L'evoluzione della cooperazione economica tra Roma e Nur Sultan dopo i fatti del gennaio 2022 (di Giovanni Capannelli)

Almaty, 26 gennaio 2022

Due anni di pandemia hanno significato molto per l’economia del Kazakhstan, in particolare per via del suo impatto sulla forza lavoro e sui redditi delle famiglie. Anche se, fin dai primi mesi del 2020, il governo kazako ha adottato varie misure per mitigarne gli effetti sul sistema economico con azioni di sostegno alle imprese e alle famiglie, è bastata una decisione sbagliata, al momento sbagliato, nel posto sbagliato a far scatenare la rabbia della gente e a dar vita ad un putiferio in termini di ordine pubblico. 

Da dove origina la protesta: disuguaglianze economiche

È evidente che, anche senza il COVID19, le tensioni sociali erano in aumento già da diverso tempo. A parte una piccola fetta di popolazione che vive nelle grandi città—Almaty, Nur-Sultan, Shymkent—e che dispone di elevati redditi derivanti principalmente da rendite relative allo sfruttamento delle enormi risorse naturali del paese, la maggior parte delle persone vive oggi in condizioni di notevole insicurezza economica e una percentuale sempre più ampia si colloca ad un livello minimo di sussistenza, che molto spesso le statistiche ufficiali non riescono a cogliere. 

Se si guarda al reddito pro-capite medio della popolazione, con i suoi $9,100 all’anno, il Kazakhstan sembra essere un paese abbastanza benestante. La Banca Mondiale lo colloca tra gli “upper middle-income countries”. Ma il problema, ovviamente, risiede nel come questa ricchezza, o questo reddito, sono di fatto distribuiti tra la popolazione e nel modo in cui la situazione è andata rapidamente deteriorandosi negli ultimi anni. In ultima analisi, tutto ciò dipende dal tipo di istituzioni e dal livello di governance presenti nel paese. 

Una serie di problemi statistici relativi alla raccolta dei dati economici maschera la vera portata delle disuguaglianze. La realtà, purtroppo, è molto diversa da quanto non si riesca ad evincere dai dati ufficiali sulla povertà nel paese. Secondo stime del Credit Suiss Research Institute (Global Wealth Report 2018), circa il 55 percento della ricchezza del paese è detenuta da un pugno di 162 individui—meno dello 0,0001 percento della popolazione kazaka, che è di quasi 19 milioni di persone—mentre il 2,7 percento della popolazione si colloca in una fascia di ricchezza tra $10,000 e $100,000, corrispondente alla classe media del paese. Riguardo alla distribuzione del reddito, le stime ufficiali suggeriscono che, nel 2020, il 50 per cento della popolazione viveva con reddito medio pro-capite di non più di 210 euro al mese, cioè praticamente a livello di sussistenza.

Inoltre, stime fatte da economisti kazaki suggeriscono che circa il 35 percento della forza lavoro del paese ha perso l’occupazione per effetto della pandemia. È ovviamente molto difficile avere dati precisi al riguardo ma, specialmente tra le classi medio-basse, di fatto sono in molti quelli che, al giorno d’oggi, non hanno un lavoro. Nelle grandi città si vedono sempre più insegnanti e laureati offrirsi come riders ed accettare qualsiasi tipo di lavoro pur di portare a casa qualche spicciolo. Non c’è pertanto da stupirsi che il microcredito sia esploso. Non solo: sono in molti ormai che sopravvivono di prestiti forniti da parenti ed amici, nella consapevolezza che non avranno mai modo di restituirli. 

Al tempo stesso, le famiglie degli oligarchi arricchitesi sproporzionatamente solo perché vicine alle leve del potere—e quasi mai per merito o per capacità imprenditoriali—hanno visto i loro redditi e la loro ricchezza crescere a dismisura, mentre il resto della popolazione proporzionalmente si impoveriva. Questo processo è andato accentuandosi, con alti e bassi, da un po’ più di un decennio, cioè da quando la crisi finanziaria globale del 2008 ha dato un forte scossone all’esuberanza finanziaria che si era innescata nel paese nel decennio precedente. Poi, la crisi dei prezzi delle materie prime del 2014 ed infine l’attuale pandemia hanno fatto precipitare la situazione. Nelle provincie, in particolare, molta gente era e rimane disperata. Ad esempio, secondo le statistiche ufficiali, nel 2020, il reddito pro-capite medio nella regione di Turkistan era di 120 euro al mese e nella regione di Zhambyl di 160 euro al mese. 

In tali circostanze, la decisione del governo di togliere, dall’inizio del nuovo anno, i massimali sul prezzo del GPL, inducendone di fatto un raddoppio, da 60 a 120 tenge (0.24 euro) al litro, ha immediatamente scatenato la rabbia in provincie quali Zhanaozen in Mangistau, dove la maggioranza della popolazione ha l’auto alimentata a gas. Zhanaozen è un posto di lavoratori dell’industria petrolifera tristemente famoso per aver sperimentato una sommossa popolare nel 2011, sfociata poi nel sangue con l’uccisione di 17 dimostranti. Come un tam-tam, la protesta si è rapidamente estesa a diverse altre città del paese dove la gente è scesa in piazza, arrabbiata, chiedendo al governo di tornare sui propri passi.

Botta e risposta: una tempistica incerta

Nonostante le autorità abbiano quasi subito accettato le richieste della popolazione, era ormai troppo tardi. La protesta è così degenerata in moti violenti ed armati, molto probabilmente fomentati da forze che hanno cercato di approfittarne per destabilizzare alla base la sicurezza del paese. Certo è che, pur nella consapevolezza di una situazione economica molto tesa, nessuno avrebbe potuto immaginare l’attuale tempistica della protesta ed il suo esito così violento. 

C’è anche da dire che il tutto è avvenuto alla soglia del trentesimo anniversario dell’indipendenza del Kazakhstan dall’ex Unione Sovietica. Trent’anni prima, la distribuzione del reddito e della ricchezza tra la gente era, per default, molto più equa. Ma poi, in un breve arco temporale, la gente ha visto come il vicino di casa o il parente lontano è riuscito a diventare miliardario, non per meriti, ma per affiliazione con i politici al potere. Oggigiorno, il senso di ingiustizia tra la popolazione è molto pronunciato.

Quando, fino a prima della crisi finanziaria globale, la torta era in rapido aumento con il Kazakhstan in rapida crescita, anche i più disagiati economicamente riuscivano, se non altro, a nutrire la speranza di un futuro migliore. Ma oggi non più. Il sentimento sovrastante è quello di ingiustizia e in parte anche di disperazione, di mancanza di una anche minima prospettiva di miglioramento. La gente non ce la fa più. Va anche crescendo la voglia di maggiori libertà democratiche.

Non a caso, le prime misure adottate dal nuovo governo dietro istruzioni del Presidente Tokayev, sono andate nella direzione del sostegno sociale alla parte meno abbiente della popolazione. Emblematica è stata la rapida creazione del “Kazakhstan khalkyna”, un fondo sociale istituito con donazioni individuali da parte di tycoons, banche, imprese e famiglie benestanti per fornire servizi sociali alle popolazioni meno fortunate in ambiti quali l’istruzione e la salute (khakyna in kazako significa “per la gente”). 

Al tempo stesso si è anche messa in moto la macchina delle riforme in ambito politico, con l’obiettivo di assicurare un graduale aumento della partecipazione democratica alla vita del paese partendo dall’elezione diretta dei rappresentanti dei governi locali che si prevede verrà introdotta a breve termine. Ad ogni modo, ci vorrà un po’ di tempo prima che si riesca ad avere un quadro preciso delle riforme che verranno intraprese e della loro tempistica. Entro fine marzo se ne dovrebbe probabilmente capire il senso di marcia ed individuare le figure chiave che verranno investite di responsabilità nei vari campi d’azione. Ma occorrerà qualche mese in più per avere un’idea più precisa riguardo all’attuale portata del cambiamento.

Tratti dell’economia kazaka

Per il Kazakhstan, gli anni Novanta sono stati economicamente molto difficili, marcati da un’inflazione galoppante mentre si andavano creando le istituzioni a governo dell’economia e della finanza. In seguito, però, potendo sfruttare l’enorme potenziale di risorse minerarie, il Kazakhstan ha iniziato a crescere con rapidità. Il tasso cambio si rafforzava, la classe media si ingrandiva ed un numero sempre maggiore di persone poteva iniziare a permettersi lussi mai sperati prima, come viaggi all’estero e beni di consumo importati dai paesi più avanzati. Anche al confronto con gli altri paesi dell’Asia Centrale, Il Kazakhstan andava assumendo un ruolo sempre più importante come leader regionale anche da un punto di vista politico e geostrategico. Un’euforia in parte giustificata dai successi in campo economico.

Seppur con una lunghissima lista di risorse minerarie disponibili nel paese, il modello di sviluppo non ha favorito la diversificazione dell’economia. A tutt’oggi il Kazakhstan rimane fortemente dipendente dagli idrocarburi, che nel 2020 rappresentavano circa il 21 percento del PIL e il 70 percento delle esportazioni (si noti che, con una produzione di circa 1 milione e 600 mila barili al giorno il Kazakhstan è il principale produttore di petrolio in Asia Centrale). Inoltre, con 50,000 tonnellate all’anno, il Kazakhstan è il maggior produttore di uranio al mondo, concentrando nel paese più del 40 percento della produzione globale. 

Al tempo stesso, però, il settore manifatturiero non si è mosso in avanti e resta di fatto quasi assente nell’economia del paese. E mentre in passato il Kazakhstan era considerato il granaio dell’Unione Sovietica, oggi l’agricoltura, con circa 25 milioni di ettari di terreno inutilizzati, tecnologie obsolete e insufficienti canali di irrigazione, produce meno del 5 percento del PIL del paese. Si sono inoltre perse per strada molte tecnologie e skills lavorativi presenti nelle grandi fabbriche che in passato producevano per l’intera Unione Sovietica. Pur con un alto livello di istruzione, scarsi investimenti in ricerca e sviluppo hanno contribuito alla stagnazione dei livelli di produttività. La lobby del carbone resta molto forte e la paventata transizione energetica, che presuppone il paese diventi ad “emissione zero” entro il 2060 puntando sul gas, l’idrogeno, e le rinnovabili, resta uno dei tanti buoni propositi dichiarati dalle autorità. 

Un ulteriore tratto fondamentale dell’economia kazaka odierna è l’enorme ruolo svolto dalle imprese pubbliche e a partecipazione statale—se ne contano circa 6,500—in tutte le sfere e comparti produttivi. Le società pubbliche di controllo del settore minerario ed industriale (Samruk-Kazyna) e di quello finanziario (Baiterek) sono dei giganti che non devono sottoporsi alle regole del mercato e spesso gestiti da managers inesperti, anche se con le giuste affiliazioni politiche. Sebbene si siano introdotti vari piani per la commercializzazione e la privatizzazione di molte imprese pubbliche, i risultati di tali iniziative sono finora alquanto deludenti. 

A ciò si accompagna una mancanza strutturale di iniziativa e imprenditorialità privata e, in particolare, di piccole e medie imprese (PMI) dinamiche ed efficienti. Nonostante nell’arco degli anni le autorità abbiano introdotto una lunga serie di programmi volti a diversificare l’economia, stimolare l’imprenditorialità privata e sviluppare le PMI, specialmente in seguito a varie iniziative introdotte a fronte della crisi finanziaria globale, il risultato è stato pressoché nullo, rafforzando, al contrario il potere delle imprese pubbliche, sostituendo il mercato con una pseudo pianificazione di stile sovietico e creando sacche di inefficienza economica e dipendenza dal sistema dei sussidi pubblici. 

Politiche di sviluppo economico

Mentre i primi anni Duemila sono stati marcati da un notevole progressismo in campo economico ed apertura ai modelli del capitalismo occidentale basati sulla centralità mercato, la politica economica non ha saputo reagire nel modo giusto alla crisi finanziaria globale, tanto che negli ultimi dodici-tredici anni il paese ha praticamente fatto una completa inversione di marcia rispetto alle riforme economiche pensate quindici anni fa, quando la crescita economica era elevata. 

Probabilmente il timore di cambiare l’ordine precostituito, affidandosi al mercato, ha indotto le autorità ad aumentare, al contrario, il ruolo svolto dallo stato nell’economia tramite imprese pubbliche supportate da programmi governativi di aiuto allo sviluppo. Non c’è da stupirsi che il risultato di tali politiche sia stato negativo e che abbia contribuito ad ancorare il paese ad un modello dirigista, peraltro senza le necessarie competenze in campo economico-finanziario tra i quadri governativi. La situazione è inoltre aggravata dalla marcata tendenza ad attingere in maniera sempre maggiore dal fondo di riserva sovrano che il paese creò 16 anni fa per accumulare i proventi petroliferi a beneficio delle generazioni future.

Negli ultimi anni si sono succeduti vari tentativi di riforma del sistema economico e finanziario, ma tutti sistematicamente impostati sulla centralità dello stato anziché su quella del mercato, in assenza, per altro, delle necessarie competenze tecniche per gestire la macchina burocratica ed amministrativa. 

Inoltre, data la matrice tribale della società kazaka (si noti che fino ad un secolo fa la popolazione era essenzialmente nomade fatta eccezione per gli insediamenti urbani al sud del paese lungo la via della seta), prevale un sistema di promozione basato sull’appartenenza al clan anziché sulla professionalità e sulla meritocrazia. Le competenze non vengono valutate per come dovrebbero e la conseguenza è un apparato statale non solo inefficiente ma anche scarsamente efficace a realizzare i programmi e le politiche pubbliche. Per non parlare, poi, della frequenza con la quale cambiano i quadri amministrativi, per cui coloro che si trovano ad interagire con la macchina pubblica devono molto spesso confrontarsi con nuovi teams di persone e managers trapiantati da altri uffici al seguito del leader politico di turno.

La svolta del Presidente Tokayev

L’amministrazione del Presidente Tokayev sembra essere decisa a migliorare le cose attuando una serie di riforme strutturali del sistema economico e finanziario collegate in vario modo a riforme del sistema politico. Le proteste dei primi di gennaio del 2022 hanno contribuito ad accelerare tale processo di riforme, spingendo per un aumento della sua componente sociale e redistributiva. Per poterne giudicare i risultati occorrerà tuttavia vedere come tale processo prenderà forma e come andrà ad evolversi, nel contempo, il controllo dei principali gruppi di potere economico nel paese.

Dal suo insediamento nel marzo del 2019, il Presidente Tokayev ha cercato di introdurre una svolta al processo di sviluppo economico, politico e sociale del paese attraverso una serie di provvedimenti le cui direzioni di base hanno riguardato la lotta alla corruzione, l’ammodernamento dell’apparato pubblico, la riduzione del ruolo svolto dalle imprese pubbliche nell’economia, l’aumento dei livelli di concorrenza e il sostegno all’imprenditoria privata e alle PMI: tutti interventi in sostanza volti ad accelerare il processo di democratizzazione ed aumentare la centralità del mercato. 

Ad esempio, con l’intento di migliorare il funzionamento del sistema economico, a fine del 2020 sono state create un’agenzia antitrust per la tutela della concorrenza e una per la pianificazione strategica e le riforme. Sono anche state adottate nuove politiche per snellire l’apparato statale, introducendo tra l’altro una moratoria sulla creazione di nuove imprese statali e parastatali. Al tempo stesso, il governo ha adottato nuovi programmi per raggiungere l’obiettivo di accrescere al 35 percento il contributo delle PMI alla formazione del PIL, entro il 2025.

Nonostante i risultati di tali politiche non abbiano ancora mostrato i loro effetti, anche perché il paese non è capace di scrollarsi di dosso gli strumenti di programmazione economica adottati finora, nelle ultime due settimane il Presidente Tokayev ha annunciato l’inizio dei lavori per la preparazione di un pacchetto completo di riforme strutturali che si prevede venga finalizzato all’inizio di settembre. Il Presidente ha inoltre creato un “consiglio degli imprenditori”, volto a facilitare il coinvolgimento delle imprese nel concettualizzare le politiche di sviluppo economico del paese e nell’aumentare l’efficacia dell’azione di governo.

L’Italia può essere d’aiuto

Considerando l’enorme potenziale di sviluppo che offre il Kazakhstan, specialmente nei campi collegati allo sfruttamento delle risorse naturali, una tale situazione di cambiamento delle leve del potere, di trasformazione delle istituzioni economiche, e di marcia verso un progressivo aumento del livello di democratizzazione, crea per l’Italia una serie di opportunità volte a rafforzare i rapporti economici con il paese, offrendosi come partner in questo delicato processo di disegno ed implementazione di riforme strutturali volte all’innovazione della struttura produttiva. 

È sottointeso che nell’attuazione di una tale strategia vanno tuttavia prese tutte le precauzioni del caso, incluso un attento vaglio delle responsabilità e dei possibili errori fatti dal governo nella gestione delle proteste e dei presunti attacchi terroristici che hanno sconvolto il paese nei primi giorni di gennaio.

Giovanni Capannelli

Giovanni Capannelli è un economista che vive ad Almaty, consigliere del Governatore della Banca Centrale del Kazakhstan e Managing Director di GreenPoint Central Asia, una società impegnata nello sviluppo sostenibile. Ha lavorato per 18 anni presso l’Asian Development Bank, ricoprendo la carica di Country Director per il Kazakhstan da settembre 2016 a settembre 2020.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/L-evoluzione-della-cooperazione-economica-tra-Roma-e-Nur-Sultan-dopo-i-fatti-del-gennaio-2022-di-Giovanni-Capannelli-1107-ITA.asp 2022-02-17 daily 0.5