Turkmenistan: la neutralità permanente come caposaldo della politica estera nazionale (di Fabio Indeo)

Il 12 Dicembre 1995 - esattamente 25 anni fa - l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione speciale intitolata "Sulla neutralità permanente del Turkmenistan", che in sostanza divenne il riconoscimento internazionale della politica estera - improntata sulla pace e sul non allineamento nell’ambito delle relazioni internazionali - intrapresa dal Turkmenistan.

Il principio di neutralità permanente è ovviamente incorporato nella Carta Costituzionale della nazione centroasiatica: l’articolo 2 definisce il Baky Bytaraplyk come il fondamento della politica estera nazionale, mentre l'articolo 6 sancisce "Nella propria politica estera,[. . .], il Turkmenistan persegue i principi della neutralità permanente, della non ingerenza negli affari interni delle altre nazioni, rifiuta l'uso della forza e non partecipa a blocchi o alleanze militari, e persegue la promozione di relazioni pacifiche, amichevoli e reciprocamente vantaggiose con gli stati della regione e le nazioni del mondo".

Questo orientamento - elaborato dal primo presidente post sovietico Nyazov - continua a permeare la politica estera della repubblica centroasiatica anche sotto l’attuale presidente Berdymuhammeddow, scelta che pone il Turkmenistan in una posizione particolare nell'alveo delle relazioni internazionali, ma che in sostanza non ha garantito rilevanti benefici geopolitici, economici e strategici.

La scelta di posizionarsi nella sfera dei paesi non allineati e di aderire ad una condizione di permanente neutralità rifletteva gli orientamenti e le preoccupazioni del primo presidente Nyazov nella gestione della fase di transizione post-sovietica e nella costruzione di uno stato nazionale indipendente. Infatti, al fine di raggiungere obiettivi strategici come preservare l'integrità territoriale nazionale e garantire la sicurezza, stabilire condizioni favorevoli per sviluppo economico e politico, sviluppare il potenziale energetico senza dipendere politicamente da nazioni di transito, Niyazov puntò sulla neutralità. Questa neutralità positiva doveva inoltre essere sostenuta da una politica delle “porte aperte”, ovvero una politica estera multivettoriale, condotta attraverso lo sviluppo di relazioni favorevoli con tutti gli stati con l'obiettivo di attirare investimenti stranieri soprattutto nel settore energetico e delle risorse naturali. Tuttavia, la neutralità si tradusse rapidamente in una strategia di isolamento politico ed economico, rafforzando l'autarchia: in sostanza l'isolazionismo turkmeno serviva per giustificare il rifiuto delle norme del diritto internazionale ed il rigido controllo sociale sulla popolazione, oltre che per affrancarsi dalle organizzazioni securitarie regionali dominate dalla Russia.

In questi tredici anni di potere, il presidente Berdymukhammedov si è fedelmente attenuto ai principi cardine della politica estera turkmena, ovvero lo sviluppo di relazioni prettamente bilaterali e il non allineamento sul piano internazionale: di conseguenza, il Turkmenistan persiste nella non adesione alle varie organizzazioni multilaterali regionali nella sfera della sicurezza (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva – OTSC - e l'Organizzazione della Cooperazione di Shanghai – OSC -, a guida sino-russa) e della cooperazione politico-economica (l'Unione Economica Euroasiatica, promossa da Mosca).

Soprattutto il progetto sovranazionale dell’Unione Euroasiatica viene percepito come un pericoloso tentativo di Mosca di rispolverare le proprie ambizioni imperialistiche, mentre Berdymukhammedov ha sempre rifiutato le offerte provenienti dalle diverse personalità succedutesi alla carica di Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (soprattutto, e non a caso, il russo Bordyuzha, che guidò la OTSC dal 2003 al 2017) di aderire all’organizzazione, per rafforzare la difesa della frontiera con l’Afghanistan approfondendo la cooperazione militare con Mosca.

L’unica eccezione è rappresentata dalla partecipazione della repubblica turkmena nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), anche se a partire dal 2005 (durante l’era Nyazov) la nazione ha deciso di rinunciare allo status di paese membro per quello meno vincolante di associato: nel 2019 il Turkmenistan ha assunto la presidenza dei vari organismi CSI (Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, Consiglio dei Ministri degli Esteri, Consiglio Economico) con l’obiettivo di implementare la strategia di sviluppo economico nello spazio post-sovietico e la cooperazione intra-regionale.

In sostanza però, questo approccio in politica estera non ha consentito al Turkmenistan di sfruttare pienamente il proprio potenziale geopolitico, dato dalla combinazione tra posizione geografica strategica e abbondanza di gas naturale. Infatti, il pervicace perseguimento di una politica isolazionista che privilegia le relazioni bilaterali ha sino ad oggi vanificato i potenziali vantaggi legati alla centralità geopolitica di una nazione collocata tra il Mar Caspio a ovest, Iran a sud, Cina a est e Russia a nord.

Inoltre, la condizione di permanente instabilità dell’Afghanistan ridimensiona il ruolo del Turkmenistan come hub dei corridoi di trasporto est-ovest nell’ambito della Belt and Road Initiative (dalla Cina all’Europa) e del corridoio nord-sud verso l’Iran e il Mar Arabico: al momento il corridoio economico denominato Lapis Lazuli (Afghanistan-Turkmenistan-Caspio sino ai mercati europei) e la linea ferroviaria Tagikistan-Afghanistan-Turkmenistan rimangono ancora in una fase di sviluppo embrionale.

Da un punto di vista energetico, la realizzazione del gasdotto TAPI (acronimo delle nazioni coinvolte, Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan ed India) procede molto a rilento – per le irrisolte questioni di sicurezza relative al transito delle condotte e per le difficoltà nel trovare gli investimenti necessari per la realizzazione dei gasdotti nazionali destinati ad interconnettersi con questo progetto trans-regionale - e la data d’avvio viene continuamente posticipata: il TAPI rappresenta un progetto cruciale per Ashgabat in una prospettiva di diversificazione delle rotte d’esportazione e per ridurre la dipendenza dalla Cina. Anche i progetti concepiti per incrementare l’esportazione di energia elettrica verso l’Afghanistan risentono negativamente della condizione di instabilità sul confine condiviso, a causa delle minacce alla sicurezza legate alle attività condotte da cellule terroristiche affiliate allo Stato Islamico e per la presenza dei Taliban in diverse province afgane al confine turkmeno, percepite come una pericolosa miccia capace di innescare ed alimentare la conflittualità interna, considerata la grave crisi economica attuale (accentuata dagli effetti della pandemia globale).

Nonostante la posizione geografica e le risorse naturali, il Turkmenistan indipendente non è riuscito ad ottenere significativi vantaggi dalla propria politica estera: infatti, per far fronte alle principali problematiche attuali - sicurezza al confine con l’Afghanistan, necessità di incrementare le esportazioni di gas per aumentare le entrate statali - il Turkmenistan deve necessariamente far riferimento ai due potenti vicini (Russia e Cina), rispetto ai quali si trova in una posizione di debolezza, di “subalternità” geopolitica per l’impossibilità di sviluppare relazioni e solide partnership alternative con altri attori statali circostanti come l’Iran (a seguito della rottura delle relazioni del 2017), Azerbaigian e soprattutto le altre repubbliche centroasiatiche.

Tuttavia, in sostanziale linea di discontinuità con il passato, nel dicembre 2019 il presidente Berdymukhammedov ha partecipato al secondo summit (consultivo) centroasiatico tenutosi a Tashkent, iniziativa promossa dal presidente uzbeko Mirziyoyev e dall’ex presidente kazako Nazarbayev che riunisce i capi di stato e di governo delle cinque repubbliche. La partecipazione turkmena potrebbe essere interpretata come un primo timido passo verso una maggiore cooperazione con le nazioni centroasiatiche, in modo da dialogare ed affrontare le problematiche comuni cercando allo stesso tempo di mantenere inalterata la tradizionale posizione di neutralità e di non allineamento in politica estera.

(Questo articolo è parte di un testo più vasto pubblicato sul sito OACC)




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