Le elezioni in Georgia: fra stabilità e polarizzazione (di Marilisa Lorusso)

Si è votato per un nuovo parlamento in Georgia. Le ottave elezioni dall’indipendenza del 1991 hanno suscitato un certo interesse anche fuori dal paese, ricevendo una discreta copertura anche in Italia sia per il recente viaggio papale, sia perché il paese si trova in un’area strategica e tormentata.
La Georgia è proiettata sulla regione del Mediterraneo allargato, inserita pienamente nella dimensione geopolitica della regione del Mar Nero e del Caucaso Meridionale. Confina con la Turchia, vicino strategico e travagliato da una fase politica che desta preoccupazione, e con due paesi – l’Armenia e l’Azerbaijan – il cui scontri transfrontalieri si sono fatti costantemente più frequenti, con picchi di aperto conflitto.
La stabilità della Georgia diventa quindi condizione necessaria per evitare un ulteriore inasprimento di un quadro regionale attualmente poco promettente. E il primo segno positivo arriva da queste elezioni: tenutesi regolarmente, dopo un concitato passato di elezioni ripetute o anticipate, svoltesi con un numero limitato di incidenti e pienamente competitive. Un bilancio in cui si insinuano però diverse criticità relative al parlamento che esce dalle urne della lunga maratona elettorale di ottobre.
Il primo dato è che queste urne sono rimaste relativamente vuote. Solo il 51% dei votanti si sono recati ai seggi. Dell’altissimo numero degli indecisi sull’orientamento di voto, più del 60% secondo i sondaggi fino a pochi mesi dalle elezioni, molti hanno semplicemente deciso di non votare, riducendo di quasi il 10% l’affluenza rispetto alle elezioni parlamentari precedenti, nel 2012. La maratona elettorale, articolata in un primo giro di votazioni, l’8 ottobre, giorno in cui si è votati per il sistema proporzionale e per il maggioritario, si è conclusa con i ballottaggi del 30 ottobre, quando il numero dei votanti si è ulteriormente contratto al 37%. Il che implica che il parlamento che si va creando gode di una limitata legittimità popolare. A questo si aggiunge anche una crisi di rappresentanza, sia per la scelta di non sostenere alcun partito da parte degli elettori, sia per effetto della distorsione del sistema elettorale con ampio premio di maggioranza. Più del 20% dei voti sono finiti in partiti che non hanno superato la soglia di sbarramento del 5%, rimanendo quindi non rappresentati, e il partito che ha raccolto la maggioranza relativa al proporzionale, complice appunto il sistema di ridistribuzione dei seggi e il metodo elettorale misto, ha raggiunto non solo la maggioranza assoluta, ma anche quella costituzionale, cioè la maggioranza aggravata ai due terzi per avere i numeri per cambiare la costituzione.
Il partito è il Sogno Georgiano, che è stato votato dal 48% dei votanti al proporzionale e che ha sfiorato l’en plein ai ballottaggi del 30 ottobre, aggiudicandosene 48 su 50. Un risultato decisamente lusinghiero per il governo uscente. Il partito è giovane, ha concluso la sua prima legislatura dopo essere stato portato alla vittoria da Bidzina Ivanishvili, oligarca che nel 2011 era sceso in campo con il suo progetto politico, raccogliendo una coalizione che era riuscita a spodestare il Movimento Nazionale Unito. La legislatura aveva poi visto il ritiro dalla vita politica attiva di Ivanishvili, che ha lasciato dopo un anno l’incarico di Primo Ministro, e il progressivo sfaldamento della coalizione, i cui membri minori sono stati penalizzati e dalla scelta degli elettori e dalla legge elettorale. Così mentre il Sogno si vede garantiti 115 seggi su 150 totali del Parlamento, per un paese di meno di 5 milioni di abitanti, gli ex membri della coalizione si attestano al di sotto del 5%, lasciando il parlamento in mano a soli tre partiti sui più di venti che si erano presentati alle elezioni.
Il Movimento Nazionale Unito dell’ex Presidente Mikheil Saakashvili si conferma come il secondo partito del paese, con più del 25% delle preferenze e 27 seggi. La partita fra le due principali forze politiche del paese è anche una lotta aperta fra due figure politiche che non rivestono ruoli politici o istituzionali nel paese, ma che condizionano con la loro personalità e ingerenza le vite dei partiti in cui hanno fatto carriera e che hanno largamente contribuito a creare, nelle vicissitudini della giovane democrazia georgiana. Da un lato Saakashvili rappresenta il dilemma del Movimento: il suo carisma è quello che ha fatto emergere il partito come leader nei concitati giorni della Rivoluzione delle Rose, che fidelizza una parte dell’elettorato, ma che ne allontana un’altra, quella euro-atlantista che vuole lasciarsi alle spalle gli eccessi degli anni 2003-2012. Dall’altra il Sogno rimane ambiguamente ostaggio del suo eccentrico tycoon Ivanishvili, auto-esiliatosi dalla politica attiva, ma che continua a condizionarla e i cui interessi e preferenze si insinuano nei programmi di governo e negli orientamenti di quella che è attualmente la più potente forza politica georgiana.
L’antagonismo dei due si sovrappone a quello dei due partiti, in un quadro estremamente polarizzato e oggi meno stemperato di prima per l’assenza di partiti minori in parlamento.
Il terzo partito, i Patrioti, riuscito per pochi voti a superare la soglia del 5%, è un partito di orientamento anti-occidentale, populista e conservatore, sul modello di analoghi in altre democrazie liberali. Secondo alcune indiscrezioni godrebbe di finanziamenti dalla Russia, ma via Ccecenia. La moglie del leader discendente dalla famiglia nobile georgiana dei Tarkhan-Mouravi, è una cecena. Il leader stesso ha infarcito la propria retorica di elementi talmente ultra reazionari, da avere probabilmente avuto l’effetto di ridurre il numero di simpatizzanti, in un paese in cui anche la dialettica modernizzazione-conservatorismo ha conosciuto e conosce polarizzazione e posizioni radicali.