L'Italia e l'Azerbaijan uniti in una prospettiva globale (di Gabriele Beretta)

Il 28 Maggio 1918 la Repubblica Democratica di Azerbaigian otteneva l’indipendenza dalla neonata Repubblica Russa, dando vita così al primo stato laico e democratico nell’Oriente musulmano; una volta ri-ottenuta l’indipendenza dall’Unione Sovietica, il 28 Maggio è tornato ad essere festa nazionale come ‘Giorno della Repubblica’. 

Per l’occasione, lo scorso 28 maggio, si è tenuta una video-conferenza organizzata dall’Ambasciatore azero in Italia, Mammad Ahmadzada, su “L’importanza della data del 28 maggio nella storia dell’Azerbaigian e il partenariato strategico tra Italia e Azerbaigian”, nella quale è intervenuto anche il sottosegretario al Ministero degli Esteri Manlio Di Stefano. Sottolineando la natura “privilegiata e di natura assolutamente strategica” del rapporto tra i due paesi, legati da “un’amicizia profonda”, Di Stefano ha ricordato come il partenariato copra una dimensione non riducibile al solo ambito energetico per includere anche una profonda collaborazione a livello commerciale, tecnologico e culturale.

Il sottosegretario si riferisce agli accordi firmati in occasione della visita di Stato del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, accolto al Quirinale il 20 febbraio scorso dal Presidente Mattarella, con una cerimonia diplomatica estremamente formale; l’auto presidenziale, scortata dai Corazzieri a cavallo in uniforme da gala, è stata accolta nel cortile del Palazzo, dove era presente il picchetto d’onore con il reparto schierato per gli onori militari, con tanto di militari dell’Aeronautica, della Marina, Granatieri di Sardegna e  banda dell’Esercito. Un trattamento cerimoniale di certo non unico ma che, curiosamente, nel 2019 non era stato riservato né a Donald Trump né a Vladimir Putin in visita ufficiale, contrariamente a Xi Jinping, accolto anche lui con gli onori militari. La visita di Aliyev al Colle - la prima per un Capo di Stato azero in Italia, preceduta da un altrettanto storica prima visita di Mattarella nel luglio 2018 – è stata seguita da un incontro a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio Conte, che ha fatto da cornice ad una serie di negoziati, proseguiti anche il giorno successivo alla Farnesina, e che hanno dato forma al partenariato stipulato tra i due paesi: nove accordi economico-commerciali e un Memorandum d’Intesa. Nell’occasione del Business Forum alla Farnesina - in presenza, tra gli altri, del direttore generale di Confindustria Marcella Panucci e del presidente dell’Ice Carlo Ferro – Aliyev ha definito l’Italia come “il partner strategico numero uno in Europa”. Padrone di casa il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha risposto con tipica enfasi: “L’Italia è un ponte nel Mediterraneo, tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. L’Azerbaigian è un ponte strategico tra l’Europa e l’Asia. Sono due Paesi antichi che si son incontrati tante volte nei secoli lasciando tracce che risalgono a Marco Polo. Due Paesi amici con scambi basati sul dialogo”. 

 
La vicenda è solo l’ultimo sviluppo di una relazione bilaterale tra i due paesi che è in fase di approfondimento e intensificazione soprattutto dal 2011, quando il quarantennale regime libico è stato rovesciato violentemente dalle insurrezioni interne e dall’intervento internazionale. Con la fine rovinosa del regime, l’incertezza sulle prospettive riguardo alla futura configurazione politica libica, e con la prospettiva di una ridiscussione delle concessioni delle aziende petrolifere (italiane e non solo), l’Italia ha ripensato e diversificato la propria strategia energetica; è in questo quadro che l’Azerbaigian è diventato, dal 2013, il primo fornitore di greggio del nostro Paese.

 Non solo, l’Italia è diventata gradualmente il primo partner commerciale e destinazione principale del greggio esportato dal paese Caucasico, con un volume bilaterale che ha ormai superato i 6 miliardi di dollari. Particolarmente importante sarà la cooperazione in termini commerciali e infrastrutturali che verrà intensificata dai recenti accordi, tra i quali è stata formalizzata anche la partnership tra il porto di Baku e quello di Trieste, già peraltro ampliamente legato all’economia cinese e con una vocazione orientale. La rotta trans-caspica e poi anatolica, trans-balcanica e trans-adriatica, ovviamente rientrano nel sistema delle nuove rotte infrastrutturali e globali asiatiche – a sud della Russia. Sull’importanza dell’accordo di cooperazione portuale si è espresso anche il Presidente dell'ICE, Carlo Ferro, che ne ha sottolineato il ruolo chiave nel quadro di crescita delle relazioni economiche bilaterali e di traffico dell'area: “L'Azerbaigian, con 10 milioni di abitanti e un PIL di oltre 48 miliardi, sta portando avanti la sfida di diversificare la sua economia dal petrolio che ne rappresenta circa il 35%, diventando un hub commerciale in un’area di crocevia”.

Ma la componente più strategica del rapporto tra i due stati, è stata la crescente cooperazione nel settore del gas naturale: i due paesi andranno a formare gli estremi infrastrutturali del Southern Gas Corridor, ambizioso e imponente progetto che andrà ad ampliare l’esistente South Caucasus Pipeline, collegando i giacimenti azeri in Mar Caspio all’Europa e all’Italia. Particolarmente centrale – e discusso - per il nostro paese è l’ultimo tratto del gasdotto, il TAP (Trans-Adriatic-Pipeline). L’importanza del completamento del gasdotto, previsto per la fine del 2020, va oltre la specifica lente dell’interesse nazionale italiano e si inserisce in un’ampia e complessa ottica europea. Il progetto generale, già in embrione in una proposta della Commissione del 2008, ha subito un’accelerazione negli ultimi anni a causa del deteriorarsi delle relazioni tra la Russia e i paesi di transito della sua fornitura e, in generale, del clima bilaterale tra Russia e Unione – che ha fatto slittare il completamento del North Stream Corridor. A ciò si aggiunge anche la traiettoria disegnata dall’ambizioso Green New Deal della Commissione Von der Leyen, che pone come obiettivo l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050, per elaborare un modello di sviluppo equo, inclusivo e sostenibile. Chiaramente nel breve-medio termine il progetto prevedrà una riduzione drastica nell’importazione di idrocarburi, ma anche la costruzione di infrastrutture di trasporto e stoccaggio più efficienti, pulite ed ecologiche, in un’ottica di transizione energetica verosimilmente complessa e costosa entro la quale il gas naturale giocherà ancora un ruolo fondamentale come alternativa al petrolio. Per dare una misura dell’importanza del progetto, nel febbraio 2018 la Banca Europea per gli Investimenti ha messo a disposizione 1.5 miliardi di prestiti per la realizzazione del TAP, andandosi a sommare all’attività creditizia di altri istituti e già attuali stakeholder come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, la Banca di Sviluppo Asiatica, e la Banca Mondiale.

La questione è estremamente controversa, e ha sollevato dibattiti e proteste in Europa e in Italia su diversi piani. Innanzitutto, da un punto di vista energetico, viene da più parti messa in discussione l’efficienza di puntare sulla costruzione di ulteriori canali di approvvigionamento, alternativi a quelli esistenti, anziché rafforzare ed efficientare questi ultimi; ancor più, in un contesto dove l’infrastruttura esistente è spesso, come sottolineano i critici, sotto-utilizzata per via di una domanda di gas stagnante o addirittura in calo. Ovviamente, seppure venga visto come uno step di realpolitik energetica sulla via della de-carbonizzazione e della riqualificazione rinnovabile e sostenibile del Green New Deal, il progetto di diversificazione solleva diverse perplessità sulla coerenza con gli obbiettivi a lungo termine dichiarati dalla Commissione. La questione però, non è comprensibile senza prendere in considerazione l’aspetto strategico della fornitura di gas, laddove i timori sull’imprevedibilità del gas russo (o di un uso geopolitico dello stesso da parte di Putin) non sono l’unica chiave di lettura; occorre aggiungere che i paesi europei stanno, per motivi diversi, diminuendo l’estrazione di gas (l’Olanda, per un rischio legato all’incidenza di terremoti nell’area chiave di Groningen; il Regno Unito, per via di un graduale esaurimento delle riserve inglesi nel Mare del Nord) e anche un fornitore tradizionalmente sicuro come la Norvegia potrebbe in futuro dover stringere i rubinetti in caso di esaurimento delle risorse.

In Italia, le critiche da parte ambientalista e della società civile locale, si sono concentrate in Puglia – punto di approdo del TAP - da parte di amministratori locali, esponenti di comitati e movimenti contro la realizzazione del gasdotto, coordinati anche da un vivace attivismo del governatore Emiliano, che prometteva così ancora a inizio 2020: “Chiederemo a TAP un risarcimento miliardario per danno d’immagine. Se dovessero essere condannati, ci risarciranno miliardi di euro, perché il danno è enorme e il vantaggio è zero per la Puglia. A noi di TAP non importa niente.” La disputa tra governo centrale e regione Puglia, nondimeno, riuscì a rallentare e complicare l’inizio dei lavori in Italia, previsto già dal 2014 con l’Autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente. Comunque, ad oggi le opere sono state praticamente completate su entrambe le sponde dell’Adriatico e l’obiettivo di ottobre 2020 per l’apertura ufficiale del gasdotto rimane in programma.

Tuttavia, l’aspetto più problematico che in Italia è stato affrontato da alcuni giornali negli ultimi anni, - anche se solo saltuariamente e comunque non in relazione agli ultimi sviluppi - riguarda la situazione politica domestica e internazionale della Repubblica dell’Azerbaigian, governata dalla famiglia Aliyev dal 1993 e guidata ora da Ilham, succeduto al padre Heydar nel 2003 e ormai al quarto mandato presidenziale. Negli ultimi due decenni il paese si è trasformato, nelle parole dell’Economist, da ex repubblica sovietica quasi fallita a “un’economia petrolifera ricca e corrotta”. Nel 2014, con il crollo del prezzo del greggio l’Azerbaigian ha dovuto fronteggiare due svalutazioni e un’impennata inflattiva, mettendo a nudo la dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi; nonostante questo, alcune politiche industriali e commerciali del governo – una strategia di lungo termine nella quale rientrano anche il partenariato con l’Italia e l’inserimento cruciale nella BRI cinese – hanno contribuito da allora a diversificare e solidificare l’economia azera, che nel 2018 poteva già contare in un 59% di PIL non legato al petrolio.

A destare maggiori criticità è la tenuta repressiva e autoritaria del potere riportata in particolare da avversari politici e giornalisti azeri, che da diversi anni accusano il regime di una sistematica violazione di diritti umani e dello stato di diritto, con continue intimidazioni, aggressioni e arresti arbitrari nei confronti degli oppositori. La situazione fu condannata nel 2015 dal Parlamento Europeo – che in una risoluzione minacciò l’imposizione di sanzioni economiche - e da altre organizzazioni e istituzioni europee; il tutto mentre l’affaire della cosiddetta “caviar diplomacy” aveva già posto diverse ombre sul governo azero e sul suo multiforme ed esotico tentativo di corrompere parlamentari e funzionari europei (con caviale, soldi, alberghi di lusso) per ottenere sostegno internazionale – emblematico qui il caso del Consiglio d’Europa - ed evitare l’imposizione di sanzioni. 

Da questo punto di vista, molto meno controverso è stato il rapporto tra Azerbaigian e Stati Uniti, collaborativo e tollerante fin dai tempi di Bush; le ragioni della maggior elasticità americana rispetto all’Europa – nonostante le violazioni dei diritti interne e la controversa attività diplomatica – ruotano essenzialmente attorno al fatto che gli USA vedono ovviamente di buon occhio la possibilità di diminuire definitivamente la dipendenza energetica europea dalla Russia. Importante però è anche la collaborazione nella lotta al terrorismo da parte dell’amministrazione americana, con la quale il governo azero ha cooperato fin dal 2001. A complicare ed arricchire il quadro, c’è anche l’irrisolta questione del controllo del Nagorno Karabakh con l’Armenia che ospita basi militari russe ed è inserita nelle strutture economiche e di sicurezza guidate da Mosca (Unione Economica Eurasiatica e CSTO).




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/L-Italia-e-l-Azerbaijan-uniti-in-una-prospettiva-globale-di-Gabriele-Beretta-806-ITA.asp 2020-06-15 daily 0.5