Tagikistan-Kirghizistan sul ciglio di un nuovo conflitto (di Fabio Indeo)

L’esplosione di un vero e proprio conflitto - per quanto temporalmente limitato - tra Kirghizistan e Tagikistan nei territori di confine nella valle del Ferghana dimostra come la mancata soluzione delle questioni aperte – gestione condivisa della risorsa idrica, diritti sui terreni di pascolo, demarcazione incompleta dei confini, presenza di enclaves territoriali – rappresenti una seria minaccia che grava sulla stabilità politica non solo delle repubbliche coinvolte ma dell’intera Asia Centrale.

Nonostante le tensioni ed i conflitti tra le due popolazioni sulle questioni confinarie siano state una costante in questi 30 anni di indipendenza nazionale, negli scontri dello scorso aprile si è manifestato un indubbio e pericoloso salto di qualità, in quanto a differenza del passato gli scontri si sono rapidamente propagati coinvolgendo anche guardie di frontiera e forze di sicurezza con utilizzo di elicotteri, mortai, razzi: le forze di sicurezza di entrambe le repubbliche hanno addirittura attraversato i propri confini nazionali occupando temporaneamente villaggi e porzioni di territorio, in quella che è parsa a tutti gli effetti una sorta di guerra di breve durata.

In tre giorni di scontri, si sono registrate oltre 50 vittime tra civili e militari (35 da parte kirghisa e oltre 15 da parte tagika), 270 persone ferite, la distruzione di scuole ed attività, abitazioni incendiate, quasi 60 mila persone sfollate o evacuate.

Il casus belli che ha innescato il conflitto riguarda la gestione dell’impianto di approvvigionamento idrico di Golovnoi situato nel villaggio kirghiso di Kok-Tash - vicino all’enclave tagika di Vorukh (in territorio kirghiso) - infrastruttura critica nella valle del Ferghana in quanto distribuisce acqua per i canali di irrigazione delle tre repubbliche post-sovietiche (Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan) che si dividono la valle. L’ impianto di Golovnoi divide il fiume (denominato Isfara per i tagiki, Ak-Suu per i kirghisi) in due corsi, quello naturale - che attraversa i territori contesi tra le due repubbliche, prosegue in Tagikistan e poi in Uzbekistan – e un altro che viene invece convogliato nel canale detto dell’Amicizia, che termina nella riserva di Tortkul in Kirghizistan, opere realizzate in epoca sovietica. Tortkul viene utilizzata principalmente per l’irrigazione dei terreni all’interno del territorio kirghiso, ma una parte viene destinata – sulla base di un accordo intergovernativo – in Tagikistan, alimentando canali transnazionali di irrigazione (come il Grande Canale di Ferghana) e centrali idroelettriche. 

Secondo un accordo del 1980 (epoca sovietica) al Tagikistan spetta il 55% dell’acqua, 37% al Kirghizistan e 8% all’Uzbekistan. Dopo la dissoluzione dell’URSS, non esiste alcun meccanismo ufficiale di redistribuzione delle acque, che in sostanza segue praticamente i ritmi delle stagioni: ad aprile maggio – quando il fiume raggiunge la massima capacità – il fiume scorre in Tagikistan per irrigare terreni nella regione di Isfara, mentre nel resto dell’anno scorre verso Tortkul.

Nonostante si trovi nei territori contesi tra le due nazioni, la proprietà kirghisa di Golovnoi non è mai stata in discussione, ma ad aprile alcuni lavori di manutenzione iniziati dai kirghisi hanno insospettito i tagichi che temevano un azione unilaterale per il controllo completo della distribuzione delle risorse idriche. A seguito dell’installazione di un  impianto di videosorveglianza da parte delle autorità del distretto tagiko di Isfara e della veemente reazione degli abitanti dei villaggi kirghisi la situazione è rapidamente degenerata, coinvolgendo anche i rispettivi eserciti e forze di sicurezza: per tre giorni forze di sicurezza tagike hanno preso il controllo dei territori e dei villaggi kirghisi lungo la strada che collega l’exclave di Vorukh (in territorio kirghiso) con il territorio tagiko.

Il 1 maggio il capo del Comitato Statale per la Sicurezza Nazionale del Kirghizistan Tashiev e il suo omologo tagiko Yatimov si sono incontrati nel distretto kirghiso di Batken siglando un cessate il fuoco ed il progressivo ritiro degli eserciti dalle aree di confine e dai territori occupati.

La volontà di ricomporre diplomaticamente - ed in tempi brevi - il conflitto palesata dal presidente Rahmon e da quello kirghiso Japarov evidenzia indirettamente quanto venga temuta la prospettiva di una condizione di instabilità e di belligeranza tra le due repubbliche. A seguito di un colloquio telefonico, i due presidenti si sono pubblicamente impegnati nella risoluzione delle dispute frontaliere, procedendo nei prossimi mesi alla demarcazione definitiva dei confini: Rahmon ha ufficialmente invitato Japarov a Dushanbe nei prossimi mesi, in modo che si possa trovare una soluzione alle problematiche irrisolte. 

Per quanto questi debbano essere interpretati come significativi segnali di disgelo, in realtà lo scenario appare estremamente complicato: a trent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica, Kirghizistan e Tagikistan non riescono a trovare un accordo per la regolamentazione di 450 km di confine condiviso (sui 970 km totali) perché le due nazioni fondano le loro rivendicazioni su carte geografiche di epoche differenti e sostanzialmente inconciliabili, in quanto i territori contesi non corrispondono con i confini amministrativi tra le due repubbliche.

Oltre alla mancanza di un meccanismo condiviso che regolamenti la distribuzione e l’utilizzo della risorsa idrica in un area sovrappopolata e fondata sull’agricoltura come la valle del Ferghana – considerata anche l’ambizione di entrambe le repubbliche di sviluppare dei progetti idroelettrici con l’obiettivo di raggiungere un autosufficienza energetica - anche la questione delle terre da pascolo rappresenta un ulteriore fonte di tensione. Se in passato accordi informali consentivano ai pastori tagiki il pascolo nei territori kirghisi in cambio di un indennizzo, con l’approvazione in Kirghizistan di una legge che vieta ai non-kirghisi l’utilizzo dei pascoli sono cresciute le frizioni ed i contrasti tra le due comunità, esacerbate anche dalla frequente pratica dei pascoli illegali.

In effetti, dopo il “successo” dei negoziati con l’Uzbekistan sulle dispute confinarie (anche se devono ancora essere definitivamente implementati), il Kirghizistan pensava di poter negoziare in tempi rapidi un accordo anche con il Tagikistan, basato sullo scambio di territori di confine: il 26 marzo Tashiev ha dichiarato la disponibilità del governo di Biskhek a proporre uno scambio, offrendo 120 km quadri di territorio a Dushanbe in cambio dell’enclave di Vorukh, che verrebbe assorbita dal Kirghizistan. Tuttavia, a differenza dell’Uzbekistan, il Tagikistan appare un partner poco propenso a concessioni: il 9 aprile Rahmon si è recato in visita nell’exclave di Vorukh affermando che l’idea di scambiarla con territorio kirghiso era priva di fondamento. A complicare ulteriormente il quadro - e le preoccupazioni tagike - le esercitazioni militari compiute a fine aprile dalle forze armate kirghise in prossimità dei territori contesi, che potevano essere percepite dal Tagikistan come una provocazione.

Parallelamente alla distensione diplomatica intrapresa da Rahmon e Japarov, anche altri attori terzi si sono spesi per un cessate il fuoco immediato e per il dialogo. Il presidente russo Putin si è offerto nel ruolo di mediatore, consapevole delle difficoltà che potrebbe creare un altro focolaio di instabilità nello spazio post sovietico, considerando anche che le due nazioni ospitano basi militari importanti per Mosca nell’ambito dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. Inoltre, la Russia intende evitare uno scenario di instabilità nella regione proprio in prospettiva del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, nazione che condivide un confine particolarmente vulnerabile alle infiltrazioni terroristiche con il Tagikistan.

Geopoliticamente significativa è stata anche l’offerta di mediazione da parte di Uzbekistan e Kazakhstan, in quanto il protrarsi di condizione di conflittualità vanificherebbe seriamente gli sforzi di promuovere una cooperazione regionale sul piano poltiico ed economico e nella realizzazione di progetti infrastrutturali trans-regionali. Il presidente kazako Tokayev e il presidente uzbeko Mirziyoyev hanno legittimamente auspicato che le tensioni e i conflitti vengano risolti in ambito centroasiatico, senza l’intervento di attori esterni o organismi multilaterali. Tokayev ha inoltre auspicato che nel prossimo meeting Consultivo dei Capi di Stato dell’Asia Centrale venga creato un meccanismo per gestire le problematiche confinarie, iniziativa che rafforzerebbe le ambizioni delle repubbliche centroasiatiche di sviluppare una politica estera sempre più autonoma dalle influenze esterne.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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