Rivoluzione o restaurazione? Analisi sull’evoluzione politica in corso in Kirghizistan (di Fabio Indeo)

Dai primi giorni di ottobre, il Kirghizistan si è trovato al centro di una profonda crisi politica che ha scosso e minato le fondamenta istituzionali, innescando una trasformazione destinata ad avere delle serie ripercussioni sulla stabilità della repubblica centroasiatica, Infatti, le manifestazioni di protesta indette dalle forze di opposizione - che contestavano il risultato delle elezioni parlamentari - hanno sostanzialmente decapitato la leadership politica nazionale, con le dimissioni del primo ministro e del presidente Jeenbekov: in questo vacuum politico è emersa la controversa figura di Japarov (liberato dal carcere a seguito dei tumulti di piazza), abile nello sfruttare il corso degli eventi a tal punto da concentrare nella propria persona il ruolo di primo ministro e di presidente ad interim, attraverso un’evidente forzatura delle leggi e del  sistema di regole esistenti e degli equilibri tra i poteri dello stato.

Questa impressione appare confermata dalla precisa volontà di posticipare le elezioni parlamentari e presidenziali, e di promuovere un progetto di revisione della Carta Costituzionale finalizzato a restaurare un sistema politico presidenziale, possibilmente incentrato sulla sua persona attraverso delle modifiche alle norme attuali che non gli consentirebbero di partecipare alle elezioni per la nomina del capo dello stato. 

La destituzione del presidente in carica a seguito di manifestazioni di protesta popolare non rappresenta una novità nella storia del Kirghizistan indipendente (nel 2005 la cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” estromise l’allora presidente Akayev, mentre nel 2010 le proteste di piazza portarono alla destituzione del suo successore Bakiev) - ma bensì un unicuum nell’Asia Centrale post sovietica - e dimostra il discreto funzionamento di un sistema multipartitico e il radicamento di una società civile che si oppone a fenomeni quali corruzione, nepotismo, infiltrazione della criminalità nelle leve del potere.

Sussistono tuttavia delle evidenti differenze tra le due precedenti rivoluzioni e quella attuale: sia nel 2005 che nel 2010 vi erano delle figure politiche riconosciute, capaci di guidare la transizione politica: ad esempio nel 2010, a seguito della destituzione di Bakiev venne creato un governo ad interim composto da leader politici che comprendeva il leader di Ata-Meken Omurbek Tekebaev, il leader del Partito Social Democratico Almazbek Atambaev (poi eletto presidente), e soprattutto  Roza Otumbaeva - ex ministro degli esteri, ex diplomatica, personalità riconosciuta a livello internazionale - che nel ruolo di presidente ad interim (prima ed unica donna in Asia centrale) assunse il ruolo di traghettatore conducendo il paese alle presidenziali del 2011, oltre che promotrice dei significativi emendamenti della costituzione che sancirono il passaggio da una repubblica presidenziale ad una parlamentare, fondata su una più equa distribuzione dei poteri. Nella transizione politica in corso, mancano invece delle personalità politiche di riferimento e le differenze programmatiche (e di interessi) tra le varie forze di opposizione sono ben presto emerse, sfaldando il fronte comune anti-governativo.

Parallelamente, si può rilevare un interessante linea di continuità tra questa “rivoluzione” e quelle precedenti, nella riproposizione della tradizionale frattura etnico-politico tra il nord e il sud che connota la politica kirghisa, una ferrea rivalità tra le fazioni provenienti da queste diverse aree geografiche che di volta in volta si contendono le principali cariche politiche: durante la “rivoluzione dei tulipani” Bakiev era espressione delle istanze del sud (originario di Jalabad, Valle del Ferghana), mentre nel 2010 prevalsero le istanze delle fazioni politiche settentrionali (ad eccezione della Otumbayeva, originaria di Osh, città al confine con l’Uzbekistan, tristemente famosa per gli scontri interetnici nel 1990 e nel 2010). Alle elezioni del 2017, Jeenbekov – espressione della fazione politica del sud kirghiso – prevalse su Atambayev (originario della regione di Chui, Kirghizistan settentrionale).

I risultati delle elezioni parlamentari del 4 ottobre sono stati il detonatore delle manifestazioni di protesta delle opposizioni, che hanno portato alla reazione violenta delle forze di sicurezza in un clima di crescente conflittualità e violenza che vedeva coinvolti anche i gruppi di opposizione in contrapposizione tra loro.
I partiti filo-governativi (Birimdik, che annoverava tra i candidati il fratello del presidente Jeenbekov) e Mekenim Kyrgyzstan, guidato da Raiymbek Matraimov (figura controversa, ex capo delle dogane sospettato di operazioni di contrabbando) erano stati capaci di assicurarsi il 58% dei voti, che significava il controllo dell’88%  dei seggi (su 120 disponibili) del Jogorku Kenesh (Consiglio Supremo), il parlamento unicamerale kirghiso, superando l’elevata soglia di sbarramento fissata al 7%. Butun Kyrgyzstan è risultato essere il solo partito d’opposizione capace di superare questa soglia.

I partiti e i movimenti di opposizione contestavano duramente la loro esclusione dal Consiglio Supremo, che era nelle mani di un blocco politico dominante in continuità con il passato e fautore dello status quo, accusando questi partiti di compravendita di voti e di utilizzare risorse statali per la campagna elettorale.

La creazione del Consiglio di Coordinamento - che raggruppava otto dei sedici partiti che hanno preso parte alle elezioni, tra i quali Butun Kyrgyzstan, Ata Meken, Respublika, Bir Bol e il partito Social Democratico - lasciava presagire la volontà di creare un governo ad interim capace di elaborare un’alternativa politica e programmatica che incanalasse il malcontento popolare, il quale ha invece assunto dei connotati violenti ed eversivi sfociati con la liberazione dalla detenzione negli edifici del Comitato Statale per la Sicurezza Nazionale (GKNB) di diverse personalità tra le quali l’ex presidente Alzambek Atambayev (condannato ad 11 anni per complicità, reo di aver avallato l’illegale scarcerazione di un noto malavitoso), Sadyr Japarov (ex deputato condannato ad 11 anni di carcere per aver ucciso un governatore regionale nel 2013) e Sapar Isakov, ex primo ministro durante la presidenza Atambayev, imprigionato a seguito dell’ascesa al potere di Jeenbekov.

L’incapacità delle forze di opposizione di risolvere il nodo della carica di primo ministro e la sostanziale inazione del presidente Jeenobekov hanno contribuito a creare un pericoloso vacuum politico nel quale si è abilmente inserito Japarov (un politico nazionalista, sino al 2010 ex consigliere del presidente Bakiev), supportato dai suoi sostenitori che con azioni di violenza ed intimidazione hanno sostenuto la sua ascesa alle leve del potere.

Mentre l’ex presidente Atambayev veniva arrestato nuovamente con l’accusa di aver fomentato scontri tra le opposte fazioni, nel corso di un inusuale seduta del parlamento all’hotel Dostuk Japarov ha ottenuto la carica di primo ministro, grazie alle pressioni intimidatorie esercitate dai suoi sostenitori fuori dall’edificio: qui si registrano le prime “forzature” legali, ovvero la mancanza  del quorum richiesto del 50% dei 120 parlamentari (51 su 60) - anche se l’opzione non precedentemente prevista del voto online dei parlamentari ha permesso di raggiungere numericamente il quorum – e la mancanza della necessaria approvazione del presidente Jeenbekov  alla sua candidatura.

Nonostante la decisa opposizione dei maggiori partiti - Ata-Meken e Respublika – a questa autocandidatura e il tardivo rifiuto di Jeenbekov (ricomparso sulla scena dopo giorni di assenza) alla nomina di Japarov, l’ascesa del politico nazionalista (in carcere sino a pochi giorni prima)  continuava imperterrita.

La situazione è radicalmente mutata il 15 ottobre, con l’annuncio delle dimissioni del Presidente Jeenbekov, il quale ha espressamente dichiarato di non voler passare alla storia come il presidente che ordina un bagno di sangue del suo popolo, in quanto la crisi politica e la situazione attuale sono destinate ad evolversi drammaticamente in un conflitto aperto e sanguinoso, con le forze di sicurezza che si troverebbero ben presto ad intervenire per riportare l’ordine e far cessare gli scontri tra le opposte fazioni.

In realtà, le dimissioni sono state una scelta obbligata per Jeenbekov, costretto dalle forti pressioni della piazza pro-Japarov che minacciava esplicitamente di rovesciarlo con la forza, che nei tre anni di potere non è stato in grado di risolvere o anche solo di affrontare le problematiche che affliggono la società kirghisa, come la corruzione, l’influenza crescente della criminalità organizzata capace di condizionare la scena politica ed economica nazionale.

Nel tardo pomeriggio del 15 ottobre, Japarov si è autoproclamato presidente della repubblica ad interim, violando ancora una volta i dettami costituzionali che prevedono - nella fase di transizione politica - il passaggio dei poteri allo speaker del parlamento in caso di dimissioni o incapacità del presidente allo svolgimento delle proprie funzioni. Kanat Isayev, nominato soltanto due giorni prima alla cruciale carica di speaker del parlamento, ha apertamente rinunciato alla carica di presidente ad interim, per l’aperta ostilità espressa dai sostenitori di Japarov. 

Lo scenario che si va delineando è caratterizzato da una non equilibrata concentrazione di poteri nelle mani della stessa persona, condizione che sta snaturando le finalità originarie che sottendevano alla “rivoluzione” innescatasi il 4 ottobre.

Per dimostrare un rinnovato impegno nella lotta contro la criminalità e la corruzione, e smentire le accuse di collusione espresse da diversi esponenti politici e della società civile kirghisa, Japarov ha ordinato alcuni arresti eccellenti, tra i quali Matraimov, nonostante poi sia stato rimesso rapidamente in libertà a seguito del pagamento di una cauzione.

Nel frattempo, il 22 ottobre il Parlamento kirghiso ha deciso di posticipare le elezioni parlamentari – vanificando la scelta della Commissione Elettorale Centrale di indire le parlamentari a dicembre – ed ha avanzato una proposta di revisione della costituzione: tra le modifiche che verranno discusse, l’abbassamento della soglia di sbarramento dal 7 al 3% per entrare in parlamento.

Nel progetto di revisione costituzionale si scontrano due visioni: Japarov sembra intenzionato a rafforzare il sistema presidenziale, dopo aver dichiarato che l’adozione del sistema parlamentare è stata prematura, in quanto i cittadini non erano pronti. L’intenzione del presidente ad interim sarebbe non quella di estendere i poteri del presidente ma di rafforzare il potere del popolo, rivitalizzando ad esempio il format dell’assemblea tradizionale – Kurultai - dove le persone si incontrano e discutono su idee e proposte da presentare al parlamento o al presidente.

Ata-Meken e le altre forze di opposizione si schierano su posizioni diametralmente opposte, chiedendo che il ruolo del parlamento venga rafforzato e non ridotto, in un sistema dove i poteri del parlamento e dell’esecutivo vengano estesi, mentre i poteri presidenziali ridotti a mera rappresentanza sul modello della monarchia britannica.

Secondo la normativa vigente, il presidente ad interim non può candidarsi alle presidenziali mentre appare evidente che Japarov voglia ancora una volta forzare le regole o ignorarle: durante un recente comizio a Naryn Japarov ha espresso la sua intenzione di dimettersi a dicembre, mossa che gli consentirebbe di aggirare il divieto e di candidarsi alle presidenziali previste per il 10 gennaio 2021.

Oltre alle sfide di politica interna (ripristinare l’ordine e la stabilità, affrontare l’emergenza sanitaria legata al covid 19, promuovere il rilancio economico post pandemia) che attendono Japarov nei prossimi mesi, occorrerà altresì valutare l’orientamento dei due giganti geopolitici in relazione alla transizione politica in corso in Kirghizistan.

Sebbene il nuovo ministro degli esteri kirghiso Kazakbaev abbia espresso la ferma volontà di preservare il legame privilegiato con la Russia, Putin non ha nascosto il suo malcontento di fronte alle recenti vicende kirghise, giudicate “spiacevoli”, in quanto ulteriore fattore di instabilità nello spazio post sovietico che coinvolge un altro paese membro dell’Unione Economica Euroasiatica dopo le proteste post-elettorali in Bielorussia e il conflitto aperto che coinvolge l’Armenia con l’Azerbaigian per la questione irrisolta del Nagorno-Karabakh.

I precedenti presidenti Jeenbekov e prima ancora Atambayev erano fortemente filorussi, convinti promotori di quella tradizionale partnership strategica che colloca Bishkek sotto l’ombrello securitario di Mosca (appartenenza all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e concessione della base aerea di Kant), oltre ad essere stato membro della Unione Economica Euroasiatica dal 2015.

Anche la Cina ha espresso profonda preoccupazione per la destituzione di Jeenbekov e per il clima di caos ed instabilità, temendo un potenziale contagio nella confinante regione dello Xinjiang.  La Cina oggi rappresenta il maggiore creditore di Bishkek, sopratutto la Eximbank (China’s Export-Import Bank) che ha concesso prestiti e finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture nell’ambito della Belt and Road Initiative. Nonostante questa repubblica centroasiatica rientri nell’orbita securitaria russa, è al tempo stesso centrale per alcuni progetti cinesi sia in ambito BRI (il corridoio ferroviario Cina-Kirghizistan-Uzbekistan) che in ambito energetico, in quanto nazione di transito della linea D del gasdotto Cina-Asia centrale, linea che verrà alimentata esclusivamente con gas turkmeno.




CONSORZIO IEA utilizza cookies tecnici e di profilazione e consente l'uso di cookies a "terze parti" che permettono di inviarti informazioni inerenti le tue preferenze.
Continuando a navigare accetti l’utilizzo dei cookies, se non desideri riceverli ti invitiamo a non navigare questo sito ulteriormente.

Scopri l'informativa e come negare il consenso. Chiudi
Chiudi
x
Utilizzo dei COOKIES
Nessun dato personale degli utenti viene di proposito acquisito dal sito. Non viene fatto uso di cookies per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né sono utilizzati cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti. L'uso di cookies di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell'utente e scompaiono, lato client, con la chiusura del browser di navigazione) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione (costituiti da numeri casuali generati dal server) necessari per consentire l'esplorazione sicura ed efficiente del sito, evitando il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli utenti, e non consente l'acquisizione di dati personali identificativi dell'utente.
L'utilizzo di cookies permanenti è strettamente limitato all'acquisizione di dati statistici relativi all'accesso al sito e/o per mantenere le preferenze dell’utente (lingua, layout, etc.). L'eventuale disabilitazione dei cookies sulla postazione utente non influenza l'interazione con il sito.
Per saperne di più accedi alla pagina dedicata

Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie.
Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

Consulta il testo del provvedimento
http://www.eu/ita/archivio/Rivoluzione-o-restaurazione--Analisi-sullevoluzione-politica-in-corso-in-Kirghizistan-di-Fabio-Indeo-860-ITA.asp 2020-11-02 daily 0.5