Si riaccende la crisi in Nagorno-Karabakh (di Marilisa Lorusso)

Fra uno status quo sempre più insostenibile e una pace sempre meno negoziabile, continua l’escalation del conflitto del Nagorno-Karabakh, exclave armena in territorio de jure azerbaijano. Il ripristino del cessate il fuoco dopo gli scontri di inizio aprile, il ritorno alle trattative, le implicazioni regionali. 

Il Karabakh e lo status quo
Il Nagorno-Karabakh, o semplicemente Karabakh, è riconosciuto internazionalmente come una regione dell’Azerbaijan, de jure. De facto su di esso Baku non esercita alcuna sovranità, essendo dopo un conflitto passato in mano a secessionisti armeni. La guerra che ha portato a questa situazione si è combattuta, con varie fasi, dal 1988 al 1994, e si è conclusa con un cessate-il-fuoco che per più di vent'anni ha garantito uno status quo. 

Un’istantanea dello status quo ritrae dal punto di vista amministrativo e militare una linea di separazione fra le forze, il cui acronimo internazionale è LoC (line of contact) e che si estende per tutto il perimetro dell’area che dal 1994 non è più sotto il controllo di Baku, cioè il Karabakh, esclusi pochi kilometri, le circostanti cinque regioni più due regioni in parte, la così detta cintura di sicurezza che assicura all’area un vantaggio difensivo strategico. Questo assetto garantisce altresì ad ovest la contiguità fra il Karabakh e l’Armenia, che ha con il governo secessionista un rapporto preferenziale pur non avendolo riconosciuto. A est e nord-est della LoC c’è l’esercito azerbaijano, all'interno del perimetro della LoC ufficialmente l’esercito secessionista, anche se la presenza di militari dell’esercito della Repubblica di Armenia è stata sostenuta da varie fonti. 

Dal punto di vista diplomatico e di conflict-solution il quadro è più complesso. Mentre infatti la situazione sul terreno è rimasta pressoché inalterata, le posizioni delle parti si sono radicalizzate negli ultimi vent'anni, e vi è stato un progressivo slittamento verso un ampliamento dei termini del conflitto. Baku sostiene che l’area non sia sotto controllo di secessionisti ma sotto occupazione dell’Armenia, per cui descrive il conflitto in termini di contenzioso territoriale fra due stati, a danno della propria integrità territoriale. Nell’esacerbazione delle posizioni, questo contenzioso si estenderebbe poi ad aree dell’Armenia che l’Azerbaijan ha cominciato a definire come proprie. L’Armenia vice versa sostiene che il Karabakh sia l’espressione politica del diritto di autodeterminazione di un popolo esposto a minaccia di repressione dal governo centrale, e specularmente dichiara che altre parti dell’Azerbaijan appartengono all'Armenia storica. La cintura di sicurezza stessa, originariamente percepita come differente dal Karabakh, viene ora generalmente descritta come una parte costituente ed incedibile del territorio armeno. 

A mediare fra le parti, cercando un terreno comune fra posizioni inconciliabili e nell'obbligo di astenersi da qualsiasi forma di legittimazione politica dello status quo, Francia, Russia e Stati Uniti, il così detto Minsk Group, cioè un gruppo di facilitazione dei contatti e delle posizioni fra le parti in previsione della conferenza di pace di Minsk, che avrebbe dovuto sancire una soluzione politica del conflitto. E che non si è mai tenuta, mancando i più elementari requisiti di accordo fra le parti. 

L’escalation verso un nuovo equilibrio
Dal 2011 il cessate-il-fuoco comincia a dare segni di cedimento. L’Azerbaijan dà segno di ritenere che i rapporti di forza sul terreno siano cambiati e che anche il quadro diplomatico, forse non all'interno del Minsk Group che accusa di essere troppo rappresentativo degli interessi armeni e inefficace, ma nel quadro generale del proprio posizionamento internazionale sia mutato. E pare voler massimizzare questo nuovo equilibrio. Persuaso dell’impossibilità di ottenere soddisfazione attraverso strumenti diplomatici, dà il via a una campagna di riarmo e non nasconde che in caso di fallimento diplomatico, la sorte del Karabakh verrebbe di nuovo decisa sul campo di battaglia. Il riarmo armeno è meno eclatante, ma va ricordato che il paese fa parte di un’alleanza militate, l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva cui fa capo la Russia, partner preferenziale in vari settori. L’Azerbaijan ha stipulato un accordo di sicurezza militare con la Turchia, che copre anche il caso di aggressione internazionale da parte di uno stato terzo, riconosciuto. 

Le violazioni del cessate il fuoco diventano settimanali, se non quotidiane, e si estendono anche lungo il confine di stato armeno-azero. In qualche episodio si va oltre il semplice scambio di fuoco con armi leggere. 
Quello che succede dal 2 al 5 aprile è qualitativamente diverso: un’offensiva azerbaijana, non si sa se di natura difensiva o meno, pare volta a spostare la LoC all'interno del territorio del Karabakh, in particolare nel nord, e il conflitto può essere definito, per gli armamenti utilizzati da ambo le parti, una guerra, con l’eccezione del non utilizzo di missili di lungo lancio. 

Un bilancio
Al ritorno al regime di cessate-il-fuoco concordato fra i Capi di Stato Maggiore dell’Armenia e dell’Azerbaijan, quattro giorni di combattimenti hanno lasciato sul campo un bilancio provvisorio di 33 soldati armeno-karabakhi, 31 soldati azerbaijani, 4 civili armeno-karabakhi, 6 civili azerbaijani e 7 volontari armeni, colpiti da un drone sul bus che li portava alle zone di conflitto; 25 soldati armeno-karabakhi vengono ancora indicati come dispersi in battaglia. Non vi sono dichiarazioni ufficiali condivise su un effettivo spostamento della LoC. L’Azerbaijan ha dichiarato la presa dell’altura strategica di Lala Tepe. Il Minsk Group non si è espresso relativamente a una ridistribuzione territoriale conseguente ai combattimenti, anche se pare possibile che ci sia stato un passaggio di mano di qualche postazione militare, come anche confermato in fase di combattimento del governo secessionista. 

L’Azerbaijan pare essere riuscito nello scopo di scuotere lo status quo che non ritiene né conforme ai propri interessi e scopi nazionali, né al proprio peso internazionale. Sia l’Armenia che l’Azerbaijan si sono astenuti dal portare i combattimenti a un livello che si attivassero i rapporti di alleanza, dichiarandosi ufficialmente non belligerante, l’Armenia, e non estendendo l’offensiva sul confine di stato riconosciuto, l’Azerbaijan. Ma di fatto questa situazione espone le parti a nuove pressioni dall'esterno perché siano costrette ad accettare termini di compromesso non concordati fra le parti. E costringe a un risk assessment cautelativo sulla sicurezza regionale in Caucaso proprio nel momento in cui il ritorno in scena dell’Iran poteva aprire alla regione maggiori spiragli di investimento e sviluppo. 




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Si-riaccende-la-crisi-in-Nagorno-Karabakh-di-Marilisa-Lorusso-225-ITA.asp 2016-04-27 daily 0.5