Le nuove dinamiche della proiezione della Turchia in Asia Centrale (di Pierluigi Franco)

Dopo l’espansione sempre più evidente nell’area del Mediterraneo, anche il cuore dell’Eurasia torna nelle mire turche. Le nuove tensioni in Nagorno-Karabakh (Repubblica dell’Artsakh, nella dicitura armena) hanno infatti riportato l’attenzione del mondo sul ruolo sempre più incisivo della Turchia di Recep Tayyp Erdogan nel panorama geopolitico dell’Asia centrale. Agli osservatori non è sfuggita la successione in pochi giorni dalle esercitazioni militari congiunte di Turchia e Azerbaigian, svolte l’estate scorsa in territorio azero, all’azione militare vera e propria sul fronte del Nagorno-Karabakh. Un’azione ufficialmente sponsorizzata da Ankara che, secondo fonti russe, avrebbe lasciato in Azerbaigian militari, armamenti e aerei da combattimento F-16 anche dopo la fine delle esercitazioni.

Un segnale evidente di come il neo-ottomanesimo lanciato da Erdogan stia prendendo sempre più piede, sostituendo gradualmente nei Paesi turcofoni dell’area ex sovietica il già presente, ma antico e meno insidioso, panturchismo. Si tratta di un quadro guardato con grande attenzione dalla Russia, come testimoniano numerose analisi presenti anche nelle fonti di informazione più diffuse, ma che resta pressoché ignorato e sottovalutato dall’Occidente.

Il problema risiede soprattutto nella forza ideologica di cui la Turchia, ormai ben lontana dal laicismo di Ataturk, si sta facendo sempre più portavoce. In pratica, mentre alla base del panturchismo c’era fin dalla nascita una spinta essenzialmente storico-culturale, nel neo-ottomanesimo ci si trova a fare i conti con una realtà che punta sul fattore religioso islamico e nella sua trasposizione nell’ideologia politica. Non a caso in Nagorno-Karabakh sono entrate in campo anche forze jihadiste a fianco dell’offensiva azera e, altrettanto non a caso, subito dopo la conquista di villaggi armeni sono cominciate deturpazioni di chiese e simboli religiosi della cristianità. Un segnale decisamente pericoloso, quanto sottovalutato.

Il nodo sembra essere proprio nell’influenza che la nuova politica di Ankara, fortemente orientata verso la reislamizzazione e nel parallelo accentramento del potere presidenziale, sta gradualmente avendo nelle repubbliche centrasiatiche ex sovietiche. 

Se infatti, dopo la caduta dell’Urss, la Turchia ha esteso i suoi interessi economici nell’area centrasiatica, intensificando gli scambi commerciali e puntando più recentemente a divenire il centro di smistamento dei vari corridoi energetici, un fenomeno relativamente nuovo è l’esportazione di quella che può essere definita l’attuale “dottrina politica” turca. Un fenomeno facilmente riscontrabile anche nelle organizzazioni internazionali istituite da Ankara, come il “Consiglio turco” (Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni), nato nel 2009 con caratteristiche simili alla Lega araba, con sede a Istanbul. Sotto l’egida del Consiglio turco operano anche numerose organizzazioni tra le quali l’Organizzazione internazionale per la cultura turca e l’Accademia turca, che ha sede in Kazakistan. Ma l’ultima, e per molti aspetti più importante, mossa di Ankara è stata la creazione nel 2017 dell’Assemblea mondiale dei turchi (“Qurultai”, che prende non a caso il nome dall’assemblea dei fedelissimi di Gengis Kan). Le prime riunioni del “Qurultai dei turchi” si sono tenute in Kirghizistan e in Kazakistan. Gli scopi dichiarati di questa organizzazione sono soprattutto il consolidamento “spirituale e culturale” del popolo turco, l’assistenza allo sviluppo e la preservazione e rinascita della cultura dei popoli turchi. Iniziative di grande rilievo sociale e geopolitico, se si pensa che coinvolgono un’area che sfiora i cinque milioni di chilometri quadrati con circa 150 milioni di abitanti.

Con ottica evidentemente neo-ottomana, la Turchia ha dunque avviato in Asia centrale una sorta di rete educativa che passa anche attraverso associazioni universitarie, finanziamenti di borse di studio, promozione di mirati libri di storia e insegnamenti. Nel corso degli ultimi anni, inoltre, hanno avuto ampia diffusione nell’area centrasiatica anche organi di stampa e canali tv turchi. 

A favorire il recente rafforzamento del ruolo della Turchia nell’area è stata poi l’emergenza scaturita dalla pandemia. Per far fronte alla crisi derivante dalla diffusione del coronavirus, infatti, sono stati attivati tutti i canali di aiuto possibile. Già dall’aprile scorso, attraverso il Consiglio turco, Ankara ha fatto da guida nella gestione della crisi per tutti i Paesi centrasiatici garantendo aiuti umanitari e scambi, ma anche rafforzando la presenza nelle strutture di assistenza in un paese come il Kirghizistan, nel probabile tentativo di offuscare il ruolo di Mosca di cui Bishkek è partner nell’Unione eurasiatica.

La politica di “fratellanza turca” è infatti vista con preoccupazione dalla Russia che, pur essendo attivo interlocutore di Ankara, resta sostanzialmente rivale in tutta l’area come è sempre stato nella storia degli ultimi secoli. Se è vero che con la Turchia – pur essendo antagonista in Medio Oriente, Balcani, Caucaso e Asia centrale - Mosca ha scelto la strada della diplomazia (accordi di vario genere, fornitura di armamenti all’avanguardia come i missili S-400, ecc.), è pur vero che la Russia non può non essere preoccupata dall’espansione della politica islamizzante turca che sembra avere molto consenso nei vasti strati popolari asiatici dell’ex area sovietica.

D’altra parte questa politica è vista con qualche dubbio anche all’interno di alcuni vertici dei Paesi centrasiatici. Infatti, se da un lato l’autoritarismo insito nel neo-ottomanesimo può  essere accolto con favore dai governanti, a destare timori è invece, anche in questo caso, il facile attecchimento del radicalismo religioso soprattutto nelle importanti aree rurali. Un fattore che, in futuro, potrebbe risultare destabilizzante per i governi sostanzialmente laici dell’area. Un primo e preoccupante segnale è venuto dal fatto che migliaia di giovani provenienti da scuole islamiche istituite in Asia centrale hanno aderito all’Isis, mostrando così una forte radicalizzazione in un’area apparentemente tranquilla.

I timori di molti osservatori riguardano poi la componente fortemente anti-occidentale e anti-europea insita nella politica neo-ottomana, di cui si è avuta evidenza anche negli ultimi mesi. Una politica che potrebbe essere vista con sfavore da quelle repubbliche centrasiatiche che, invece, avevano volto lo sguardo all’Europa. A quell’Europa, un po’ distratta e talvolta ignava, che non sembra più accorgersi di quanto accade nel mondo. 




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