Si muovono ancora le acque del Caspio: le implicazioni dell’accordo sul gas tra Azerbaigian, Iran e Turkmenistan (di Leonardo Zanatta)

Il 28 novembre, Azerbaigian, Turkmenistan e Iran hanno firmato un accordo per lo scambio di gas naturale. L’intesa trilaterale è stata raggiunta ad Ashgabat, la capitale turkmena, nella cornice del vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica, una piattaforma di discussione istituita da Pakistan, Turchia e Iran per promuovere sviluppo economico e opportunità di investimento in Azerbaigian, Afghanistan e nelle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). 

Le parti hanno concordato che tra gli 1,5 e i 2 miliardi di metri cubi all’anno di gas turkmeno raggiungeranno il territorio iraniano e, a sua volta, Teheran si impegnerà a far giungere lo stesso ammontare al confine azero. Secondo le parole del ministro del Petrolio iraniano, Javad Owji, i rubinetti delle forniture apriranno il 22 dicembre. Sebbene le quantità non siano particolarmente rilevanti, l’accordo tra Azerbaigian, Turkmenistan e Iran merita attenzione per diverse ragioni.

Azerbaigian e Iran verso una apparente tregua
Secondo il ministro Owji, le negoziazioni con l’Azerbaigian erano iniziate due mesi prima della firma. In quel periodo, le relazioni tra Baku e Teheran stavano attraversando un periodo estremamente complicato. Il 12 settembre, le truppe azere, turche e pakistane avevano condotto un’esercitazione congiunta nella capitale azera. Nello stesso giorno, la polizia azera aveva iniziato a fermare i camion iraniani che transitavano sulla strada che collega le due città principali dell’Armenia meridionale: Goris e Kapan. Siccome questa infrastruttura attraversa anche diverse fette di territorio che sono al momento sotto controllo delle forze azere, ai camionisti era stato imposto il pagamento di una tassa per poter entrare in Azerbaigian. Questo evento aveva suscitato la reazione delle autorità iraniane, con un’esercitazione del corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche che aveva avuto luogo nei pressi del confine tra i due stati l’1 di ottobre.

Come dimostrato dall’incontro privato avvenuto prima della firma tra il presidente dell'Azerbaigian Ilham Aliyev e il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, entrambe le parti hanno voluto dare un segnale forte: lo stato d’allerta sembra ormai superato. Lo stesso Aliyev, intervistato dai giornalisti in occasione del vertice, ha dichiarato che i due paesi hanno “relazioni fraterne” e che le questioni discusse “mostrano ancora una volta che le relazioni Iran-Azerbaigian sono ad un livello molto alto”. 

Turkmenistan e Iran cercano una normalizzazione delle relazioni energetiche
Per una economia come quella del Turkmenistan, nella quale il settore energetico rappresenta il 90% delle esportazioni e il 44% delle entrate di bilancio, la diversificazione delle rotte energetiche e dei partner commerciali è sempre stata di massima priorità. Nel 1997, con la costruzione del gasdotto che collegava le città di Kurtkuj e Korpeje, l’Iran diventò per il gas turkmeno il primo mercato di esportazione alternativo alla posizione monopolistica della Russia. Per Teheran, le riserve turkmene servivano a far fronte al crescente consumo di energia nelle province settentrionali del paese. Oltre ad essere distanti migliaia di chilometri dai principali giacimenti, localizzati a sud, questi territori non sono ben collegati alla rete interna iraniana. Per questo motivo, le riserve del Turkmenistan rappresentavano un’alternativa più vicina geograficamente e conveniente a livello di costi. Tanto che, nel 2010, le due parti hanno inaugurato un altro gasdotto per collegare il giacimento turkmeno di Dauletabad alla raffineria iraniana di Khangiran. 

 Di lì a poco, la situazione ha cominciato a peggiorare. Nel 2012, Ashgabat ha ridotto le forniture del 50% senza alcun preavviso e Teheran ha accusato la compagnia energetica Turkmengaz di aver agito in tal modo per rinegoziare il prezzo delle forniture a ridosso dell’inverno. Lo scontro tra le due parti ha innescato una crisi culminata nel 2016, quando il Turkmenistan ha presentato un reclamo all’Iran per $1,8 miliardi di bollette non pagate tra il 2007 e il 2008. Teheran ha risposto al sollecito di pagamento con accuse analoghe a quelle del 2012. Le due parti hanno così deciso di porre fine alle loro relazioni energetiche e di portare la questione alla Corte Internazionale di Arbitrato della Camera di Commercio Internazionale (ICC). 

Nel frattempo, la Russia aveva cessato di importare gas turkmeno nel 2015, a causa di dispute sul prezzo. In questo scenario di incertezze, la Cina era già a riuscita inserirsi nel mercato energetico turkmeno nel 2013 e, dopo che Ashgabat ha perso sia Mosca sia Teheran, si è ritrovata in una posizione di monopsonio. Pechino, che con circa 145,46 exajoule nel 2020 è il più grande consumatore di energia primaria al mondo, importa 65 miliardi di metri cubi all’anno dalla repubblica centroasiatica attraverso una rete di gasdotti conosciuta come Central-Asia China gas pipeline. Quest’ultima è in fase di espansione e, una volta ultimata, permetterà al Dragone di importare 85 miliardi di metri cubi all’anno. Sebbene ad aprile 2019 le compagnie energetiche statali russe e turkmene, Gazprom e Turkmengaz, abbiano deciso di riavviare le relazioni firmando un contratto di fornitura quinquennale per la consegna di 5,5 miliardi di metri cubi all’anno tra il 2019 e il 2024, gli esperti non ritengono eliminato in tal modo il monopsonio cinese sul gas turkmeno. 

L’intesa trilaterale offre a Turkmenistan e Iran la possibilità di normalizzare le relazioni sul gas dopo la disputa del 2016 e di stipulare nuovi accordi. Ora che la pessima situazione economica del Turkmenistan, aggiunta all’isolamento politico, ha portato alla carenza di beni di base come olio da cucina, farina e zucchero, questa formula potrebbe rimanere accettabile per Ashgabat. Non è un caso che la firma dell’accordo arrivi dopo che il presidente iraniano Raisi e il suo omologo turkmeno, Gurbanguly Berdimuhamedov, si erano già incontrati in Tagikistan il 27 settembre, in occasione di un Summit per i paesi membri della Shangai Cooperation Organization. In questo contesto, Teheran è stata accolta dagli altri membri come membro permanente a pieno titolo. 

Tre paesi, tre obiettivi diversi
Dopo la vittoria dell'Azerbaigian nella seconda guerra del Karabakh e la firma di un accordo che prevede l’apertura di tutti i collegamenti, il 2021 ha visto Baku molto attiva sul fronte della diplomazia energetica con i vicini. Così come lo storico memorandum di intesa firmato all’inizio del 2020 per il giacimento di Dostluk con il Turkmenistan, l’accordo con Teheran e Ashgabat va interpretato come intenzione dell’Azerbaigian di promuovere cambi nella geopolitica della regione. 

Per quanto riguarda l’Iran, l’accordo evidenzia la priorità del neo-eletto Raisi di avere buone relazioni coi paesi vicini. Teheran, che percepisce i 30 milioni di azeri iraniani residenti lungo i 700 km di confine tra i due paesi come un fattore destabilizzante nelle sue relazioni con Baku, non ha interesse a una escalation delle tensioni col vicino.

Se per Iran e Azerbaigian l’accordo ha importanza soprattutto simbolica alla luce delle loro recenti frizioni, per il Turkmenistan potrebbe avere un significato ben più importante. Ashgabat continua ad avere bisogno di diversificare le sue rotte di esportazione del gas, tanto più che i suoi due progetti principali, il TAPI e il Trans-Caspian Pipeline, non sembrano potere concretizzarsi nel breve termine. 

Il primo, destinato a rifornire con 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno i mercati energetici afghano, indiano e pakistano, è bloccato in Afghanistan. Sebbene il progetto abbia il nullaosta del governo dei Talebani, la situazione politica e, soprattutto, economica in cui sta versando Kabul non ha permesso alcun progresso sul fronte dei lavori. Ai costi della costruzione del gasdotto, stimati intorno ai $10 miliardi, vanno infatti aggiunti quelli di linee elettriche ad alta tensione, collegamenti in fibra ottica e una ferrovia, che Turkmenistan, Pakistan e Afghanistan avevano già concordato in precedenza. Il secondo, destinato ad attraversare il Mar Caspio fino all’Azerbaigian e, attraverso il Corridoio Meridionale del gas, ai mercati europei 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno, sembra aver perso importanza nell’agenda dell’Unione Europea. 




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