La Russia sulla Via della Seta: opportunità e timori (di Giannicola Saldutti)

Il quarto mandato di Vladimir Putin, smaltita la sbornia successiva ad una vittoria data, sì, per scontata ma non con numeri così schiaccianti, sta già dando agli esperti del settore dei buoni motivi per riflettere sulle prossime mosse del Cremlino in politica estera. Una particolare coincidenza ha destato l’attenzione di numerosi analisti: il mese di marzo ha consolidato l’egemonia di due grandi attori della politica internazionale: anche il Presidente cinese Xi Jinping, è stato confermato alla guida del “Celeste Impero”. Proprio le relazioni tra Mosca e Pechino hanno conosciuto un notevole incremento sotto la guida dei due principali artefici della recente rinascita dell’Orso e del Dragone. I livelli di cooperazione riguardano, principalmente, la sfera militare e quella economica, cosa che preoccupa non poco gli Stati Uniti d’America: i dazi voluti da Donald Trump potrebbero causare lo stesso effetto prodotto dalle sanzioni anti-russe proposte dal suo predecessore Barack Obama, ossia quello di saldare ulteriormente gli obiettivi strategici delle due grandi potenze che, insieme, potrebbero seriamente mettere in crisi l’egemonia militare mondiale statunitense. Le esercitazioni congiunte sino-russe avvenute nel 2017 nel Mar Cinese Meridionale comprovano un cambiamento di prospettiva nell’equilibrio delle forze planetarie. La difesa del principio di sovranità nazionale, nonché l’opposizione al già datato unipolarismo di matrice americana, allinea le volontà di Russia e Cina su una traiettoria di cooperazione futura molto promettente, soprattutto se si considera il fatto che niente e nessuno, al momento, sembra poter neanche lontanamente prevedere un regime change in uno dei due Paesi.
Ciò che in superficie appare semplice, però, ad una più attenta analisi può notevolmente complicarsi, soprattutto tenendo conto di fattori e scenari diversi rispetto al tradizionale schema perpetratosi per tutta la durata della Guerra Fredda, ossia quello che ha visto Pechino trarre numerosi vantaggi dal confronto Mosca-Washington. Mentre la Russia sembra primeggiare ancora per quanto concerne la sfera militare ed energetica (da ricordare lo storico accordo per l’erogazione di gas stipulato tra i due Paesi all’indomani della riunificazione della Crimea), sarebbe opportuno non sottovalutare la discrepanza della crescita economica dei due Paesi (che vede la Russia in netto svantaggio nel computo della crescita del PIL relativa al 2017), nonché l’abissale divario tecnologico nella sfera civile che vede la Cina primeggiare senza concorrenti anche a scapito degli stessi Stati Uniti nel settore R&D (soprattutto per quanto concerne lo sviluppo di supercomputers). Le ambizioni cinesi in materia di scambi commerciali, in realtà, preoccupano non poco la Russia, minacciata proprio al confine con Pechino da una pressione demografica notevole: le regioni della Siberia meridionale (dalla densità di popolazione notoriamente scarsa) sono, infatti, letteralmente invase da manodopera cinese. Lo sviluppo economico, sociale e demografico dell’Oriente russo rappresenta un obiettivo cardine per il salto di qualità di Mosca in materia economica, Vladimir Putin ne è perfettamente cosciente. Anche per questo motivo, dunque, l’ambizioso progetto cinese della “Via della Seta” (anche detto OBOR, acronimo di “One Belt, One Road”) spaventa e, allo stesso tempo, alletta la Russia: da un lato, salderebbe economicamente la Cina all’Europa centrale, facendo di Pechino l’assoluta protagonista dell’economia euro-asiatica, ma dall’altro offrirebbe tutta una serie di occasioni di sviluppo per l’Oriente russo, bisognoso di investimenti esteri per bilanciare la propria condizione economica, sociale e demografica rispetto alla Russia “europea” occidentale.
Nel maggio dello scorso anno, Vladimir Putin, dopo un colloquio con Xi Jinping, ha affermato: “vi è un ottimo potenziale nell’utilizzo congiunto della rotta del Mar del Nord, in quella della Transiberiana, nonché in quella della Bajkal-Amur(…) l’iniziativa del Presidente cinese merita particolare attenzione da parte della Russia, nonché il suo incondizionato appoggio”. Il Presidente russo si è detto anche convinto della possibilità di convergenza degli interessi cinesi e di quelli dell’Unione Economica Eurasiatica riguardo alla Silk Road sognata da Pechino. Particolarmente interessata alle parole di Putin i vertici di RŽD, le ferrovie dello Stato russe, che sta lavorando al progetto della linea ferroviaria “Eurasia”, lunga più di 9mila kilometri, che collegherà Urumqi (importante centro della Cina occidentale) alla città bielorussa di Brest. Gli investitori cinesi sono, senz’altro, molto interessati alla realizzazione di un’opera infrastrutturale di tale portata, così come allettano i porti russi sul Mar Caspio. Senza dubbio Mosca tenterà, in ultima istanza, di entrare a tutti i costi nel progetto, temendo la virata cinese sulle regioni dell’Asia Centrale: costruire infrastrutture e collegamenti ex novo in Kazakhstan, Turkmenistan e, soprattutto, Uzbekistan sarebbe, infatti, molto più conveniente che rimodernare e ripristinare le linee logistiche siberiane sviluppate ai tempi dell’Unione Sovietica. Una Via della Seta senza la partecipazione di Mosca sarebbe uno smacco che l’economia russa pagherebbe a carissimo prezzo.
Tuttavia, neanche Pechino dorme sonni tranquilli: la Silk Road Fund richiede una mole di investimenti difficili da reggere finanche per le potentissime banche statali cinesi, in difficoltà nell’approvvigionamento dei fondi necessari per superare una serie innumerevole di problemi sorti lungo la rotta designata, così come rivelato dal vice Presidente della People’s Bank of China. La Cina (che, secondo fonti cinesi, dal 2013 ha già investito circa 50 miliardi di dollari nel progetto) necessita di trasformare il progetto in un pool di investimenti di provenienza multinazionale, anche se l’instabilità politica di alcuni Paesi coinvolti nella rotta non fa altro che spaventare i potenziali investitori. I ritardi sulla Via della Seta voluta da Pechino non possono che “allietare” la Russia, interessata sì ai risvolti positivi dell’iniziativa in termini di rilancio dell’economia siberiana, ma al tempo stesso preoccupata di rimanere tagliata fuori da tutta una serie di benefici che spetterebbero, in tal caso, ai Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale, dove la Cina si sta muovendo, da un punto di vista economico, in maniera sempre più aggressiva sfidando apertamente l’influenza politico-culturale russa nella regione. L’omogeneizzazione degli interessi tra UEE e Cina, riguardo alla Via della Seta, risulterà decisiva per superare le problematiche sorte. Mosca, dal canto suo, sa bene che non potrà rimanere a guardare: il ruolo di protagonista della Russia in ambito militare (ribadito anche in seno allo SCO, di cui la Cina fa parte) dovrà essere spalleggiato da un netto miglioramento degli indici economici delle sue regioni più orientali.