La riconferma al potere di Islam Karimov alle elezioni presidenziali in Uzbekistan (di Dario Citati)

Le elezioni presidenziali svoltesi nella Repubblica dell’Uzbekistan domenica 29 marzo 2015 hanno visto la schiacciante vittoria di Islam Abduganievič Karimov, che per la quarta volta in ventiquattro anni è stato confermato alla guida del Paese. Candidato per il Partito Liberal-Democratico Uzbeko (OzLiDep), di orientamento centrista, Karimov ha totalizzato il 90,39% delle preferenze, lasciando ad Akmal Saidov, candidato per il partito di destra «Milliy Tiklanish» (Rinascita nazionale) un insignificante 3,08%. Narimon Umarov, candidato per il partito social-democratico «Adolat» (Giustizia) si è invece fermato al risultato più basso con il 2,05%. Più a sinistra, per il Partito Popolar-Democratico dell’Uzbekistan (erede del Partito Comunista uzbeko) Chatamžon Ketmonov lo ha di poco superato raggiungendo il 2,92%.
Nell’ambito dell’incarico di osservatore internazionale ho monitorato le operazioni di voto del 29 marzo in diversi seggi elettorali di due città della Regione di Chorezm: Urgenč (in particolare nei seggi n. 42 e n. 63) e Chiva (con monitoraggio prolungato nei seggi n. 19, 43, 348, 349), dopo aver effettuato un sopralluogo a due giorni dalle elezioni nella città di Buchara (seggi n. 40, n. 74, n. 50) per colloqui con i commissari responsabili delle circoscrizioni e i rappresentanti dei candidati. In tutti i seggi che ho visitato le votazioni si sono svolte correttamente senza alcun tipo di infrazione. Il processo elettorale si è svolto in una cornice di piena regolarità procedurale: i cittadini dei diversi collegi erano registrati nelle rispettive liste, le cabine e le urne allestite con estrema cura e i membri delle commissioni vigilavano con serietà sulla correttezza delle operazioni di voto. L’unica prassi apparsa invece inadeguata rispetto agli standard internazionali è la facoltà del voto su delega per i componenti del nucleo familiare, regolarmente consentita dalle disposizioni della Commissione Elettorale Centrale. La legge uzbeka concede infatti al singolo cittadino la possibilità di votare anche per i membri della propria famiglia previa presentazione del loro documento di identità. 
Se il rispetto formale delle norme è stato ad ogni modo complessivamente positivo, a testimonianza di un’accresciuta competenza nella gestione delle procedure elettorali, la situazione riguardante l’effettivo pluralismo politico si è dimostrata ancora distante dalle dinamiche delle democrazie occidentali. Le piattaforme programmatiche dei tre candidati sconfitti, a cui comunque, secondo quanto affermato dallo stesso severo rapporto dell’OSCE, «i media dello Stato hanno garantito un ampio spazio sulla stampa e nei dibattiti radiotelevisivi» [1] avevano tutte un punto in comune: la mancanza di vere critiche e la speculare assenza di proposte politiche chiaramente alternative a quelle del vincitore Karimov.
La schiacciante vittoria di quest’ultimo, correlata a tali condizioni di pluralismo politico limitato sia pure nella scrupolosa osservanza delle norme procedurali, si spiega comunque attraverso una serie complessa di fattori. In primo luogo, occorre considerare l’impressionante aumento demografico che l’Uzbekistan ha conosciuto dall’indipendenza a oggi: se nel 1991 la popolazione si attestava sui 16 milioni, nel 2015 ha toccato i 30 milioni di abitanti. Un raddoppio demografico accompagnato da una crescita costante del Prodotto Interno Lordo, da uno sviluppo infrastrutturale (evidente soprattutto nel settore dell’edilizia) e da un aumento progressivo dei beni di consumo. Altro elemento fondamentale è stato il rafforzamento dell’identità nazionale uzbeka, che Karimov ha portato avanti parallelamente alla repressione delle spinte estremistiche provenienti dall’islam radicale. La letteratura specialistica ha d’altronde da tempo riconosciuto che la minaccia terroristica è stata per anni assolutamente reale nel Paese, e che la risposta «muscolare» del Presidente è risultata decisiva per scongiurare l’avvento di un «califfato» in Uzbekistan [2]. Tali aspetti restano essenziali per comprendere la legittimazione politica di Karimov e la sua incontestata popolarità nel Paese, dove la graduale formazione di una moderna società civile – testimoniata comunque dall’ampia partecipazione al voto e da un dinamismo ben visibile all’osservatore esterno – non prescinde ancora da un’identificazione quasi emotiva con il leader che ha guidato la difficile transizione dallo scioglimento dell’URSS all’indipendenza.
Per ragioni anche di carattere anagrafico, è ad ogni modo verosimile supporre che il mandato che si apre potrebbe essere l’ultimo per un uomo che è assurto al ruolo di autentico «padre della Patria» e la cui riconferma era dunque largamente prevedibile. Proprio tale eventualità può fare dei prossimi anni un tornante decisivo nella storia dell’Uzbekistan. Dall’indipendenza a oggi, questa giovane repubblica ha in primo luogo scongiurato il rischio di divisioni interne e l’ascesa dell’islamismo; è riuscita quindi ad assestarsi su parametri di sviluppo economico accettabili; con le elezioni presidenziali del 2015, infine, ha dimostrato anche di possedere una discreta confidenza con le procedure elettorali democratiche meritevole di essere evidenziata.
L’auspicio è che nei prossimi cinque anni si assista a una democratizzazione più sostanziale che prepari il terreno non alla designazione unilaterale di un successore, bensì al potenziamento di una classe dirigente vera e propria, capace di nutrire di contenuti il dibattito interno ed inaugurare gradatamente una prassi di alternanza ai vertici delle istituzioni. A questo compito è chiamata in primo luogo quella che le autorità definiscono con enfasi «la generazione cresciuta armoniosamente» (Barkamol avlod), che costituisce il substrato del boom demografico del Paese. Per le condizioni specifiche di quest’ultimo, tale sperabile democratizzazione di sostanza non potrebbe che avvenire in modo graduale e sempre perfettibile. Senza di essa, l’avvicendamento di Karimov rischierebbe però di coincidere con l’esplosione di laceranti rivalità interne agli apparati dello Stato che il suo carisma personale è sinora riuscito a scongiurare.

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[1] http://www.osce.org/odihr/elections/uzbekistan/148161

[2]  font-family:" garamond","serif";mso-ansi-language:en-gb"="">Cfr.; V. V. NAUMKIN, Radical
Islam: Between Pen and Rifle
, Lanham 2005, pp. 68-87.; E. KARAGIANNIS, Political
Islam in Central Asia: The Challenge of Hizb-ut Tahir
, London & New
York 2010; E. McGLINCHEY, Chaos, Violence, Dynasty. Politics and Islam in
Central Asia,
Pittsburgh 2011.

*Dario Citati è Direttore del Programma di ricerca «Eurasia» presso l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), in rappresentanza del quale ha lavorato come osservatore internazionale alle elezioni presidenziali in Uzbekistan dal 19 marzo al 2 aprile 2015.




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http://www.eu/ita/archivio/La-riconferma-al-potere-di-Islam-Karimov-alle-elezioni-presidenziali-in-Uzbekistan-di-Dario-Citati-84-ITA.asp 2015-04-29 daily 0.5