L’autunno elettorale Kirghiso: forte competizione per le elezioni presidenziali (Frank Maracchione)

All’inizio dell’autunno 2017, il 15 di ottobre, il popolo Kirghiso sarà chiamato ad eleggere la più alta figura dello Stato in quella che molti considerano una delle prime reali competizioni elettorali del paese.  L’attuale Presidente Almazbek Atambayev, ex Primo Ministro, era stato eletto nel 2011 con una maggioranza del 63% dovuta anche alla sua figura di simbolo della riforma costituzionale.  La riforma, votata da più del 90% della popolazione in un referendum costituzionale, ha trasformato il paese in una repubblica parlamentare, mettendo fine ad una tradizione di forti figure presidenziali che si sono succedute alla guida del paese. La novità più importante introdotta dalla Costituzione del 2011 è stata l’imposizione del limite di un mandato imposto alla carica di Presidente della Repubblica, a cui è stato anche revocato il potere di sciogliere le camere legislative. 

Di conseguenza, l’attuale leader Kirghiso non potrà ricandidarsi alle elezioni del 2017. Per di più, in un discorso pubblico tenuto alla fine di luglio, Atambayev ha dichiarato di non aver individuato un proprio successore e che “il popolo dovrebbe scegliere autonomamente il proprio leader”.

Proprio la riforma costituzionale è stata il risultato della seconda e più recente delle sollevazioni popolari che hanno caratterizzato l’instabile storia post-sovietica del Kirghizistan. Le due rivoluzioni kirghise, benché accese da motivazioni politiche ed economiche, furono entrambe supportate dal decennale conflitto etnico che divide il nord, regione della capitale Bishkek, dal sud del paese, confinante con la conflittuale regione di Fergana, Uzbekistan, e caratterizzato da una forte presenza etnica uzbeka. Il processo di costruzione nazionale sovietica in Asia Centrale divise la popolazione e territori in cinque nazioni principali che rappresentarono la base etnica delle nuove RSS. L’impossibilità di costruire le repubbliche seguendo linee etniche ottimali ha causato un immanente conflitto etnico in molte delle regioni di confine tra i paesi centroasiatici. La forte divisione tra nord e sud del Kirghizistan deriva proprio dalla presenza nel sud del paese di minoranze uzbeke e dalla generale vicinanza della regione meridionale con la valle di Fergana, hotspot del terrorismo centroasiatico. Non a caso, i tre Presidenti che si sono succeduti al governo del paese appartenevano alternatamente al Nord o al Sud. 

Quelle che dovrebbero essere le prime elezioni presidenziali veramente competitive dovranno riuscire a sostenere il peso di una storia di divisioni. Deirdre Tynan, esperta di Asia Centrale e direttrice del progetto Asia Centrale dell’International Crisis Group, afferma che, nonostante molti dei fattori presenti nel 2005 e nel 2010 siano oggi assenti, il paese è ancora lo stesso. Le divisioni tra nord e sud rimangono ancora forti, l’elite politica del paese è corrotta e l’economia è sottosviluppata, mentre la disoccupazione viene mascherata dalla forte emigrazione di forza lavoro. Le elezioni parlamentari del 2015, considerate uniche nel loro genere in Asia Centrale per livello di libertà di voto da OSCE e Consiglio d’Europa, hanno visto l’entrata in parlamento di 6 diversi partiti politici: il Partito Social-Democratico (27.35%), Respublika-Ata Zhurt (20%), il Partito del Kirghizistan (13%), Onuguu-Progresso (9%), Bir Bol (8.5%) e il Partito Socialista Ata Meken (7.7%). Dei sei partiti che hanno superato la soglia di sbarramento, tre hanno la loro base elettorale nel sud del paese e sostengono in misure diverse l’importanza della diversità etnica del paese. Il più importante dei partiti del sud è sicuramente Respublika-Ata Zhurt, nato dalla fusione di due partiti, uno dei quali (Ata Zhurt) aveva sostenuto nel 2010 la rielezione di Bakiyev alla Presidenza della Repubblica. Il partito con più seggi risulta quello facente capo al Presidente Atambayev, il Partito Socialdemocratico Kirghiso, che concentra il suo elettorato nella regione della capitale. Bir Bol e Ata Meken rappresentano i due estremi dello spazio politico: uno liberale, l’altro socialista. 

Dei 59 candidati iniziali per le elezioni presidenziali, solo 13 hanno raggiunto i requisiti necessari alla candidatura. Le ragioni per l’esclusione sono delle più diverse. Due dei candidati esclusi erano già in prigione al momento della candidatura. Si tratta di Omurbek Takebaev, leader del Partito Ata Meken arrestato nel febbraio 2017 per corruzione e abuso d’ufficio e Sadyr Japarov, ex deputato dell’Ata Zhurt fuggito dal paese nel 2013 perché implicato in una violenta azione popolare contro la polizia nella città di Karakol. Della dozzina di candidature ritenute valide dalla commissione elettorale, quattro vengono considerate figure di punta della politica kirghisa: Omurbaek Babanov, Sooronbai Jeenbekov, Tamir Sariev e Bakyt Torobayev. La candidatura di Babanov, nato e cresciuto nel Nord del paese, per il Partito Respublika e quella di Jeenbekov, ex Primo Ministro nativo della regione di Osh, per il Partito Socialdemocratico segnano un’inversione di rotta per i due partiti rispetto alla loro tipica collocazione etnica. 

Il clima elettorale nel paese è molto caldo. Il Presidente Atambayev, che ha più volte sottolineato il suo sostegno a Jeenbekov, ha messo in chiaro con parole poco concilianti che il suo governo è ancora in carica e che eventuali azioni di disturbo del processo elettorale verranno punite duramente. Le parole del presidente possono sembrare intimidatorie in un contesto di normale confronto democratico, ma suonano comprensibili in un paese nel quale proprio delle elezioni hanno acceso la miccia di due rivoluzioni. Nel suo blog Qishloq Ovozi, Bruce Pannier, esperto di Asia Centrale di Radio Free Europe / Radio Liberty, racconta come i due candidati principali siano anche psicologicamente opposti. Jeenbekov è un candidato conservatore di più di sessant’anni, una figura comoda al comando per permettere ad Atambayev di continuare ad influenzare le sorti del paese. Babanov, al contrario, è un cinquantenne riformista che anche da primo ministro era stato politicamente molto attivo e indirizzato al cambiamento. Entrambi stanno concentrando la campagna nel sud del paese, il primo nella oblast di Jalalabad e il secondo nella città di Osh. Le risorse dei due candidati sono diverse e multiformi. Jeenbekov può permettersi di attingere dai supporter di Atambayev, tra cui la forza lavoro di migranti kirghisi e la popolazione uzbeka che hanno apprezzato il miglioramento dei rapporti con Russia e Uzbekistan, e dalle risorse che il supporto presidenziale può garantirgli. Babanov, oltre a possedere una buona copertura finanziaria che gli permette di competere a livello di promozione con il candidato del SDPK, sembra aver incassato il supporto di una serie di lobbisti russi che vedono nella sua candidatura dei benefici personali. 

Nonostante la strada per la democrazia in Kirghizistan sia ancora lunga, il solo fatto che si parli di competizione elettorale in questi termini dimostra che un cambiamento è avvenuto nel paese. Queste elezioni potranno essere un’occasione unica per offrire al paese un altro passo verso una nuova stagione di democrazia multipartitica e un nuovo genere di successione non-violenta per la carica del Presidente della Repubblica. Se la calda atmosfera kirghisa si limiterà alla campagna elettorale, vorrà dire che il paese è pronto a scegliere la via democratica. Ciò che si può affermare con sicurezza è che queste elezioni, a prescindere da quale sarà il loro risultato, rimarranno nella storia del paese. Se l’elezione di Jeenbekov garantirebbe stabilità, ma un continuo controllo dell’ex Presidente sul paese, la scelta di Babanov potrebbe avere diversi risultati. Da una parte la conferma della sovranità del popolo, qualora il risultato venisse accettato dall’attuale elite, dall’altra la caduta della maschera democratica e riformista, nel caso il cambio di leadership avesse una componente violenta. L’OSCE, in cooperazione con il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo, è già scesa in campo in Kirghizistan con una missione di monitoraggio elettorale guidata dall’ambasciatore francese Alexandre Keltchewsky. La missione porterà nel paese un nucleo di 17 esperti provenienti dai 15 stati partecipanti, 26 osservatori di lungo periodo arrivati in Kirghizistan il 13 settembre e 350 osservatori di breve periodo che si tratterranno per il solo periodo elettorale. 





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http://www.eu/ita/archivio/Lautunno-elettorale-Kirghiso-forte-competizione-per-le-elezioni-presidenziali-Frank-Maracchione-420-ITA.asp 2017-09-30 daily 0.5