Le conseguenze dei colloqui Stati Uniti-Taliban: quale influenza sull'architettura di sicurezza centroasiatica? (di Fabio Indeo)

A seguito dei negoziati - tenutisi a Doha (Qatar) alla fine di gennaio - tra rappresentanti dei Taliban e l'inviato speciale del governo statunitense per la riconciliazione in Afghanistan Zalmay Khalilzad sembra ipotizzabile un interessante evoluzione dell'assetto securitario in Asia centrale, anche se con esiti al momento imprevedibili.

Dopo 18 anni di conflitto, i Taliban appaiono propensi ad impegnarsi per garantire  una condizione di sicurezza e stabilità interna in Afghanistan, oltre alla loro volontà di porsi come forza politica pronta a collaborare con il governo ufficiale, che tuttavia non potrà essere quello attuale rappresentato da Ghani, percepito come una marionetta degli Stati Uniti.

La destituzione dell'attuale presidente e del governo nazionale costituiscono una delle condizioni sine qua non poste dai Taliban per garantire la stabilizzazione regionale, assieme al ritiro delle forze armate statunitensi che attualmente svolgono principalmente compiti di addestramento dell'esercito e delle forze armate afgane.

Il Presidente americano Trump pare orientato in questo senso, anche se richiede con forza l'impegno dei Taliban a combattere ed estirpare ogni possibile minaccia jihadista legata a gruppi terroristici stranieri (o meglio alimentati dall'estero) come lo Stato Islamico. Questa linea appare condivisa anche dall'altro attore regionale in materia di sicurezza, la Russia, che ha intrapreso numerose iniziative diplomatiche (nel format della conferenza di Mosca) per intavolare negoziati con i Taliban, visti come la forza capace di fronteggiare e sconfiggere la minaccia dello Stato Islamico nella regione, sfruttando la loro rivalità (numerosi sono gli scontri armate tra le opposte fazioni nelle varie province afgane) essenzialmente legata alla dicotomia ideologica tra gli obiettivi nazionali perseguiti dai Taliban - la realizzazione di un Emirato Islamico in Afghanistan - e le finalità transnazionali perseguite dai militanti dell'IS, ovvero un califfato islamico che travalichi il concetto di frontiera e stato nazionale.

Appare evidente che un'evoluzione di questo tipo avrà necessarie ripercussioni sull'architettura di sicurezza centroasiatica, considerando che l'Afghanistan confina con tre delle cinque repubbliche esistenti (Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan).

L'idea che un Afganistan pacificato possa rappresentare un partner economico-commerciale comincia a rafforzarsi anche tra i governanti centroasiatici, che appaiono condividere l'impostazione americana e russa sui Taliban, intesi come potenziale partner in ambito securitario in quanto pronti a combattere il terrorismo jihadista propugnato dai foreign fighters centroasiatici legati allo Stato Islamico, minaccia altrettanto seria per la stabilità politica delle repubbliche secolari dell'area.

L'impegno teorico dei Taliban ad assumersi la responsabilità come forza politica in collaborazione con un “rinnovato” governo afgano porterebbe stabilità. e rappresenta un obiettivo importante per il governo uzbeco, altra nazione che si è prodigata per promuovere il dialogo ed i negoziati con i Taliban. Ad agosto 2018, una delegazione Taliban è stata ricevuta dal Ministero degli Esteri di Tashkent per aprire un canale di dialogo di estrema importanza economico-commerciale per l'Uzbekistan, che dispone dell'unica linea ferroviaria in funzione con l'Afghanistan (Termez-Mazar I Sharif) attraverso la quale la repubblica centroasiatica esporta prodotti alimentari e manufatti, legittimandosi come partner privilegiato per Kabul. Inoltre l'Uzbekistan è anche uno dei principali fornitori di energia elettrica. In una condizione di stabilità di lungo periodo questa cooperazione economico-commerciale potrebbe rafforzarsi, considerando anche che l'Afghanistan rappresenta uno dei potenziali corridoi del progetto cinese della Belt and Road Initiative, per il trasporto di prodotti cinesi verso i mercati europei o i porti di sbocco sull'Oceano Indiano attraversando l'Afghanistan sino all'India o l'Iran.

Anche nella prospettiva turkmena (altra nazione confinante con l'Afghanistan) una condizione di stabilità fondata sul coinvolgimento dei Taliban nel governo rappresenterebbe una soluzione vantaggiosa, in quanto porrebbe fine alla minaccia di potenziali incursioni sul territorio nazionale di militanti armati jihadisti - con conseguenze destabilizzanti per la leadership al potere - e garantirebbe la realizzazione del gasdotto TAPI, in quanto una delle maggiori vulnerabilità legate a questo progetto risiede sulla mancanza di sicurezza del tronco che dovrebbe attraversare il territorio afgano (nella regione occidentale di Herat) e il rischio di interruzione delle forniture. 

Circa un anno fa, rappresentanti dei Taliban hanno ufficialmente espresso il loro sostegno all'utilità economica del gasdotto TAPI per la popolazione afgana, impegnandosi (verbalmente) a garantire la sicurezza relativamente al transito dell'infrastruttura nei territori da loro controllati.

In ambito securitario, la visita del Ministro degli Esteri russo Lavrov in Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan nei primi giorni di febbraio va collocata ed interpretata in quadro geostrategico regionale in mutamento. Infatti Kirghizistan e Tagikistan fanno parte (assieme a Kazakhstan, Russia, Bielorussia ed Armenia) dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e rappresentano una componente importante nella concezione russa di sicurezza regionale, in quanto ospitano rispettivamente la base militare aerea di Kant e un insieme di installazioni militari integrate come unica base, che costituisce la maggior presenza militare russa all'estero.

Nel corso dell'incontro con le autorità kirghise, è stata nuovamente menzionata la possibilità di realizzare una seconda base militare russa nel paese, possibilmente nella valle del Ferghana al confine con l'Uzbekistan, con l'obiettivo di prevenire possibili incursioni transfrontaliere. Nonostante  l'Uzbekistan abbia sostanzialmente migliorato i suoi rapporti con Kirghizistan e Tagikistan, la presenza di una base militare russa in prossimità dei confini nazionali potrebbe continuare ad essere vista da Tashkent - analogamente al passato - come una minaccia.

In Tagikistan la Russia ha esposto le proprie preoccupazioni in relazione alla minaccia di una profonda instabilità regionale legata alla porosità e allo scarso controllo del confine afgano-tagico, avanzando l'ipotesi di rafforzare ulteriormente la propria presenza militare nel paese, magari proprio in quell'area.

Va sottolineato che Mosca utilizza spesso la minaccia d'instabilità come uno strumento di pressione geopolitica sulle nazioni centroasiatiche per avallare il ruolo russo di garante della sicurezza: tentativi analoghi hanno riguardato in passato anche Uzbekistan e Turkmenistan per spingerli ad aderire all'OTSC.

Della visita di Lavrov in Turkmenistan non è emerso molto e non sono stati presi accordi specifici in materia di sicurezza. Pur non facendo parte dell'OTSC, il Turkmenistan nutre profonde preoccupazioni sulla minaccia jihadista al confine condiviso con l'Afghanistan e la visita è servita a rinsaldare il ruolo di Mosca come partner affidabile in ambito securitario, con delle eventuali ricadute anche in ambito energetico, se Gazprom decidesse nei prossimi mesi di concretizzare l'impegno di riacquistare gas turkmeno da destinare all'esportazione verso i mercati europei.




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