Kazakistan: ombre su Baikonur, porta di accesso allo spazio della Russia e non solo (di Andrea d’Ottavio)

Le recenti tensioni in Kazakistan allungano pericolose ombre sul proseguimento delle serrate attività spaziali russe, ma non solo. Il Cosmodromo di Baikonur costituisce ancora oggi il centro nevralgico di tutte le missioni spaziali con equipaggio dell’Agenzia Spaziale Russa (ROSCOSMOS) con il lancio dei vettori Soyuz, tutt’oggi principale soluzione di back-up della NASA per assicurare il trasporto di propri astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Sorte peggiore quella europea che in assenza di autonome capacità di lancio di propri astronauti – con vettori europei, da suolo europeo – deve così sottostare alle disponibilità russe ed americane. Il sito kazako di Baikonur è, quindi, crocevia strategico non solo delle attività spaziali russe, ma anche di quelle di diverse agenzie spaziali mondiali. Ulteriori elementi che fanno della stabilità del Paese centro-asiatico un’assoluta priorità per la Federazione Russa.

Una storia gloriosa 
Istituito nel lontano 1955 nel sud del Kazakistan allora parte integrante dell’Unione Sovietica, il Cosmodromo di Baikonur costituisce da sempre la principale storica porta di accesso allo spazio della Russia. Il suo valore simbolico è tutt’oggi senza eguali per l’intera storia dell’esplorazione spaziale umana che proprio da questo sito ha – letteralmente – mosso i primi passi nello spazio. Dal lancio dello Sputnik-1 nell’ottobre del 1957, al decollo delle Vostok-1 e 6 che fecero di Yuri Gagarin e Valentina Tereskova, primo uomo e prima donna a conquistare lo spazio. Dal Cosmodromo di Baikonur presero il via anche le storiche missioni lunari robotiche del (redivivo) programma spaziale sovietico LUNA, grazie al quale la cosmonautica russa poté fregiarsi di ulteriori e straordinari record mai raggiunti prima dell’uomo. Videro la luce dallo spazioporto kazaco anche le missioni Salyut (celeberrima la Salyut-1 del 1967, prima stazione spaziale della storia) e non per ultimo il progetto Buran -lo Space Shuttle russo – il cui unico storico volo completamente automatico decollò da sito di Baikonur nel 1988. Il collasso dell’Unione Sovietica appena tre anni dopo e la cancellazione di molti storici programmi spaziali, consegnò alla Federazione Russia una preziosa eredità (anche materiale, soprattutto in termini di infrastrutture) tra cui l’ancora oggi strategico sito kazako.

Un accesso strategico oggi ancora irrinunciabile, non solo per la Russia
Ancora oggi, il Cosmodromo di Baikonur costituisce il solo ed unico sito di lancio dal quale l’Agenzia Spaziale Russa (ROSCOSMOS) assicura in maniera stabile e continuativa l’autonomo trasporto di cosmonauti verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), ed il lancio dei moduli cargo di rifornimento (Progress) per il suo necessario ciclico approvvigionamento. Attività queste sufficienti a giustificarne il suo irrinunciabile ed assoluto valore strategico per le attività spaziali di Mosca, quale centro nevralgico di tutte le sue attività spaziali umane. Il suo utilizzo, tuttavia, non è confinato alle sole attività di lancio di missioni riguardanti la presenza umana russa in “orbita bassa” (LEO). In aggiunta, infatti, esso è crocevia importante anche di -quasi tutte- le attività spaziali russe votate alla messa in orbita di satelliti civili e militari, e di quelle legate all’esplorazione dello spazio -come, ad esempio, le già citate missioni lunari – e soprattutto di esplorazione interplanetaria. In termini di attività, il 2022 sarà un anno di grande importanza per il complesso di lancio kazako, soprattutto dal punto di vista delle missioni spaziali scientifiche nazionali (principalmente legate all’espansione del segmento russo sull’attuale ISS), ma anche internazionali. È infatti programmato per il mese di settembre il decollo di un vettore Proton (ICBM sviluppato durante la Guerra Fredda oggi “riconvertito” ad usi pacifici) darà il via alla missione EXOMARS. Missione in joint-venture con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), alla quale sono affidati i sogni e le ambizioni dell’Europa intera e della Russia stessa per quello che (si spera) sarà il primo storico sbarco di successo russo-europeo su Marte, candidando le agenzie ESA e ROSCOSMOS ad entrare a far parte del prestigioso – quanto ristretto – novero di quelle Agenzie Spaziali dotate di assetti robotici operanti sulla superficie del pianeta rosso, quali Stati Uniti e, recentemente, Cina. Una missione, peraltro, a completa guida italiana che rappresenta un traguardo tecnico e di ritorno scientifico di inestimabile valore per tutto il continente europeo. Sogni ed ambizioni quindi di quella che è, dal punto di vista tecnico e scientifico, la missione spaziale europea più importante della sua storia recente e che passano proprio per il Cosmodromo di Baikonur.

Europa peraltro che, non dotata di autonome capacità di accesso allo spazio con equipaggi umani da suolo europeo, è quindi costretta a rivolgersi all’Agenzia Spaziale Russa ROSCOSMOS anche per assicurare la ciclica presenza di suoi astronauti sulla ISS di cui essa è importante contributore e fondamentale partner scientifico. Trasporto di astronauti europei che, come anticipato in precedenza, viene assicurato insieme a quello dei colleghi russi mediante il decollo dei vettori Soyuz dal Cosmodromo di Baikonur. Una preziosa alternativa alla rispettiva disponibilità fornita dagli Stati Uniti -per il tramite della NASA- di posti per astronauti europei a bordo delle capsule private Crew-Dragon di Space-X. NASA che, nel caso di improvvisa indisponibilità di queste, ancora oggi, è costretta ad acquistare proprio dei seggiolini sulle Soyuz russe che – per quanto più spartani e meno confortevoli di quelli americani costruiti in Italia dalla Dallara – costituiscono quindi l’unica preziosa soluzione di back-up per assicurare il trasporto (e di qui la stabile presenza strategica a bordo) di astronauti americani sulla ISS. Una dipendenza storica iniziata nel 2011 a seguito del pensionamento dello Space Shuttle che, in assenza dello sviluppo di un sistema americano di trasporto spaziale alternativo, lasciò gli Stati Uniti senza alcuna capacità autonoma di trasporto ed accesso allo spazio con equipaggi umani.

Russia che fece lievitare il costo dei seggiolini delle Soyuz dai $22 milioni del 2008 (quando lo Shuttle era ancora pienamente in servizio) ai $90 milioni cadauno post suo pensionamento. Un lungo periodo di 7 anni in cui gli Stati Uniti risultarono totalmente dipendenti dall’avversario russo per l’accesso umano allo spazio. Dipendenza significativamente ridotta dal 2018, anno di ingresso in servizio delle capsule private di Elon Musk e che dovrebbe definitivamente cessare non appena le capsule CST-100 Starliner della Boeing verranno anch’esse certificate per il volo spaziale umano affiancando così quelle di Space-X. In questo modo, gli Stati Uniti saranno definitivamente indipendenti avendo prontamente ridondato – ed esteso – le proprie capacità di accesso autonomo allo spazio di astronauti americani, con vettori americani, da suolo americano. Fino ad allora però, anche le capacità statunitensi di accesso allo spazio con equipaggi umani continueranno, in qualche modo, ad essere strettamente legate alle sorti del Cosmodromo di Baikonur. 

Perché il Kazakhstan? Il dilemma sovietico del presente russo.  
A partire dalla metà degli anni ’50, il fermento dell’ingegneria missilistica sovietica portò al rapido sviluppo dei primi vettori balistici intercontinentali (ICBM), R-7 ed il Burya. Tuttavia, secondo le indicazioni degli stessi ingegneri sovietici, l’ulteriore sviluppo di questi richiedeva necessariamente -ed urgentemente- l’identificazione di un nuovo sito di test che risultasse maggiormente idoneo rispetto all’allora primordiale sito di Kapustin Yar, sul fiume Volga. Un sito che per la sua posizione geografica non avrebbe infatti consentito di estendere il raggio di azione degli ICBM sovietici oltre i 1.000-1.500 km. Non esistendo ancora i servizi di posizionamento satellitare (GLONASS, per la Russia), le attività di comando e controllo (tracciamento) delle traiettorie di volo degli ICBM venivano affidate allo sviluppo e dispiegamento di sistemi terrestri di radio-controllo. Fu proprio questo il requisito principale attorno al quale gli ingegneri sovietici partirono per la definizione dei nuovi test di sviluppo degli ICBM, la cui estensione del raggio di operatività richiedeva il dispiegamento di una fitta rete terrestre di “antenne guida” necessitanti di ampi spazi aperti privi di ostacoli naturali ed artificiali in modo tale da non limitarne il “range di visibilità” con i missili stessi, massimizzandone quindi il loro tracciamento per centinaia di miglia. Oltre al rischio di ricaduta degli stati esausti degli R-7 su aree densamente popolate, estendere il raggio di azione degli ICBM dal sito di Kapustin-Yar avrebbe significato dispiegare stazioni di terra fino al Mar Caspio se non, addirittura, in pieno territorio iraniano per garantirne il necessario tracciamento ed il relativo radio-controllo. Soluzioni rapidamente scartate dal Governo Sovietico. La prima, in particolare, proprio a causa dell’importante orografia montuosa del Caucaso che avrebbe creato non pochi problemi di “visibilità” alle stazioni di radio-controllo richiedendone un numero maggiore ed in aree impervie. 

La scelta della Commissione NII-4 cadde conseguentemente sull’opzione meno attrattiva di tutte -soprattutto dal punto di vista climatico- ma che rispettava al meglio le richieste degli ingegneri del radio-controllo di terra. Venne selezionata un’area sulla riva destra del fiume Syr Darya in Kazakistan tra le città di Kazalinsk e Dzhusaly, regione remota e scarsamente popolata collegata ai centri industriali della Russia dalla Kazakhstanskaya Railroad, oggi nota come Western-Kazakistan Railroad. Oggi come allora, dallo snodo della cittadina di Tyuratam -all’epoca un villaggio di pastori composto da circa 30 case e con un popolazione fissa stimata in 12 unità- un’unica linea ferroviaria si inabissa all’interno della gelida steppa kazaca per 28 km, arrestando la sua corsa in quella che era una miniera abbandonata a cielo aperto, ed il cui scavo venne riutilizzato dagli stessi ingegneri sovietici come “deflettore” delle fiamme e dei gas di scarico combusti prodotti dai motori degli R-7 al decollo. Proprio su questo scavo, venne eretta la prima rampa di lancio denominata Sito-1 e dalla quale nell’ottobre del ‘57 decollò proprio l’R-7 che portò in orbita il primo satellite artificiale della storia. Non molto tempo dopo, il Sito-1 impresse per sempre il suo nome nella storia dell’esplorazione spaziale umana venendo rinominata “Gagarinskiy Start” -rampa di lancio Gagarin- in seguito al successo del volo della Vostok-1 nel 1961. La data di nascita ufficiale del Cosmodromo di Baikonur è fissata il 2 giugno 1955, giorno in cui l’allora Ministero della Difesa Sovietico approvò ufficialmente il progetto di quello che fu il primo sito di lancio al mondo, nato dalle esigenze della Guerra Fredda per il continuo sviluppo dei missili balistici (nucleari) intercontinentali sovietici.

Con il decollo di un vettore Soyuz il 25 settembre 2019 che portò la missione MS-15 alla volta della Stazione Spaziale Internazionale, l’operativa della prima storica piattaforma di lancio spaziale al mondo venne sospesa dopo ben 62 anni di attività di lancio ininterrotte per permettere così l’avvio dei necessari lavori di ammodernamento. Con la chiusura quindi del Sito-1, ancora oggi ROSCOMOS assicura il flusso di rifornimento ed il trasporto di cosmonauti russi -ed astronauti internazionali- dall’unica rampa di lancio rimasta attiva presso il Cosmodromo di Baikonur: il Sito 31. Una sua eventuale indisponibilità metterebbe a serio rischio la stabile presenza umana russa ed il relativo flusso di rifornimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale. Lavori di ammodernamento che vennero finanziati attraverso un -non ben precisato- “accordo a tre” tra il Governo Russo, Kazaco e degli Emirati Arabi Uniti (UAE). Emirati che, dopo il recente cambio di leadership di Governo, hanno però ritirato la disponibilità finanziaria al progetto impedendo di fatto la fine dei lavori prevista entro la fine del 2021. Lavori che, stando a quando riporta il Kazakh Press, non hanno ad oggi una nuova data di completamento in quanto il Governo Kazaco (forse anche quello Russo) è impegnato proprio nella ricerca di nuovi investitori. 

Sostituire Baikonur, in fretta
Le tensioni delle ultime settimane nel paese kazako hanno risvegliato negli ambienti spaziali russi pericolosi incubi. Una riduzione, se non addirittura blocco, delle già ridotte -a causa della chiusura del Sito-1- attività del Cosmodromo di Baikonur metterebbe a serio rischio la serrata pianificazione delle attività spaziali russe e, come accennato in precedenza, anche quelle di altre Agenzie Spaziali mondiali. Nel caso dell’Agenzia Spaziale Europea, una diminuzione o indisponibilità del Cosmodromo di Baikonur si tradurrebbe nell’immediata riduzione – se non sospensione vera e propria- delle possibilità di trasporto di suoi astronauti verso la Stazione Spaziale, con conseguente prolungata assenza a bordo di astronauti europei. Uno scenario che lascerebbe l’Europa in totale subordinazione alle attività nazionali americane, oggi anche private e non solo più istituzionali. Dal lato russo, un simile scenario potrebbe addirittura costringere Mosca a trovarsi a parti invertite rispetto agli Stati Uniti, e far quindi lei ora dipendere totalmente la presenza in orbita bassa di suoi cosmonauti da una nazione terza ad essa competitrice nel dominio spaziale.  

In generale, l’ulteriore riduzione o blocco delle attività del complesso spaziale kazaco avrebbe ripercussioni importanti direttamente anche sulle attività della Stazione Spaziale Internazionale, la quale vedrebbe ridursi -se non interrompere- il regolare flusso di navette-cargo russe di rifornimento. Le capsule Progress, infatti, insieme alle americane Cargo-Dragon e Cygnus ed alle giapponesi HTV, costituiscono i soli ed unici sistemi oggi operativi che – a turno – assicurano il regolare flusso di rifornimenti (aria, acqua, cibo, vestiti, strumentazione scientifica, parti di ricambio etc.) alla Stazione Spaziale assicurandone il regolare funzionamento, insieme alla relativa sopravvivenza degli stessi equipaggi a bordo. Da diversi anni, l’avanzata età della ISS fa registrare un numero sempre maggiore di interventi di manutenzione di elevata complessità, riducendo sensibilmente il numero di ore/uomo dedicate alle attività scientifiche innalzandone conseguentemente i costi di gestione. Interventi, peraltro, che riguardano sempre più spesso elementi altamente critici per il funzionamento della Stazione stessa, e che se non opportunamente eseguiti nel breve periodo, potrebbero comprometterne l’integrità mettendo a serio rischio la sopravvivenza degli equipaggi, soprattutto in caso di dilazionato – se non addirittura mancato – di rifornimento delle necessarie parti di ricambio. 

Alla già ridotta disponibilità del sito di Baikonur, ulteriormente messa sotto pressione anche  dalle regolari attività di messa in orbita di satelliti civili e militari russi, complica ulteriormente la situazione le crescenti frizioni tra il governo kazaco e quello russo per il “controllo” e la gestione delle attività proprio nella cittadina di Tyuratam, tutt’oggi snodo centrale delle attività logistico-militari (aeree e terrestri) dell’Agenzia Spaziale Russa. Complesso di lancio quello di Baikonur che è ad esclusivo utilizzo dell’Agenzia Spaziale Russa, ma per il quale il Governo di Mosca paga un affitto annuale di $115 milioni. Per tutti questi motivi, con un decreto firmato il 6 novembre 2007 dal Presidente Putin, la Russia ha deciso di correre definitivamente ai ripari -distraendo ulteriori importanti fondi al completamento dei lavori di ammodernamento del Sito-1 – dando il via alla costituzione di un nuovo complesso di lancio chiamato Vostochny, nell’estremo oriente russo (Oblast’dell’Amur). Programma di sviluppo che prevedeva il completamento delle rampe di lancio e delle infrastrutture primarie -comprese autostrade e linee ferroviarie di collegamento- entro il 2015, con previsione di raggiungimento della completa capacità operatività del nuovo Cosmodromo entro il 2020. L’obiettivo Russo è quindi chiaro: sostituire Baikonur! Al più presto. Il completamento del nuovo sito di lancio segnerà infatti il definitivo e storico spostamento dell’intero programma spaziale russo dal Cosmodromo kazaco ad uno in territorio russo, ponendo fine alla dipendenza della Russia dal Kazakistan. Inoltre, i nuovi investimenti nell’Estremo Oriente servono al Cremlino per rafforzare la presa in questa remota regione del Paese che nell’ultimo decennio ha subito una notevole influenza economica da parte di Cina e Giappone. 

Con solo 5 lanci commerciali all’attivo nel 2021 con vettori Soyuz per l’inserimento in orbita dei satelliti anglo-indiani OneWeb, il 2022 sarà l’anno in cui il nuovo cosmodromo russo inizierà finalmente a raccogliere quella prestigiosa eredità dell’esplorazione spaziale sovietica con il lancio della moderna missione di esplorazione lunare LUNA-25: la prima storica missione russa diretta sulla Luna dal lontano 1976 e dal crollo dell’Unione Sovietica. Lancio, ad oggi, pianificato per il prossimo mese di luglio. Una transizione cominciata ma non ancora compiuta e che dopo i recenti avvenimenti nel Paese centro-asiatico diventerà -forse ora più che ma- sempre più urgente per preservare intatte le ambizioni spaziali di Mosca. 


Articolo pubblicato il 18 gennaio 2022
Fonte: Geopolitica.info
Autore: Andrea d’Ottavio
Articolo Originale:https://geopolitica.info/kazakistan-baikonur/




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