Le raffinerie in Kazakhstan e Uzbekistan: cambiare tutto affinché nulla cambi

Mentre l'agenzia anti-trust del Kazakistan multa la raffineria di Atyrau, la raffineria uzbeka nella Valle della Fergana diventa un affare per gli investitori.
In Asia centrale, le raffinerie di petrolio rappresentano i principali hub locali. Sebbene generalmente gli esperti si focalizzino per lo più sui dati relativi all’export di questi Paesi, un’analisi più approfondita delle élite che controllano le raffinerie può illustrare meglio come le attività commerciali e i governi dell'Asia centrale interagiscano tra loro.
In Kazakistan, la raffineria di Atyrau è uno dei tre principali centri di lavorazione del petrolio. Kazmunaigas, la compagnia nazionale del petrolio e del gas, controlla l'impianto, costruito nel 1945. L'impianto e la città sono talmente interconnessi che Kairat Urazbayev, il nuovo sindaco nominato a gennaio, è stato in precedenza direttore generale della raffineria. La raffineria è stata a lungo legata al peggioramento delle condizioni ambientali del luogo, in particolare all'inquinamento dell'aria e dell'acqua. Solo negli ultimi mesi è stato posto in opera un sistema di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico: la qualità dell'aria è ora infatti monitorata sia dal governo che dalle ONG locali.
Nel mese di agosto, la raffineria è stata sottoposta ad un’indagine anti-trust per aver stipulato un contratto di servizi, il quale non ha rispettato le politiche di trasparenza, causando l’aumento del prezzo al dettaglio dei prodotti petroliferi. È risaputo che uno dei più ricchi uomini d'affari del Paese, Timur Kulibayev, genero del primo presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, mantiene ufficiosamente stretti legami con la gestione della raffineria.
Dal punto di vista ambientale, negli ultimi mesi l’estrazione degli idrocarburi nella regione di Atyrau è stata motivo di grande preoccupazione per i residenti a causa dell’incendio della raffineria della città: dall’impianto onshore di Karabatan che raffina il greggio pompato dall’impianto petrolifero offshore di Kashagan, è fuoriuscita una minacciosa nube tossica visibile anche dalla città di Atyrau.
In Uzbekistan, la vendita della più importante raffineria sita nella Valle della Fergana, ovvero il più grande impianto di lavorazione del petrolio del Paese, ha suscitato più di un sospetto per l’opacità del deal. Infatti nel giugno 2020, la Belvor Holding Ltd, una società con sede a Cipro, ha assunto il controllo della Jizzakh Petroleum, una joint venture costruita precedentemente da società statali uzbeke e russe, che gestiva la raffineria. Belvor, che si dice sia gestita da membri vicini alla cerchia del presidente Shavkat Mirziyoyev, controlla il 68% della raffineria, mentre Uzbekneftgaz e Gazprom partecipano rispettivamente con una quota del 30% e del 2%.
Gli analisti presumono che con tale mossa Mirziyoyev abbia voluto smuovere gli equilibri economici della regione della Fergana nel tentativo di riappropriarsi di alcuni beni di proprietà dell'elite locale. In una registrazione diffusa nel 2018, Mirziyoyev disse di disapprovare l’atteggiamento predatorio dell'élite locali, aggiungendo che “sarebbe più vantaggioso per l’Uzbekistan se trasformassimo l’impianto della raffineria in ferraglia”. Senza nominare esplicitamente i cosiddetti “predatori”, Mirziyoyev si riferiva chiaramente ad Akbarali Abdullaev, nipote della moglie del defunto presidente Islam Karimov che ha controllato l’impianto fino al 2013.
Nel 2019 la proprietà dell’impianto è stata trasferita dalla società di raffinazione statale Uznefteprodukt all’Agenzia del Demanio uzbeko, nonché ente del governo delegato alle privatizzazioni nell’era post-Karimov. Inizialmente la vendita della raffineria era destinata alla PT Trans Asia Resources indonesiana – di proprietà della famiglia Aslanov – ma nel febbraio 2020 fu ceduta alla Jizzakh Petroleum, la quale ha dimissionato la precedente gestione e consolidato la sua posizione. Secondo quanto riferito, il direttore generale della Jizzakh Petroleum Bakhtyor Fazylov possiede anche le azioni della Eriell, una grande società di servizi in stretto contatto sia con Uzbekneftegaz che con la russa Lukoil.
A giugno, dopo mesi di tensioni, 287 lavoratori della raffineria hanno presentato un reclamo direttamente al Presidente Mirziyoyev, sostenendo che la nuova gestione ha drasticamente peggiorato le condizioni di lavoro e violando per di più gli obblighi contrattuali. La Jizzakh Petroleum è rimasta indenne ai vari tumulti e nel mese di luglio ha firmato un progetto da 300 milioni di dollari per l'ammodernamento dell'impianto.
Indubbiamente, la gestione semi-privata delle raffinerie del Kazakistan e dell'Uzbekistan sottolinea la necessità di una governance e di un comportamento aziendale tuttora sbagliati, i quali hanno contrassegnato la storia del settore petrolifero nella regione. Nonostante l’attuazione di costosi progetti di ammodernamento, la raffineria di Atyrau continua ad inquinare l'ambiente e opera attraverso un progressivo aumento dei prezzi tramite la stipulazione di accordi ambigui. Coloro che prevedevano un cambiamento in seguito all'elezione di Kassym-Jomart Tokayev in Kazakistan e Mirziyoyev in Uzbekistan continuano inutilmente ad aggrapparsi alla speranza.
Fonte: The Diplomat https://thediplomat.com/2020/09/central-asias-refineries-under-scrutiny