Oltre Minsk? Il riassetto del processo di pace armeno-azero (di Laurence Broers)

Il processo di pace armeno-azero si sta dirigendo rapidamente verso acque inesplorate e imprevedibili. Le molteplici ricadute della guerra tra le due parti nel 2020 sono state ulteriormente aggravate dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, che ha mediato la fine della guerra del 2020 e ha schierato forze di pace in Nagorno-Karabakh. Spostamenti di potere potenzialmente significativi si stanno verificando tra i molti attori che cercano di mediare una soluzione del decennale conflitto del Karabakh.

Mentre il quadro generale appare profondamente complesso e pieno di incertezze, diverse dinamiche sono emerse per guidare questa nuova era di negoziati su una possibile pace armeno-azerbaigiana. È presente infatti un continuo rimescolamento delle forze esterne che cercano di mediare il conflitto, con diversi attori esterni che si concentrano su particolari serie di questioni, e un impegno emergente - anche se fragile - a Baku e Yerevan per negoziati bilaterali più diretti.

Chiaramente, ogni dinamica porta la sua serie di problemi e possibili rischi.

Strutturazione multipolare del processo di mediazione

Dopo la guerra del 2020, c'è stata un'accelerazione della transizione da una strutturazione multilaterale a una multipolare della mediazione in corso. Questo è evidente nel crescente ruolo dell'Unione europea (UE) in un ruolo di mediazione.

Il 6 aprile, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha incontrato per la seconda volta il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, facendo seguito al loro precedente incontro nel dicembre 2021. In entrambi gli incontri sono stati raggiunti una serie di accordi, in particolare sul ripristino dei collegamenti ferroviari, la formazione di una commissione bilaterale Armenia-Azerbaigian di confine e - potenzialmente più significativo - sull'apertura formale dei preparativi per un trattato di pace.  

Mentre il ruolo dell'UE ha assunto maggiore rilevanza, quello del gruppo di Minsk dell'OSCE è diminuito, a quanto pare in modo definitivo. Organo principale di mediazione del conflitto fin dalla prima guerra tra le due parti negli anni '90, il gruppo di Minsk era guidato da una troika di copresidenti francesi, russi e americani dal 1997. Questo formato ha giocato un ruolo unico come un raro teatro di cooperazione simbolica Russia-Occidente nel paesaggio conflittuale dell'Eurasia, anche se i negoziati hanno ristagnato dopo il 2011.

Il gruppo di Minsk è stato messo da parte durante la seconda guerra del Karabakh nel 2020. Da allora, le sue prospettive sembrano sempre più incerte. Anche se nel settembre 2021 sono stati fatti degli annunci che indicavano passi timidi verso la ripresa del suo ruolo, la guerra in Ucraina sembra aver segnato il destino del gruppo di Minsk.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato l'8 aprile che la Francia e gli Stati Uniti non stavano più cooperando con la Russia nel quadro del Gruppo di Minsk. Una settimana dopo, la Russia ha rinominato il suo inviato al gruppo, Nikolai Khovaev, per un nuovo lavoro come inviato speciale del ministero degli esteri russo responsabile della normalizzazione dei rapporti armeno-azerbaigiani.

In Siria, la Russia è riuscita - con l'aiuto turco e iraniano - a stabilire un nuovo formato di negoziazione, il processo di Astana, che ha escluso gli attori occidentali. Ora, nello scenario armeno-azerbaigiano, l'UE e la Russia stanno mettendo in campo iniziative di mediazione parallele associate ai loro rispettivi inviati speciali o rappresentanti. Il rischio è che questi sforzi possano diventare competitivi.  

La mediazione competitiva ha caratterizzato il processo di pace armeno-azerbaigiano a metà degli anni '90, quando la CSCE (la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, il precursore dell'OSCE), l'Iran e la Russia hanno offerto iniziative diverse. In effetti, la troika del Gruppo di Minsk che riunisce Francia, Russia e Stati Uniti è stata concepita all'inizio del 1997 proprio per incanalare gli sforzi concorrenti attraverso un meccanismo più efficace e coordinato.

L'UE ha cercato di minimizzare qualsiasi percezione di concorrenza sottolineando che non sta sostituendo, ma costruendo su accordi esistenti, negoziati dalla Russia. Questo potrebbe essere visto come una strategia per integrare e promuovere gli impegni esistenti. È significativo che la commissione congiunta di frontiera concordata a Bruxelles il 6 aprile sia stata esplicitamente definita come un organismo bilaterale, piuttosto che trilaterale convocato dall'UE.

Contenere le dinamiche competitive sarà una grande sfida, soprattutto finché la guerra in Ucraina sembra protrarsi indefinitamente. Ma alla fine potrebbe risultare essere solamente una risoluzione dei problemi più diretta e bilaterale tra Baku e Yerevan, tale da poter indigenizzare un processo di pace che è stato internazionalizzato per così tanto tempo e con apparentemente così poco effetto.

Raggruppamento di questioni e attori 

Una seconda dinamica chiave che sta emergendo è determinata da un "raggruppamento" dell'agenda di mediazione. Stiamo assistendo infatti a quella che sembra essere una compartimentazione delle questioni e degli attori, per cui l'UE sta assumendo un ruolo di mediazione su questioni tecniche ed economiche a livello interstatale tra Armenia e Azerbaigian, mentre le questioni di sicurezza e lo status del Nagorno-Karabakh rimangono di competenza di Azerbaigian, Russia e OSCE.

L'offerta dell'UE, come indicato nei resoconti delle riunioni di dicembre e aprile, si concentra sulle questioni tecniche derivanti dai negoziati formali (condotti dalla Russia), come gli impegni per la demarcazione e l'apertura dei confini e la creazione di nuovi collegamenti di trasporto. L'UE risulta anche in una posizione unica per aiutare finanziariamente a sottoscrivere le nuove infrastrutture di collegamento tra Armenia e ed Azerbaigian, necessarie per l'apertura delle frontiere e delle vie di transito previste nella dichiarazione di cessate il fuoco del 2020.

L'offerta tecnica e finanziaria dell'UE non risulta tuttavia accompagnata da una corrispondente offerta di sicurezza. Ad eccezione della presenza simbolica di un piccolo contingente di forze di pace turche nel centro di monitoraggio del cessate il fuoco vicino ad Aghdam, la Russia mantiene l'unica responsabilità di fornire sicurezza sotto forma di un contingente di pace russo di 2.000 uomini schierato in Karabakh e una clausola nell'accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 che il servizio di frontiera russo controllerà qualsiasi nuova rotta di transito.

Allo stesso modo, l'intervento dell'UE è inquadrato come una mediazione a livello interstatale, senza affrontare il livello infra-statale delle questioni relative alla popolazione armena in Nagorno-Karabakh. Gli osservatori armeni hanno attirato l'attenzione sul fatto che né a dicembre né ad aprile il resoconto dell'UE delle riunioni a Bruxelles ha menzionato il termine "Nagorno-Karabakh".

La questione centrale del conflitto, ovvero lo status contestato della popolazione armena in Karabakh, rimane formalmente presente nel mandato del gruppo di Minsk dell'OSCE. Nella situazione attuale, quindi, la questione centrale del conflitto è lasciata sotto il mandato esclusivo di un organismo che sembra, per ora, essersi disintegrato.

Questo è in larga misura un riflesso del successo militare e diplomatico dell'Azerbaigian nel togliere la questione dello status dal tavolo dei negoziati. Baku considera infatti il conflitto effettivamente risolto e la questione chiusa, permettendo di inquadrare la pace come un progetto tecnico ed economico di normalizzazione a livello interstatale. Questa prospettiva sottolinea anche la realtà che in effetti, per la prima volta in decenni, ci sono incentivi attraverso il divario armeno-azero per impegnarsi in legami economici e collegamenti infrastrutturali.

Tuttavia, il raggruppamento delle questioni, in cui vari punti dell'agenda della mediazione sono affrontati da diversi attori, ha diverse implicazioni. La prima è che qualsiasi accordo tecnico ed economico raggiunto potrebbe non avere il contesto di sicurezza necessario per prendere piede: Qualunque cosa Baku e Yerevan concordino a livello interstatale potrebbe essere fatta deragliare da nuovi cicli di violenza nel Nagorno-Karabakh. Considerata principalmente come esercitante un potere morbido, in questo contesto l'UE non ha l'influenza che potrebbe avere se Armenia e Azerbaigian fossero candidati all'adesione al blocco.

Una seconda implicazione è che con l'OSCE e l'Armenia effettivamente rimossi dai negoziati e dalla fornitura di sicurezza, gli armeni del Karabakh si rivolgeranno all'unico patrono della sicurezza rimasto - la Russia. Questo è già evidente nella discussione sul territorio di un possibile referendum per unirsi alla Russia.

La geografia, se non altro, milita contro un tale risultato. Tuttavia, in ultima analisi, la strada per ovviare alla necessità della presenza di terzi sul territorio azero risiede in una ipotetica trasformazione del rapporto di Baku con la popolazione armena del Karabakh. A lungo oscurato sotto la colossale sovrastruttura che si è costruita nel corso dei decenni, è questo rapporto che si trova al centro del conflitto.

Il consenso dei leader sulla necessità di negoziare

Le dinamiche precedenti riguardano in gran parte i ruoli e le capacità degli attori esterni, che tendono a prendere il centro della scena nell'analisi delle vicende legate al Caucaso meridionale. Un'altra dinamica chiave emergente potrebbe tuttavia sfidare questo approccio: l'apparente consenso tra le rispettive leadership in Armenia e Azerbaigian sulla necessità di negoziare.

Questo si riflette in nuovi tipi di interazioni bilaterali, come ad esempio i colloqui avvenuti a Bruxelles il 31 marzo tra Hikmet Hajiyev, l'alto consigliere di Aliyev per la politica estera, e Armen Grigoryan, il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale dell'Armenia, e una telefonata tra i ministri degli esteri Jeyhun Bayramov e Ararat Mirzoyan datata 11 aprile. Entrambi gli eventi risultano unici e senza precedenti nella storia recente tra i due paesi. 

Le motivazioni per impegnarsi sono molteplici. Per Aliyev, appare importante consolidare la vittoria militare dell'Azerbaigian nel 2020 ed evitare l'indurimento di un nuovo status quo. Baku accoglie infatti con favore la multipolarità per allontanare il processo sia dall'unilateralismo russo che dal multilateralismo del Gruppo di Minsk, e verso il tipo di gioco di equilibrio tra diversi poli in cui la politica estera azera eccelle. Tutto ciò, permetterebbe anche una riorganizzazione dell'agenda di pace solo a livello interstatale, mettendo a tacere la discussione sullo status del Nagorno-Karabakh. 

Per Pashinyan, invece, con la capacità militare armena distrutta nella guerra del 2020, l'ombrello di sicurezza offerto dalla Russia sempre più in dubbio dopo l'invasione dell'Ucraina, e un processo di normalizzazione con la Turchia che dipende dall'acquiescenza dell'Azerbaigian, sembrano esserci poche scelte se non quella di negoziare alle condizioni dell'Azerbaigian. In un discorso al parlamento armeno il 13 aprile, Pashinyan ha ammesso che avrebbe dovuto condurre un dibattito pubblico sul reale stato dei negoziati prima della guerra del 2020 e sembra aver posto le basi per future concessioni armene sulla questione dello status.  

Tuttavia, entrambi i paesi condividono anche un tacito consenso per contrastare un monopolio russo sulla gestione del loro conflitto. Yerevan avrebbe certamente preferito vedere una rinascita del gruppo di Minsk come mediatore di una soluzione globale, compresa la questione dello status del Nagorno-Karabakh. Ma in assenza del gruppo di Minsk, l'UE appare come la migliore alternativa. Questo fattore non dovrebbe essere sopravvalutato: La fiducia armena negli attori occidentali non è mai stata così bassa. Eppure, per le loro diverse ragioni, Baku e Yerevan hanno convergente su Bruxelles come mediatore alternativo.

I rischi per Aliyev e Pashinyan sono quelli di non riuscire ad assicurarsi un più ampio consenso per qualsiasi accordo. Questo rischio è particolarmente pericoloso per Pashinyan, poiché è effettivamente costretto a rinunciare al patrocinio dell'Armenia sulla rivendicazione di autodeterminazione degli armeni del Karabakh in assenza di garanzie di sicurezza alternative, credibili e a lungo termine. Questo sta portando a un livello potenzialmente destabilizzante di discordia con Stepanakert. Non si può quindi escludere una violenta contestazione interna di qualsiasi accordo raggiunto da Pashinyan. 

Questa situazione ricorda un precedente momento di negoziazione bilaterale nel processo di pace del Karabakh quando, nel 2001, gli allora presidenti Heydar Aliyev e Robert Kocharyan si accordarono sui parametri di uno scambio territoriale per risolvere il conflitto. Questa soluzione a due, tuttavia, è fallita quando la più ampia élite azerbaigiana ha rifiutato le concessioni che avrebbe richiesto all'Azerbaigian.

Più di 20 anni dopo, le élite politiche in Armenia e Azerbaigian affrontano lo stesso problema - legittimare i risultati dei loro negoziati con società più ampie escluse dalle loro deliberazioni - ma in un ambiente internazionale molto più impegnativo. Nessun singolo quadro unificante sembra essere disponibile per una soluzione globale che affronti tutte le questioni contestate da armeni e azeri. Se una pace a compartimenti stagni basata su accordi in alcune aree possa trasformare il contesto per la discussione di altre, in un contesto in cui la contrattazione coercitiva è stata normalizzata e sullo sfondo di poteri esterni fratturati e radicalizzati, rimane incerto.


Laurence Broers

Articolo pubblicato il 20 aprile 2022
Fonte: Eurasianet
Articolo Originale in lingua inglese: https://eurasianet.org/perspectives-beyond-minsk-the-remaking-of-the-armenian-azerbaijani-peace-process




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