Le relazioni russo-kazake dopo il referendum in Crimea (di Giannicola Saldutti )

Le relazioni russo-kazake sono in procinto di mutare sensibilmente la loro natura in maniera molto meno “rumorosa” di quanto già accaduto tra Mosca ed altri attori dello spazio post-sovietico come Ucraina e Georgia. Molto spesso i circuiti mediatici occidentali tendono ad assimilare lo spazio eurasiatico come perennemente succube dell’influenza russa, inevitabilmente troppo lontano geograficamente e culturalmente, nonché quasi sconosciuto dall’Occidente per far sì che quest’ultimo possa provare ad intervenire per bilanciare le forze all’interno dell’area. Dal 2014, però, qualcosa sembra essere cambiato nelle strategie messe in atto da Uzbekistan (che, nel frattempo, ha superato la morte dello storico Presidente, Islam Karimov) e, soprattutto, Kazakhstan riguardo i loro rapporti con Mosca all’interno delle varie piattaforme politiche che vedono la Russia direttamente connessa ai Paesi dell’Asia centrale. L’evento scatenante le inevitabili mutazioni nello spazio eurasiatico riguarda l’annessione/riunificazione (con una scelta terminologica dettata puramente dalla questione ideologica) della Repubblica Autonoma di Crimea alla Federazione Russa attraverso il referendum del marzo 2014. La difesa dei diritti della prevalente componente russa nella penisola crimeana ha “mascherato”, in realtà, l’acquisizione ed il controllo di un territorio strategicamente decisivo per misurare le ambizioni russe nel Mar Nero in direzione di Europa e Turchia. Lo storico discorso tenuto da Vladimir Putin davanti alla Duma in occasione della presa d’atto degli esiti del referendum crimeano non lascia spazio a dubbio alcuno: la Russia interviene in difesa dei suoi connazionali viventi al di fuori dei suoi confini. 

Il Kazakhstan, per ovvi motivi di natura etnica, è il Paese che più ha risentito delle conseguenze di tali intenti. Astana ha sempre fatto della “unità nella diversità” l’emblema della sua politica e del suo processo di nation building. Una scelta lungimirante ma anche obbligata per un’entità statale che, nella sua storia, ha conosciuto la sovranità e la piena indipendenza soltanto nel 1991 dopo più di un secolo di dominio dell’Impero Russo, prima, e dell’URSS, poi. La storia delle steppe kazake ha fatto sì che il Paese sia oggi abitato da una numerosa comunità russa stanziata principalmente nel nord, in prossimità del confine russo: secondo alcuni dati, il 23,7% dei russi viventi nello spazio post-sovietico al di fuori della Russia risiede in Kazakhstan, rappresentando il 21,5% della popolazione kazaka totale. Una percentuale importante che ha immediatamente allarmato Astana, desiderosa di evitare qualsiasi tipo di scenario dannoso all’indipendenza e all’integrità territoriale del Paese.

Con il pragmatismo e la lungimiranza che hanno spesso contraddistinto le scelte geopolitiche di Nursultan Nazarbaev, il Kazakhstan ha, in prima istanza, salutato positivamente l’esito del referendum crimeano ponendo l’accento sul libero ed inviolabile principio di autodeterminazione dei popoli, assumendo dunque un atteggiamento molto conciliante nei confronti di Mosca. Queste affermazioni sono state interpretate a caldo come frutto di una semplice “sudditanza” nei confronti della Russia da parte di Astana. I più recenti sviluppi, nonché un’analisi più attenta ed approfondita, però, dimostrano esattamente il contrario: il Kazakhstan sta lentamente operando diversi cambiamenti strategici per mantenere l’equidistanza e la multivettorialità della sua politica estera, la quale, fino ad ora, ha riscosso successi significativi a dispetto delle analisi che, agli inizi degli anni ’90, individuarono proprio nella “terra dei Kazaki” un possibile focolaio di scontri etnici. 

Nazarbaev ha sempre difeso con orgoglio le aperte politiche operate dal suo Paese riguardo ai diritti garantiti a tutte le minoranze che fanno del Kazakhstan uno Stato “multinazionale”: il culto dello Stato è stato sempre anteposto alle esigenze delle componenti etniche e religiose contenute al suo interno (ricordiamo a tal proposito che il Kazakhstan è a larga maggioranza mussulmana). La minoranza russa (che rappresenta il principale bacino di professionisti ed operai qualificati nel Paese stanziati per lo più nelle città) ha contribuito notevolmente alla formazione dello Stato kazako. Lo status di lingua ufficiale del Paese ricoperto dal russo (in maniera completamente paritaria, se non -in certi contesti- prioritaria al kazako) ha sempre garantito alle minoranze la possibilità di esprimersi e di avvalersi dei propri circuiti culturali e mediatici. Da qualche anno a questa parte, però, la tendenza sembra essere cambiata: proprio nell’ottobre del 2017 Nazarbaev ha dato il via alla riforma ortografica della lingua kazaka, imponendo il definitivo passaggio dall’alfabeto cirillico a quello latino che dovrebbe avvenire entro il 2050. Nonostante siano stati rilevati numerosi dubbi a riguardo di una effettiva riuscita del progetto di allontanamento dalla sfera linguistico-culturale russa, il problema “linguistico” è letteralmente deflagrato nella società kazaka moderna: «per favore, spiegateci il perché noi [kazaki] siamo obbligati a conoscere il russo, mentre voi [russi] non siete obbligati a conoscere il kazako?» tuona la testata Qazaq Uni, gestita dal Partito Democratico Ak Zhol. In altre parole, è stato chiesto il pieno adempimento dell’articolo 7 della costituzione, che prevede l’effettivo utilizzo di entrambe le lingue ad ogni livello.

A tal proposito, Nazarbaev in persona ha dato istruzione agli apparati di governo di esprimersi in kazako, salvo poi ergersi a garante dei diritti degli impiegati di Stato russofoni. L’ambiguità riguardo ad un tema davvero fondante come quello della politica linguistica sta rappresentando un ulteriore motivo di allontanamento della comunità russa dai territori del Kazakhstan. A tal proposito, le statistiche non possono che portare ad una conclusione univoca: nonostante le tanto decantate politiche di pluralità riguardo ai diritti delle varie etnie, la comunità russa del Kazakhstan sta considerevolmente diminuendo la sua taglia, preferendo un ritorno al suo Paese d’origine dinanzi ad uno scenario futuro che si presenta, oggi più che mai, incerto. Dal 38% dell’intera popolazione nel 1989 (pari a più di 6 milioni di abitanti), la componente russa kazaka nel 2016 ne ricopre soltanto il 21%. Le regioni settentrionali del Kazakhstan hanno sempre suscitato, nella coscienza russa, un obiettivo neanche troppo nascosto dei suoi desideri di espansione. Le dichiarazioni rilasciate dal premio Nobel Aleksandr Solženicyn nel 2008 ne sono una prova: «tutto il Kazakhstan settentrionale e nord-orientale è parte della Siberia meridionale”, un luogo dove attualmente i russi «sono repressi nella sfera culturale, nazionale, in quella del business e nella vita di tutti i giorni».

L’annessione della Crimea e la successiva guerra nel Donbass rappresentano degli scenari infausti per il futuro dell’integrità territoriale kazaka. Astana ne è perfettamente cosciente, così come è cosciente del fatto che, incastonato tra il potere militare russo e l’aggressività dell’economia cinese, il Kazakhstan ha bisogno di rafforzare la propria integrità territoriale ed etnica, nonchè aumentare il proprio livello di sviluppo sia umano che tecnologico per poter consolidare il proprio status all’interno dell’UEE e dell’ODKB e scongiurare qualsiasi scenario conflittuale con la Russia, un partner che ha giocato, fino ad oggi, un ruolo rilevante nello sviluppo dell’economia kazaka. 




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Le-relazioni-russo-kazake-dopo-il-referendum-in-Crimea-di-Giannicola-Saldutti--585-ITA.asp 2018-12-03 daily 0.5