Tagikistan, tra riforme costituzionali e minacce alla stabilità (di Fabio Indeo)

Data l'assenza di risorse energetiche (gas naturale e petrolio) il Tagikistan riveste una posizione marginale nello scacchiere geopolitico centroasiatico, e di conseguenza viene raramente preso in esame dagli analisti.
Nella sfera economica, le rimesse dei lavoratori emigrati rappresentano una delle principali voci del bilancio nazionale: il Tagikistan è la nazione al mondo maggiormente dipendente dalle rimesse, il 43% del prodotto interno lordo. La Russia ospita oltre un milione di tagichi ma la crisi economica russa e il deprezzamento del rublo hanno generato una drastica riduzione delle rimesse, con effetti negativi sul bilancio nazionale e in ambito sociale, con il forzato ritorno in patria di 300-400 mila lavoratori tagichi licenziati, in un realtà che non offre prospettive occupazionali e perciò potenzialmente esplosiva.

Tuttavia, l'attuale evoluzione del quadro politico-securitario merita di essere considerato con estrema attenzione, in quanto la combinazione di una serie fattori potrebbe potenzialmente innescare una condizione di instabilità che rischia di propagarsi all'intera Asia Centrale, minando la sicurezza regionale.
Il poroso confine afgano-tagico - attraverso il quale rischiano di infiltrarsi estremisti e terroristi legati a Taliban, Movimento Islamico dell'Uzbekistan, l'ala militare di Jamaat Ansarullah, combattenti legati allo Stato Islamico, oltre che principale canale di transito dell'eroina afgana - la gestione autoritaria del potere, il controllo statale sui simboli della religiosità sono solo alcune delle tendenze che rischiano di intaccare le fondamenta politico istituzionali della repubblica tagica.

Analogamente ai suoi omologhi Karimov e Nazarbayev - presidenti rispettivamente di Uzbekistan e Kazakistan - anche il presidente tagico Rahmon ha di fatto legato la propria figura all'evoluzione politica di questa repubblica ex sovietica, in quanto al potere da ventitré anni.
Nonostante Rahmon goda di una certa popolarità tra i tagichi - che lo considerano garante ed artefice della ritrovata stabilità e sicurezza dopo la sanguinosa guerra civile del primo lustro post-indipendenza - il crescente autoritarismo nella gestione del potere e la volontà di mantenere le redini del comando rallentano e condizionano l'evoluzione politica della satrapia centroasiatica.

La decisione di dichiarare illegale il Partito della Rinascita Islamica (PRI) nel settembre 2015 e di inserirlo nella lista delle organizzazioni terroriste ed estremiste compromette il carattere formalmente multipartitico del Tagikistan. Questa decisione di fatto estromette un movimento politico che ha contribuito alla rinascita del paese, dopo gli effetti devastanti della guerra civile a metà degli anni novanta: l'inclusione del PRI - partito islamico moderato - nel sistema multipartitico nazionale e la sua accettazione della costituzione secolare  creavano le basi per un modello politico significativo, in quanto  il PRI era l' unico partito islamico ufficialmente riconosciuto e registrato nell'intera regione centroasiatica.

Dopo aver mantenuto per anni due seggi parlamentari, alle ultime elezioni legislative il PRI non è riuscito a riconfermarsi. A settembre 2015 il PRI è stato accusato di aver ordito un tentativo di colpo di stato con Nazarzoda - un ex vice ministro della difesa - e di favorire le attività e la penetrazione delle cellule legate allo Stato Islamico, offrendo supporto logistico: nel corso degli ultimi anni le frequenti accuse di ambiguità nei confronti delle versioni più estremiste e radicali dell'Islam hanno di fatto delegittimato il PRI.
Il leader del PRI Kabiri, autoesiliatosi ad Istanbul, ed i suoi seguaci si difendono da queste accuse che considerano politicamente motivate, in quanto il partito poteva essere un pericoloso rivale per l'attuale presidente.

Secondo il sito di news online Asia-Plus, Rahmon avrebbe inoltre intenzione di attuare nei prossimi mesi delle importanti modifiche alla carta costituzionale, da sottoporre successivamente a referendum popolare. Tra le norme proposte, quella di bandire dall'agone politico tutte i partiti che esprimano idee religiose o atee, che di fatto legittimerebbe il bando del PRI ma condurrebbe anche alla  futura esclusione di altre forze come il partito comunista il quale - nonostante abbia solo due seggi in parlamento e non si configuri come temibile forza di opposizione - viene ugualmente percepito come potenziale minaccia al potere costituito. Attualmente il  presidenziale Partito Democratico del Popolo occupa 51 seggi parlamentari sui 63 disponibili.
Tra le altre modifiche proposte, l'abbassamento dell'età minima per accedere alla carica presidenziale verrebbe percepita come una misura atta a favorire la candidatura del figlio Rustam Emomali come suo successore, mentre la ratifica della proposta parlamentare di concedere a Rahmon il titolo onorifico di “leader della nazione” garantirebbe all'attuale presidente privilegi economici e sociali e immunità nella prospettiva di una sua mancata ricandidatura nel 2020, quando si dovrebbe concludere il suo secondo mandato settennale.
Sul piano della sicurezza, il rischio di infiltrazioni di Taliban e terroristi islamici lungo il confine con l'Afghanistan rappresenta una seria minaccia per la stabilità del Tagikistan, a causa della propria debolezza militare.

Attraverso la cooperazione bilaterale e tramite l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, la Russia si pone come garante della sicurezza nazionale, dispiegando nella nazione 6 mila uomini - la più grande presenza militare all'estero - in tre diverse basi: nei piani di Mosca le truppe dovrebbero aumentare sino a raggiungere i 9mila uomini entro il 2020, in modo da fronteggiare la minaccia destabilizzante dell'islamismo radicale.
Sino al 2005 la Russia aveva proprie truppe dedite al pattugliamento congiunto del confine con l'Afghanistan. Senza sminuire la portata delle minacce del terrorismo islamico radicale, si rileva come gli episodi di violenza che hanno colpito il Tagikistan negli ultimi anni - nella Rasht valley tra il 2008 e il 2011 e a Khorog tra 2012 e 2014 - sono riconducibili non ad infiltrazioni di terroristi o a questioni religiose, ma a fattori di politica interna, come le difficoltà del potere centrale di estendere il proprio controllo in determinate aree, sotto il controllo di vecchi comandanti militari dell'allora Opposizione Tagica Unita.

Con la futura prevista adesione del Tagikistan all'interno dell'Unione Euroasiatica, la Russia rafforzerà la sua influenza geopolitica su questa nazione centroasiatica, potendo contare su importanti elementi di pressione come il destino del milione di lavoratori tagichi e il mantenimento dell'esenzione fiscale per i rifornimenti petroliferi da Mosca. Tuttavia, Mosca dovrà necessariamente promuovere un processo di modernizzazione industriale per giustificare l'inclusione di Dushanbe nel progetto, oltre ad offrire compensazioni economiche (analogamente al Kirghizistan) per ovviare alla mancata riscossione delle imposte doganali, alimentate dal flusso di prodotti cinesi (principale partner economico di Dushanbe) successivamente rivenduti dagli operatori commerciali nazionali. Allo stesso tempo però, gli elementi di instabilità e la debolezza tagica nel fronteggiarli rischiano di coinvolgere Mosca in un nuovo ed ulteriore scenario bellico.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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http://www.eu/ita/archivio/Tagikistan--tra-riforme-costituzionali-e-minacce-alla-stabilita-di-Fabio-Indeo-212-ITA.asp 2016-03-29 daily 0.5