L’exit strategy statunitense dall’Afghanistan e l’impatto sulla sicurezza in Asia Centrale (di Fabio Indeo)

Il definitivo ritiro delle truppe statunitensi e dell’Alleanza Atlantica dall’Afghanistan dopo venti anni di presenza militare è destinata a ripercuotersi sulla condizione di sicurezza regionale, minando potenzialmente la stabilità politica delle confinanti repubbliche centroasiatiche.

Vi è il fondato timore che il ritiro delle truppe statunitensi incoraggi un’ offensiva militare e politica dei Taliban, con l’obiettivo di destituire l’attuale governo di Kabul e controllare nuovamente l’intera nazione, senza considerare la variabile destabilizzante costituita dai foreign fighters che combattono sotto la bandiera dello Stato Islamico, in contrapposizione ideologica con i Taliban: appare concreto quindi il rischio di instabilità e di conflittualità, con un conseguente flusso di rifugiati di etnia non pashtun che dovranno essere accolti dalle repubbliche centroasiatiche confinanti (Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan) e dall’Iran, oltre alla minaccia di incursioni terroriste di gruppi islamisti radicali dalle loro basi in territorio afghano.

Di conseguenza, le cinque repubbliche centroasiatiche e gli attori esterni con interessi nella regione (Russia, Cina, Iran ma anche gli stessi Stati Uniti e Turchia) sono impegnate nel promuovere e rafforzare accordi di cooperazione militare con l’obiettivo condiviso di preservare la stabilità regionale. Dopo aver manifestato insofferenza per la presenza delle truppe NATO nel “cortile di casa” di Mosca, ora Russia e Cina sono chiamate ad assumere – in quanto superpotenze regionali - un ruolo di crescente responsabilità e di maggiore coinvolgimento militare nel garantire la sicurezza in Afghanistan e nell’intera regione centroasiatica.

Dal 1991 la Russia si pone tradizionalmente come garante della sicurezza nello spazio post-sovietico, attraverso la cooperazione militare bilaterale con le repubbliche centroasiatiche ed il loro coinvolgimento (eccetto il Turkmenistan e l’Uzbekistan) nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC). A differenza degli altri attori regionali, Mosca può contare sue due basi militari in Asia Centrale, quella di Kant in Kirghizistan (sotto egida OTSC) e il complesso di installazioni militari in Tagikistan che comprendono la base permanente per la 201 Motor Rifle Division composta da 7500 effettivi, la maggiore base militare russa all’estero.

Negli ultimi mesi, Mosca si è impegnata a rafforzare gli accordi di cooperazione militare con le repubbliche centroasiatiche, supportando questi stati nel contrasto e contenimento delle minacce alla stabilità. A fine aprile, Russia e Tagikistan hanno intrapreso un’esercitazione militare su larga scala con oltre 50 mila soldati coinvolti, mezzi terrestri ed aerei, sul confine meridionale condiviso con Afghanistan. Le parti hanno inoltre siglato un accordo per promuovere l’integrazione di un sistema di difesa aereo regionale, fulcro della cooperazione militare multilaterale in ambito OTCS.

Successivamente, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu si è recato in Uzbekistan dove i ministri della difesa hanno annunciato un programma quadriennale di partnership strategica, che sostanzialmente conferma il riavvicinamento di Tashkent a Mosca intrapreso dal presidente uzbeco Mirziyoyev, sulla base di una cooperazione militare esclusivamente bilaterale che non prevede l’adesione dell’Uzbekistan ad iniziative di sicurezza regionali sotto l’egida di Mosca (OTSC).

Considerati i massicci investimenti e la concessione di ingenti prestiti alle nazioni centroasiatiche e all’Afghanistan nell’ambito dell’iniziativa della “moderna via della seta”, la Cina guarda con preoccupazione ad una condizione di instabilità nella regione, come minaccia ai propri interessi strategici. Sebbene la politica estera cinese continui a fondarsi sul principio di non intervento, in realtà una seria minaccia ai suoi interessi economici, strategici e geopolitici in Asia Centrale ed Afghanistan potrebbe spingere Pechino a rafforzare la propria presenza militare nella regione.

Per il momento, Pechino ha preferito agire sul piano della cooperazione bilaterale, sia vendendo armi a Turkmenistan ed Uzbekistan ma soprattutto rafforzando la partnership securitaria con il Tagikistan, coinvolgendolo nel Meccanismo Quadrilaterale di Cooperazione assieme ad Afghanistan e Pakistan, che rappresenta il primo blocco di sicurezza regionale dal quale la Russia è esclusa.

Ciononostante, le disposizioni della carta istitutiva dell’OTSC e i principi base della politica estera di Turkmenistan ed Uzbekistan di fatto condizionano pesantemente eventuali ambizioni di Pechino (e di Washington) di ottenere in concessione o aprire nuove basi militari in Asia Centrale, se si eccettua la probabile presenza militare cinese nella regione tagika del Gorno Badaskhan, in prossimità del confine con l’Afghanistan. 

Infatti, in base all’articolo 7 del trattato istitutivo della cosiddetta “NATO dell’est” gli stati membri (nel nostro caso Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan) non possono ospitare basi militari straniere nei loro territori senza il consenso unanime di tutti i partecipanti. Considerando il ruolo dominante della Russia in termini militari e finanziari, Mosca può agilmente porre il veto. Pur non facendo parte dell’OTSC (Tashkent decise di uscirne per la seconda volta nel 2012), l’Uzbekistan dovrebbe modificare gli orientamenti chiave della propria politica estera, improntata sul divieto di concedere basi militari a truppe straniere e sul non allineamento a blocchi militari regionali, anche se la nazione fa però parte dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai. Anche il Turkmenistan, avendo adottato il principio di neutralità permanente in politica estera, non può ospitare basi militari straniere nel proprio territorio.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il ritiro delle truppe dall’Afghanistan non implica un disinteresse della nuova amministrazione Biden nei confronti della regione centroasiatica: gli Stati Uniti hanno espresso profonda preoccupazione per l’insorgere di uno scenario di instabilità e appaiono intenzionati a supportare l’azione del governo di Kabul nel mantenimento della stabilità e nel combattere Daesh e le altre fazioni legate all’islamismo radicale militante come Jamaat Ansarullah. Per svolgere questo compito, l’amministrazione Biden punterebbe ad ottenere in concessione delle basi militari in Tagikistan ed Uzbekistan, nazioni visitate dal Rappresentante Speciale statunitense per la Riconciliazione dell’ Afghanistan Zalmay Khalilzad a maggio, per discutere di cooperazione in ambito securitario. In realtà, una rinnovata presenza militare di Washington in Asia Centrale appare altamente improbabile, sia per la ferma opposizione dei principali attori esterni regionali alla presenza di truppe americane in prossimità dei loro confini sia per l’attuale conformazione dell’architettura di sicurezza centroasiatica.

In questo scenario geopolitico in progressiva ridefinizione, le preoccupazioni inerenti l’impatto delle minacce sulla stabilità regionale tendono progressivamente a concretizzarsi. Nelle ultime settimane di giugno, Tagikistan e Uzbekistan hanno registrato diversi sconfinamenti nei loro territori nazionali di centinaia di militari appartenenti alle forze armate afghane, in ritirata in quanto incapaci di fronteggiare l’offensiva militare Taliban volta alla riconquista delle province settentrionali (confinanti con le repubbliche centroasiatiche). Mirziyoyev e Rahmon si sono consultati telefonicamente, al fine di trovare delle soluzioni condivise per gestire una situazione che rischia di diventare allarmante, prevedendo una crescente pressione migratoria sui confini che rende perciò necessario rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza. Soprattutto il Tagikistan appare estremamente vulnerabile, in quanto condivide con l’Afghanistan un confine di 1344 km, tradizionalmente poroso e mal controllato, attraverso il quale la situazione di conflittualità afghana potrebbe rapidamente propagarsi creando instabilità politica e sociale nella repubblica centroasiatica e, per contagio, nell’intera regione.




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