La ferrovia come locomotiva delle relazioni dell’Italia con i Paesi dell’Asia centrale (di Mario Virano)

1) Le ragioni e i limiti di una strategia di lungo periodo
Il 2022 è un anno particolarmente significativo per le relazioni tra l’Italia e l’Asia Centrale. Infatti mentre in Europa si conclude con successo l’Anno della Ferrovia (e si apre quello della Gioventù) fra Italia e Kazakistan (che può essere assunto a emblema dei 5 “Stan”) si avviano le celebrazioni per i 30 anni delle relazioni bilaterali con due parole chiave:

- la prima è futuro, sottolineando la proiezione verso quel 2050 considerato ormai uno snodo storico sotto molti punti di vista e a scala planetaria; 

- la seconda è insieme, nella condivisa consapevolezza che si tratta di costruire percorsi comuni per coltivare le reciproche opportunità di collaborazione, senza sottovalutare i problemi (in primis quelli geopolitici da cui dipende il bene primario della pace).

I rapporti tra l’Italia e le regioni dell’Asia Centrale si sono consolidati a partire dall’indipendenza sovietica e hanno avuto come principali leve di sviluppo le infrastrutture. Inizialmente il filo conduttore è stato ovviamente l’energia, ma dagli anni ’90 a oggi, oltre a Eni, sono molti gli operatori italiani che operano in Asia Centrale. Ad esempio Webuild, sta edificando la diga del Rogun, una delle opere chiave del piano energetico del governo del Tagikistan, che sarà non solo la maggiore dell’Asia centrale ma, con i suoi 335 metri, sarà la più alta del mondo. 

Ma l’Italia è anche tra i naturali capofila dei progetti di ammodernamento dei trasporti e delle infrastrutture stradali e ferroviarie, anche se gli attori presenti in quello scacchiere geopolitico sono molteplici ed importanti: dalla Russia che è da sempre molto influente nell’area per la stabilità della Regione, alla Repubblica Popolare Cinese che, proprio in Asia centrale, si propone di sviluppare alcune delle principali infrastrutture della Belt and Road Initiative (BRI).

A questo proposito non si può sottacere il profilo problematico che è venuto assumendo il programma della “Nuova Via della Seta” (al di là della ragionevolezza di tante sue motivazioni operative e di molti dei suoi contenuti) al crescere della competizione sino-americana per la leadership mondiale, finendo per essere percepita come una sorta di ipoteca politico-strategica cinese su ogni progetto infrastrutturale (soprattutto ferroviario) ad essa riconducibile. 

Questo scenario duramente competitivo si traduce nei fatti in un ricorrente richiamo ad un rinnovato neo-atlantismo dell’Europa a fronte delle tensioni presenti ad est, su temi sensibili come quelli dell’indipendenza energetica ed i possibili effetti delle crisi interne ai Paesi della regione e più in generale su tutte le questioni su cui si giocano gli equilibri geopolitici planetari sui molteplici scacchieri a partire dal Pacifico.  In altre parole su tutti temi collegabili, più o meno direttamente all’impianto della BRI, gli operatori europei si devono muovere in un contesto oggettivamente percepito a “sovranità limitata”.

La Ue ed i 27 Paesi membri  tra cui l’Italia, non possono (e non vogliono)  sfuggire a questa complessa temperie di inizio millennio di cui sono parte, ma naturalmente possono declinare questi vincoli macro-politici in modo proattivo nell’interesse primario della pace, sviluppando i loro specifici interessi (comunitari e nazionali) alla luce di alcuni oggettivi presupposti geografici che non possono non diventare anche geopolitici: ovvero il fatto che l’Eurasia è un continuum continentale che consente e postula connessioni fisiche terrestri (strade e ferrovie in primis) cioè infrastrutture, da ammodernare e da realizzare, tra l’Atlantico e il Pacifico, senza che questo sistema di relazioni debba necessariamente essere perseguito nella logica della BRI come connessione tra gli  estremi (Cina-Europa).

Va piuttosto sviluppata una visione di relazioni multipolari che connettono un gran numero di punti e di interessi, a est e ovest, in base a specifiche motivazioni socio-economiche, evidenziando il ruolo essenziale delle “Terre di mezzo” cioè in primo luogo i Paesi dell’Asia centrale.

In altre parole la cornice politica per il pieno dispiegarsi delle relazioni dell’Italia come importante membro UE con i “5 Stan” in campo infrastrutturale e soprattutto ferroviario, richiede un approccio politicamente duttile e strategicamente indipendente dal disegno attribuito a Xi Jinping, potendo contare su due positivi fattori strategici: da un lato il fatto che l’Italia ha saputo cogliere da tempo la ritrovata centralità di questa Regione intercettando la dimensione multi-vettoriale della politica estera dei Paesi centro-asiatici; dall’altro il fatto che la presenza dell’Italia in Asia centrale si configura in modo collaborativo e mai con sottintesi egemonici, ricercando sinergie con gli interessi locali (nel solco della lungimirante visione di Enrico Mattei) e puntando alla creazione di modelli sostenibili.

Sono i temi al centro della strategia Build Back Better for the World (B3W) promossa dal G7 lo scorso luglio con un impegno rilevante per il clima e per investimenti green anche in Asia centrale, per promuovere al di fuori della UE il modello del Green Deal e realizzare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

2) Le infrastrutture che avvicinano l’Italia all’Asia Centrale 
Traguardando dall’osservatorio italiano il futuro delle regioni centro-asiatiche non si possono non cogliere due spinte convergenti: una “interna” (fortissima) che punta, nonostante i retaggi del passato, alla modernizzazione e all’innovazione soprattutto nella mobilità; e un’altra “esterna”, data dal riconoscimento delle grandi opportunità che queste Regioni in trasformazione possono rappresentare per l’Italia anche al di là della via energetica. È infatti riconosciuto ormai in tutto il mondo il ruolo italiano di primo piano nella realizzazione dell’alta velocità ferroviaria, un modello esportato in varie parti del mondo dove nell’ultimo decennio sono nati progetti di linee di collegamento a grande distanza in cui tra gli attori vi è anche il gruppo FS. 

Ma non ci sono solo le nuove linee ad alto standard internazionale da creare ex novo: la riconosciuta eccellenza italiana nella realizzazione e gestione delle linee AV da parte delle società del gruppo FS, (a partire da Italferr e RFI e con l’intera filiera delle imprese collegate) può svolgere anche un ruolo di traino per gli indispensabili interventi sulle vecchie linee esistenti da ammodernare fisicamente, da efficientare tecnologicamente e da gestire con modalità più performanti. Questo è un campo d’intervento in cui la domanda di sviluppo della regione centro-asiatica incontra naturalmente il savoir faire italiano in materia ferroviaria.

Attualmente il programma di modernizzazione delle infrastrutture della regione centro-asiatica è il “Central Asia Regional Economic Cooperation Program” (CAREC26) al quale hanno aderito 11 nazioni: Afghanistan, Azerbaijan, People's Republic of China (the Xinjiang Uygur Autonomous Region and the Inner Mongolia Autonomous Region), Georgia, Kazakhstan, Kyrgyz Republic, Mongolia, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan. Il principale finanziatore dal 1997 è la Banca Asiatica di Sviluppo che ha istituito questo programma per la cooperazione nei settori dell'energia, della politica commerciale e dei trasporti. Attualmente il 75 % dei progetti per un investimento di circa 40 miliardi di dollari è dedicato ai trasporti sui sei corridoi prioritari per traffico, potenziale economico e multimodalità. Sono circa 18.000 i km di ferrovia da modernizzare.
 
I sei corridoi di trasporto del CAREC si estendono in tutta la regione e formano un reticolato multimodale che supporta la cooperazione economica e l’integrazione commerciale. Il primo corridoio è lo Europe-East Asia Corridor e collega il Kazakistan, il Kirghizistan e la Regione Autonoma dello Xinjiang o XUAR (Xinjiang Uygur Autonomous Region). Tra i sei, è il corridoio più attivo con positive prospettive di crescita economica e flusso di merci, in particolare su strada e su ferrovia, anche grazie al crescente numero di scambi commerciali tra Europa e Cina. Il Mediterranean-East Asia Corridor, secondo corridoio del programma, collega l’Afghanistan con le Repubbliche Stan e lo Xinjiang. Le prospettive di crescita risultano ambivalenti, seppur con un buon traffico commerciale di legname e minerali dal Kazakistan e dalla Russia, soprattutto a causa dei collegamenti limitati tra la Russia e il porto iraniano di Bandar Abbas e tra le diverse città interne iraniane e Bandar Abbas. Il quarto corridoio è il Russia-East Asia Corridor, che unisce la Regione Autonoma della Mongolia interna o IMAR (Inner Mongolia Autonomous Region) con lo Xinjiang e la Mongolia indipendente.

Le prospettive di crescita economica e di flusso di merci sono fortemente sbilanciate, perché la rete infrastrutturale è poco sviluppata a ovest e consente quindi un buon movimento solo verso est. Inoltre la cooperazione regionale risulta concentrata solo intorno ad alcuni grandi agglomerati urbani come Ulaanbaatar. L’East Asia-Middle East and South Asia Corridor è il penultimo corridoio e collega l’Afghanistan, il Kirghizistan e il Tajikistan con il Pakistan e lo Xinjiang. Si tratta di un corridoio in forte espansione, specialmente per quanto riguarda i collegamenti tra Pakistan e Afghanistan e tra Cina e Pakistan. 

Il sesto e ultimo corridoio è lo Europe-Middle East and South Asia Corridor, che collega Afghanistan, Kazakistan, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Il volume degli scambi registrato su di esso è alto, in particolare su ferrovia tra Uzbekistan e Kazakistan e ai confini tra Afghanistan e Pakistan. Il transito per questa rotta è considerato tra i più importanti perché permette sia i collegamenti tra i Paesi CAREC senza sbocco sul mare, come l’Uzbekistan, che quelli con le principali rotte marittime internazionali. La geografia di questi sei corridoi dimostra come i Paesi membri del programma abbiano collaborato efficacemente con i loro partner internazionali per realizzare progetti economici duraturi, capaci di soddisfare in parte criteri di sostenibilità, tecnologia e cooperazione, come ad esempio il porto di Aktau in Kazakistan, i due centri logistici di Turkmenbasy in Turkmenistan e Zamyn-Uud in Mongolia, e i punti di frontiera di Dusti in Tajikistan e di Gulistan in Uzbekistan. Di pari qualità, la cooperazione doganale tesa a semplificare e armonizzare le procedure di transito frontaliero, lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e lo scambio facilitato di dati.

Ma la modernizzazione ferroviaria di questa regione del mondo assume una dimensione ancora maggiore se si pensa all’energia esterna del grande progetto Trans-Asian Railway (TAR), un piano per creare una rete ferroviaria merci integrata Euro-asiatica, con l'obiettivo di fornire collegamenti continui dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano e al Mediterraneo con possibili ulteriori collegamenti con l'Europa e l'Africa, nato negli anni sessanta del secolo scorso su impronta dell’UNESCAP. Attualmente infatti il 99% dei traffici su questo asse avviene via mare e solo l’1% via terra. I collegamenti commerciali via terra, più corti e più veloci rispetto alle rotte marittime, offrirebbero grandi vantaggi, ma attualmente risultano inefficienti oltre che poco sostenibili, visto che la maggior parte dei traffici terrestri avviene su gomma in quanto le autostrade forniscono un migliore e più capillare servizio in ambito regionale; le ferrovie d’altra parte sono più vantaggiose sulle lunghe distanze e per trasportare grandi quantità di merci.

Per diventare efficiente, il TAR dovrebbe superare una grande sfida: ovvero le differenze nello scartamento ferroviario in tutta l'Eurasia. Quattro diversi principali scartamenti ferroviari (che è misura della distanza tra le rotaie) esistono in tutto il continente, dallo scartamento standard da 1435 mm della maggior parte dell'Europa, così come Turchia, Iran, Cina e le Coree a quello cosiddetto russo da da 1520 mm proprio di Russia, Finlandia e delle ex repubbliche sovietiche. La maggior parte delle ferrovie dell’India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka utilizza lo scartamento da 1676 mm e la maggior parte del sud-est asiatico utilizza lo scartamento metrico. Il progetto TAR non prevede modifiche agli scartamenti esistenti; nelle località di cambio scartamento è prevista per i treni merci l’installazione di strutture meccanizzate per spostare i container da un treno a un altro. 
La parola  modernizzazione ha quindi una pluralità di declinazioni tutte di potenziale interesse operativo per l’Italia a partire dai processi in corso in Europa, nel quadro della standardizzazione delle Reti TEN-T. Si considerino ad esempio l’elettrificazione ferroviaria a 25 kV AC, (che è lo standard mondiale per la costruzione di nuove linee principali), i sistemi di sicurezza, segnalazione, supervisione e controllo di terra e di bordo uniformati, nonché la creazione di sistemi di circolazione su linee ferroviarie a diverso scartamento con opportune “sale montate” che consentano la variazione della distanza tra le ruote. 

3) La comune sfida del clima
I processi virtuosi che le infrastrutture ferroviarie possono portare non riguardano solo l’aumento dei traffici terrestri delle merci e dei passeggeri con un sensibile abbattimento dei loro costi. Nell'attuale contesto di cambiamento climatico globale, instabilità macroeconomica ed esaurimento delle risorse da cui trae alimento anche la protesta Kazaka, la decarbonizzazione sta diventando un’esigenza sempre più diffusa in tutto il mondo anche se non è semplice costruire una strategia attuativa concreta che sappia armonizzare le priorità dei Paesi a differente grado di sviluppo. 

Il settore dei trasporti è responsabile di circa un terzo del consumo energetico mondiale e di circa un quarto delle emissioni globali di gas serra. Se lasciato incontrollato, il carico ambientale del settore dei trasporti potrebbe aumentare notevolmente entro il 2050. La decarbonizzazione dei trasporti è diventata una delle principali risposte strategiche per ridurre le emissioni di carbonio che causano il cambiamento climatico. Esistono due modi in cui la ferrovia può contribuire a decarbonizzare il trasporto, in primo luogo tramite il trasferimento modale, poiché le ferrovie possono trasportare circa 40 volte più passeggeri per metro quadrato e consumano solo un terzo del carburante per trasportare una tonnellata-km di merci rispetto al trasporto su strada, quindi riducendo le emissioni complessive. Il secondo modo è decarbonizzare la ferrovia stessa rendendola una modalità di trasporto a emissioni praticamente zero. Al centro del secondo punto c’è il processo di elettrificazione, una sfida importante se si considera che le ferrovie elettrificate nell’Asia centrale sono circa 6000 km su un totale di 27.000 km. 

4) Una nuova ferrovia per un nuovo urbanesimo
Oltre a una maggiore sostenibilità nel trasporto delle merci, l’alta velocità passeggeri e più in generale le opportunità offerte dalla  tecnologia ferroviaria portano con sé anche un potenziale effetto sui processi urbanizzativi, soprattutto considerando il tessuto delle città asiatiche, prevalentemente composto da pochi grandi centri regionali con abitanti superiori a 1 milione e svariati piccoli villaggi rurali con una conformazione morfologica prevalentemente composta di deserti e steppe che rende la densità insediativa medio-bassa. In questo contesto l’estensione di una moderna rete ferroviaria potrebbe portare a un netto miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti.

 Questo spiega il recentissimo investimento della Banca Asiatica di Sviluppo (ADB) che ha approvato un prestito di 162 mln di dollari per l’elettrificazione di 465 km di linea ferroviaria che collega i principali centri urbani dell’Uzbekistan occidentale, al fine di stimolare il commercio e il turismo nella regione. Il progetto elettrificherà il binario che collega Bukhara, Miskin, Urgench e Khiva, un patrimonio mondiale dell’UNESCO nella regione di Khorezm. Permetterà il funzionamento di treni ad alta velocità che corrono fino a 250 chilometri all’ora, tagliando il tempo di viaggio tra Bukhara e Khiva fino a due ore, e rendendo possibile il viaggio a Khiva dalla capitale Tashkent in sette ore. Il progetto fa parte del Corridoio 2 della cooperazione economica regionale dell’Asia centrale (CAREC), che collega la Repubblica popolare cinese all’Europa attraverso l’Asia centrale. Aiuterà a migliorare la connettività e il commercio dell’Uzbekistan con i paesi vicini e più lontano, espandendo la frequenza e la qualità dei servizi ferroviari.

5) Prospettive di lavoro per l’Italia
L’Italia può e deve sfruttare il fermento economico dell’Asia centrale e partecipare alla sua rivoluzione infrastrutturale per diversi motivi. Da una parte, come abbiamo visto, perché quello è un mercato che ha bisogno di innovazione e le imprese italiane che si occupano di grandi infrastrutture possono apportare riconosciute competenze e tecnologie di prim’ordine. 

Infatti oltre alle già citate ENI e WeBuild, non dimentichiamo il Gruppo FS e altre grandi-medie imprese come Tenaris, Renco, SICIM, Bonatti, Valvitalia, Rosetti Marino, Nuovo Pignone, Kios, Bedeschi, Ligabue presenti soprattutto in Kazazhistan.

L’Asia Centrale è anche un mercato sempre più interessato al made in Italy manifatturiero e alla cultura italiana come dimostrano alcuni dati di crescita dell’export.
 
Lo sviluppo dei corridoi europei da una parte e di quelli centro-asiatici dall’altra rende l’Italia il possibile crocevia dei traffici, a infrastrutture ultimate. Oltre a trovarsi al centro del Mediterraneo, l’Italia è attraversata da quattro corridoi TEN-T:

1) il Corridoio Mediterraneo attraversa il Nord Italia da Ovest ad Est, congiungendo Torino, Milano, Verona, Venezia, Trieste, Bologna e Ravenna;
2) il Corridoio Reno Alpi passa per i valichi di Domodossola e Chiasso e giunge al porto di Genova;
3) il Corridoio Baltico Adriatico collega l’Austria e la Slovenia ai porti del Nord Adriatico di Trieste, Venezia e Ravenna, passando per Udine, Padova e Bologna;
4) il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo parte dal valico del Brennero e collega Trento, Verona, Bologna, Firenze, Livorno e Roma con i principali centri urbani del sud come Napoli, Bari, Catanzaro, Messina e Palermo.
 
Guardando questa mappa la visione sul futuro della rete non è del tutto scontata se non si mette in campo una coerente e duratura strategia di valorizzazione delle potenzialità implicite dei vari Corridoi. Molto c’è da fare per immaginare la rete europea Ten-T non solo per quello che è già, ovvero un formidabile fattore di coesione fisica al servizio del mercato interno (persone e merci), ma per quello che può diventare anche fuori del perimetro comunitario come potenziale base per l’allargamento delle relazioni a est in Eurasia e a sud con l’Africa (quando sarà maturo il collegamento sottomarino a Gibilterra), proiettando i principali Corridoi, a partire da quello Mediterraneo, oltre gli attuali (provvisori) terminali. 

L’Italia, come avamposto europeo che ospita la maggior parte dei Corridoi sul suo territorio, ha un particolare interesse strategico a coltivare questo potenziale di connessione extracomunitaria della rete. Finora le scelte hanno privilegiato il potenziamento dei porti storici di Genova e di Trieste ma le limitazioni dovute alla bassa capacità di trasporto terrestre dell’unico corridoio europeo in collegamento con questi approdi ne hanno plafonato i risultati. Nell’Europa post-pandemia, laddove la ferrovia e la tecnologia sostenibili diventano un vettore geopolitico, l’Italia può puntare su un know-how faticosamente affermato e sulle sinergie coltivate con i Paesi centro-asiatici accreditando un crescente ruolo da protagonista per quell’idea di futuro che è al centro dell’anno della celebrazione dei rapporti italo-kazaki.

Mario Virano

Mario Virano, laureato in Architettura al Politecnico di Torino ha svolto negli anni attività professionale nel campo dell’architettura, dell’urbanistica e dei trasporti. 
Ha svolto incarichi internazionali nel Comité de Transport  Public des Communautés Européennes e nella Uitp. 
Ha diretto per un decennio la Eidos spa (Studi, Ricerche, Progettazione), ed è stato AD della società autostradale Sitaf spa e Consigliere di Amministrazione di ANAS. 
Dal 2006 al 2014 in qualità di Commissario Straordinario del Governo ha presieduto l’Osservatorio Torino-Lione. 
E’ stato insignito della Legion d’Onore nel 2009 dalla Repubblica Francese.
La Camera di Commercio di Torino l’ha nominato “Torinese dell’Anno 2012” e nel 2013 è stato insignito del titolo di Grande Ufficiale al Merito dal Presidente della Repubblica.
Dal 2015 è DG della società TELT sas, il Promotore pubblico binazionale della sezione transfrontaliera Torino-Lione.
È stato professore a contratto al Politecnico di Torino e allo IUAV di Venezia con corsi su Infrastrutture e territorio. 
È autore di vari libri tra cui: Autostrade e Territorio (Il Sole 24 Ore), Parole sulla Strada (Daniela Piazza editore), Turin Health Park, Architettura (Testo & Immagine).

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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/La-ferrovia-come-locomotiva-delle-relazioni-dellItalia-con-i-Paesi-dellAsia-centrale-di-Mario-Virano-1115-ITA.asp 2022-02-15 daily 0.5