ODKB, cooperazione militare e Via della Seta: il “nuovo” Uzbekistan di Mirziyoyev (di Giannicola Saldutti )

È già trascorso più di un anno dalla morte dell’ex presidente della Repubblica di Uzbekistan, Islam Karimov, e dall’insediamento del suo successore Shavkat Mirziyoyev. Il Paese è alla prese con una fase di profonda trasformazione del proprio approccio in politica estera, considerato quanto riscontrato proprio nel mese di ottobre nel campo della cooperazione militare eurasiatica: nel poligono di Forish, a 250 km dalla capitale Tashkent, hanno avuto luogo le esercitazioni militari congiunte tra le forze uzbeche e quelle della Federazione Russa. Nello specifico, da parte russa, le operazioni hanno interessato gli specnac del reparto fucilieri di stanza nella Repubblica di Tuva, Siberia meridionale. 


La notizia rappresenta una novità assoluta considerando che da tempo la politica neutrale intrapresa da Karimov aveva contribuito a negare a qualsiasi forza esterna l’utilizzo di varie basi militari in territorio uzbeko, nonché a rendere il Paese “impermeabile” a qualsiasi iniziativa volta alla cooperazione militare, fino al punto da portare a termine, già nel 2012, le procedure d’uscita dall’ODKB, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva istituita nel 1992 dalla maggioranza dei Paesi della CSI, dimostrando, così, una certa riluttanza nell'aderire a qualsiasi politica “di blocco”. Nel poligono di Forish, per la prima volta dopo 12 anni (l’ultima esercitazione congiunta russo-uzbeka risale al 2005), le forze militari russe hanno potuto, nello specifico, ragguagliare i colleghi uzbeki riguardo al dispiegamento dei droni “Takion”, dei mortai “Podnos” e della stazione radio di sesta generazione “Azart”. 

Il ritorno ad una cooperazione simile è stata giustificata dai comandanti russi in capo alle operazioni come una necessaria presa di posizione per affrontare in maniera congiunta ed efficace le minacce rappresentate dal terrorismo di matrice islamista che stanno tenendo sotto tiro l’Asia Centrale. 

Effettivamente, proprio questo rischioso scenario avrebbe spinto il Presidente Mirziyoyev ad un atteggiamento molto più collaborativo nei confronti dei suoi vicini, in completa controtendenza rispetto all’approccio del suo predecessore: una delle prime mosse di Mirziyoyev è stata proprio quella di stipulare, nel dicembre 2016, un importante trattato di cooperazione militare con la Russia finalizzato proprio al riammodernamento degli approvvigionamenti militari uzbeki e all’addestramento congiunto del personale di entrambi i Paesi, tutto ciò dopo che il Segretario Generale dell’ODKB Nikolaj Bordjuža aveva parlato espressamente delle difficoltà riscontrate nel tentativo di stabilire un dialogo comune con le forze di intelligence di Uzbekistan e Turkmenistan riguardo alla collaborazione in materia di sicurezza e allo scambio di informazioni sensibili. 

Difficilmente i Paesi dell’Asia Centrale riuscirebbero a gestire singolarmente un tale fenomeno destabilizzante come quello del diffondersi dell’estremismo di matrice religiosa: in questo senso, non è da escludere a priori un sensibile riavvicinamento di Tashkent, se non direttamente nei ranghi, quantomeno alla sfera di influenza dell’ODKB, potendo giovare di un notevole aiuto nel campo dell’antiterrorismo da parte delle varie forze affiliate all’organizzazione. La virata della politica estera uzbeca può essere giustificata se osservata da un punto di vista molto più ampio rispetto alle questioni riguardanti la mera difesa: Mirziyoyev ha dimostrato espressamente, nonostante le intenzioni di inizio mandato lasciassero trasparire il contrario, di voler definitivamente avviare il Paese lungo una traiettoria moderna di sviluppo economico-sociale sfruttando l’enorme potenziale in termini di forza lavoro ed affrancarlo definitivamente dalla gestione “sovietica” dell’era Karimov. 

Il neo-Presidente uzbeco ha tentato, fin dal primo giorno di governo, di avviare un’operazione di reset nei confronti dei difficili rapporti bilaterali da sempre intrattenuti con tutti i Paesi confinanti visitando, in primis, le loro capitali. 

Lo scopo di questo riavvicinamento lo si può individuare nell’intento dell’Uzbekistan di partecipare, in qualità di protagonista nell’Asia Centrale, all’ambizioso progetto cinese della “Via della Seta”: il potenziale espresso da Tashkent in materia di connettività è, a dir poco, cospicuo, considerando la sua posizione geografica, punto di snodo tra due rotte fondamentali per lo sviluppo economico dell’Asia futura, ossia quelle che vanno da ovest verso est (dall’Iran a Pechino) e da nord verso sud (dalla Russia verso i porti pakistani sull’Oceano Indiano). 

Il desiderio di riformare profondamente l’approccio dell’Uzbekistan non poteva avvenire in un momento migliore: mentre Karimov ascese al potere in un contesto segnato dalla caduta dell’URSS e dal conseguente  unipolarismo, Mirziyoyev ha subito intuito l’assoluta necessità di adeguarsi al nuovo assetto mondiale per trarre profitto dalle spinte multipolari provenienti da Mosca e Pechino. 




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