della capitale.


La Repubblica Popolare ha espanso la propria influenza anche al settore dell’educazione aprendo ben cinque Istituti Confucio in Kazakistan, mentre il numero degli studenti kazaki nelle università cinesi – stimato in 18 mila – è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni, rendendo la Cina la seconda destinazione più popolare dopo la Russia.


Una simile trasformazione delle relazioni economiche bilaterali non può avvenire senza creare più problemi di quelli che risolve. La crescente presenza cinese tende a essere percepita in modo nettamente differente agli estremi della società kazaka. In maniera opposta alla percezione della Russia, il vertice e le élite economiche accolgono le avance cinesi come opportunità di arricchimento mentre alla base della società le reazioni sono di segno nettamente contrario. Negli strati popolari domina un senso di minaccia acuito dalla crescente presenza di personale cinese negli innumerevoli cantieri sorti in tutto il paese. Questo sentimento affonda le sue radici nella tradizionale sinofobia dei nomadi dell’Asia centrale, acutizzata negli ultimi due anni dalle aspre politiche introdotte da Pechino nel confinante Xinjiang per annientare i sentimenti separatisti dei locali uiguri turcofoni. La strategia cinese nella regione si è tradotta in arresti di massa e in un sistema di «campi di rieducazione» nei quali si stima siano attualmente detenuti circa un milione di musulmani, tra cui molti kazaki etnici.


La principale incertezza sul futuro delle relazioni tra Kazakistan e Cina sta nella loro natura opaca. I cinesi tendono infatti a preferire accordi «informali» che aumentano ulteriormente la locale propensione alla corruzione 19. Come negli altri paesi centroasiatici, il rapporto con la Repubblica Popolare tende a divenire una questione di politica interna. I progetti vengono di norma negoziati e gestiti dalle élite della capitale e poi imposti alle autorità regionali, le quali si trovano a dover gestire gli effetti della presenza cinese e il suo impatto sulle società locali. Queste ultime esternalizzano dunque i profitti e internalizzano le perdite, dal momento che vengono tagliate fuori dai benefici degli investimenti.


Lo sviluppo della Bri trasforma dunque in dissenso concreto le preesistenti pulsioni anticinesi ben più della repressione nel Xinjiang, rendendola uno strumento di propaganda di tutti i gruppi politici che si oppongono alle autorità centrali 20. Gli sfidanti dell’establishment potranno avvalersi della questione per cercare consenso, cavalcando il timore che la nomenklatura politica ed economica stia svendendo la sovranità nazionale e la sensazione che le masse non ricavino alcun vantaggio dalle transazioni con la Cina.


Un esempio lo si è avuto nel 2016, quando un decreto di privatizzazione che avrebbe avuto delle aziende cinesi come beneficiarie ha suscitato proteste di massa, costringendo le autorità a revocarlo. L’opposizione al regime cavalca la sinofobia. In particolar modo i movimenti giovanili, una delle anime del fronte anticinese. A settembre, mentre Tokaev da Pechino definiva le relazioni con la Repubblica Popolare in termini di «partenariato strategico globale permanente», la stampa locale e internazionale dava notizia che nelle principali città del paese andavano in scena numerose proteste – sfociate in decine di arresti – contro l’espansione dell’influenza economica cinese in Kazakistan. Manifestazioni che l’establishment kazako ha percepito come provocazioni dirette a nuocere alla posizione di Tokaev di fronte agli ospiti cinesi. A ottobre sono avvenute nuove proteste contro Pechino, anch’esse represse. Per placare sul nascere il dissenso, Nur-Sultan ha manifestato per la prima volta preoccupazione per l’entità delle repressioni antimusulmane nel Xinjiang.


Come nel caso della Russia, il Kazakistan sta cercando di prendere le distanze da Pechino. Esemplare, in tal senso, è stato l’affaire Syroezhkin, sinologo di alto livello arrestato dai servizi segreti a marzo in un’operazione speciale che ha lasciato i familiari per settimane senza notizie. Successivamente, il professore è stato condannato a dieci anni di reclusione per spionaggio a favore della Cina. Forse un messaggio a Pechino affinché limiti la sua penetrazione nel paese. L’arresto di Syroezhkin, ha commentato il Wall Street Journal, denota «un crescente disagio del Kazakistan per il peso della Cina e un profondo senso di vulnerabilità quale crocevia dell’Asia». Inoltre, Syroezhkin è stato consigliere di Tokaev per gli affari cinesi negli anni in cui quest’ultimo è stato premier, in particolare nelle trattative per la demarcazione della frontiera. Potrebbe dunque essersi trattato di un messaggio al nuovo timoniere da parte del clan Nazarbaev, perché non pensi di avere carta bianca sul futuro del paese una volta scomparso il patriarca.


Le dinamiche interne

La sfida cinese rimane immensa e le sue implicazioni difficili da prevedere, vista l’opacità del sistema economico kazako. È possibile, se non probabile, che le problematiche e i pericoli insiti nel rapporto con Pechino possano fungere da volano per una politica di maggior integrazione nell’Uee, dal momento che il rapporto con la Russia viene identificato come l’unica alternativa possibile al predominio cinese. In tal modo, come auspicato a Nur-Sultan, il quadro Uee potrebbe integrare i piani infrastrutturali della Bri per trasformare il Kazakistan in un ponte transcontinentale tra Cina e Russia al centro di una complessa rete multidimensionale di cooperazione economica. In tale scenario, l’Uee potrebbe servire da piattaforma per il miglioramento delle relazioni della Russia con Unione Europea e Stati Uniti, in linea con la vocazione alla mediazione dimostrata dal Kazakistan nel corso degli anni. 


Sarà dunque di fondamentale importanza il modo in cui Mosca e Nur-Sultan aggiorneranno i meccanismi della loro integrazione, al fine di rendere l’Uee una struttura che produca benefici per il maggior numero di attori economici nazionali. Rebus sic stantibus, l’impresa appare ardua indipendentemente dagli sforzi e dalla volontà del Kazakistan. La Russia è stata sinora incapace di costruire un modello di sviluppo industriale anche all’interno dei propri confini e non si vede come nel breve periodo possa trasformarsi in uno vero Stato leader, considerando tra l’altro che soffre degli stessi problemi che affliggono profondamente tutta l’area centroasiatica.


C’è invece chi ritiene che in presenza di un solido asse russo-cinese, il paese corra il serio rischio di perdere l’autonomia diplomatica ed economica che sin dall’indipendenza ha caratterizzato il profilo del Kazakistan sul piano internazionale. Inoltre, perderebbero di intensità anche il rapporto con il resto dell’Asia centrale e le possibilità aperte dal nuovo corso di politica estera dell’Uzbekistan, con il quale Nur-Sultan potrebbe creare un polo di bilanciamento nei confronti di Mosca e Pechino rilanciando il processo di integrazione regionale centroasiatica (anche all’interno dell’Uee in caso di adesione uzbeka).


Allo stesso tempo, il venir meno della leadership americana nella regione potrebbe accentuare la tendenza a mettere in primo piano la cooperazione militare. Mosca, tuttavia, non tollererà l’ingresso di attori esterni, men che meno della Nato, nella gestione della sicurezza del territorio kazako: se le nuove élite facessero concessioni in tal senso, le conseguenze sarebbero destabilizzanti. D’altra parte, se la politica americana verso la Cina dovesse evolvere dal contenimento a una fattiva ostilità Washington potrebbe essere tentata da un più incisivo intervento nelle dinamiche del paese centroasiatico, con gli obiettivi di minare la sicurezza russa e gli investimenti cinesi in Eurasia. Così come di fare pressioni sull’Iran attraverso il Caspio. Gli Stati Uniti hanno tuttavia poche pedine da muovere nel risiko kazako: i fattori geografici, culturali ed economici rendono difficile, se non impossibile, ribaltare il complesso delle alleanze intessute sino a oggi da Nur-Sultan.


In quest’intricata partita saranno determinanti le dinamiche che verranno innescate nel paese dall’uscita di scena definitiva di Nazarbaev. Il Kazakistan dovrà creare le condizioni per un’effettiva diversificazione dell’economia, ancora troppo legata allo sfruttamento delle risorse naturali, e una maggiore diffusione della ricchezza, in parallelo alla concessione di più ampie libertà politiche per soddisfare la crescente domanda in tal senso della popolazione.


L’autocratica e illuminata gestione di Nazarbaev ha infatti certamente ottenuto successi rilevanti in termini di sviluppo socioeconomico (soprattutto se comparati a quelli di altri petrostati postsovietici quali Azerbaigian o Turkmenistan), ma la rigida struttura oligarchica dell’economia rimane un ostacolo formidabile all’ulteriore sviluppo del paese. Non è dunque possibile escludere che la transizione istituzionale iniziata con l’elezione di Tokaev comporti l’insorgere di lotte di potere, anche perché la logica da cui muove l’odierna classe dirigente resta legata alla conservazione degli interessi e dei privilegi costituitisi sotto Nazarbaev dal 1991 a oggi.


Vanno poi tenuti in considerazione i delicati equilibri tra i clan, strutture di base su cui poggia storicamente la società kazaka che hanno mantenuto inalterata la loro influenza. Il clan a cui appartiene Nazarbaev, la Grande Orda, ha stretto un entente cordiale con la Media e la Piccola Orda: è fondamentale che tale accordo venga mantenuto, anche se potrebbe essere messo in discussione da alcune fazioni nel quadro di un’eventuale lotta per l’egemonia.


Il sistema di alleanze forgiato dal Kazakistan e il suo posizionamento lungo l’asse sino-russo – entrambi garanzie dello status quo – rischiano di essere messi in crisi anche dalle richieste di maggiori libertà politiche avanzate dalle nuove generazioni. Il futuro della repubblica centroasiatica è dunque legato a doppio filo all’esito delle politiche di modernizzazione e alla capacità della classe dirigente di definire un nuovo «contratto sociale» che rifletta i cambiamenti demografici, etnici e culturali del paese.




Articolo pubblicato il 05 dicembre 2019

Fonte: Limes

Autori: Eugenio Novario e Fabrizio Vielmini

Articolo Originale:https://www.limesonline.com/cartaceo/kazakistan-il-perno-dellasia-centrale 




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/Kazakistan--il-perno-dell-Asia-Centrale-di-Eugenio-Novario-e-Fabrizio-Vielmini-1084-ITA.asp 2022-02-07 daily 0.5