Uzbekistan post-Karimov: verso una nuova politica estera? (di Fabio Indeo)

In attesa delle elezioni presidenziali indette per il 4 dicembre, che dovrebbero ratificare l'ascesa al potere di Mirziyayev come successore di Karimov, l'attuale presidente ad interim ha adottato delle importanti decisioni che contribuiscono a delineare l'evoluzione politica dell'Uzbekistan post-Karimov.

Sul piano interno, Mirziyayev ha intrapreso un significativo rimpasto delle cariche governative: di particolare rilievo appare la conferma di Rustam Azimov - teoricamente considerato come uno dei rivali più accreditati di Mirziyayev nelle presidenziali di dicembre - nel ruolo di ministro delle finanze, al quale sono stati altresì concessi importanti poteri in ambito economico con l'obiettivo di attrarre investimenti internazionali. Questa mossa appare confermare la possibilità di un tacito accordo per il mantenimento dello status quo, fondato su un tandem politico composto da Mirziyayev come successore di Karimov e l'ascesa di Azimov alla carica di premier, in una linea politica di continuità con il passato.

In queste prime settimane al potere, uno degli orientamenti maggiormente significativi che si evince nella politica estera intrapresa da  Mirziyayev mira a rafforzare la cooperazione politica ed economica regionale, ovvero ad instaurare un nuovo clima di collaborazione e di fiducia con le repubbliche centrosiatiche confinanti.
L'obiettivo appare quello di appianare le divergenze e le tensioni accumulatesi nel corso dei venticinque anni di potere karimoviano, inerenti la regolamentazione dei confini, lo status delle enclaves territoriali, la gestione delle risorse naturali (in primis l'acqua), lo status ed i diritti delle minoranze etniche. L'Uzbekistan indipendente si è mosso secondo una linea di isolamento e di forte contrapposizione con le altre repubbliche centroasiatiche, fondata su una latente rivalità con il Kazakhstan - in opposizione all'ambizione di Nazarbayev di ergersi come leader politico ed economico regionale - su un aperta ostilità contro i progetti kirghisi e tagichi di sfruttamento del loro potenziale idroelettrico e sull'esplosiva situazione della valle del Ferghana, su una forte diffidenza e rivalità personale tra Karimov e il primo presidente turkmeno Nyazov (mentre dal 2006 con Berdymuhammeddow, le due nazioni hanno instaurato una proficua cooperazione energetica nell'ambito del gasdotto Cina-Asia Centrale).

Per l'Uzbekistan la questione della regolamentazione delle frontiere costituisce una problematica particolarmente delicata, in quanto unica nazione centroasiatica a confinare sia con le altre quattro repubbliche post sovietiche sia con l'Afghanistan, e per la presenza di consistenti minoranze uzbeche nelle aree transfrontaliere dell'intera regione. 

In questa prospettiva, la visita del nuovo ministro degli esteri uzbeco Komilov in Tagikistan il 29 settembre e l'incontro con il presidente Rahmon - per discutere di temi rilevanti come la cooperazione economica e avviare un dialogo su temi politici regionali complessi - rappresenta un notevole passo diplomatico in avanti del nuovo corso uzbeco, considerando la forte inimicizia che contrapponeva Rahmon e Karimov, legata a rivendicazioni di carattere storico, dispute territoriali e progetti idroelettrici.

Nonostante siano territorialmente confinanti, il commercio bilaterale tagico-uzbeco è pressoché inesistente: nel 2015 ammontava a soli 10 milioni di dollari. In una prospettiva di tipo storico, le rivendicazioni mai sopite di Rahmon sulle città uzbeche di Buchara e Samarcanda e sulle aree circostanti - dove si concentra una consistente minoranza etnica e culturale tagica, circa un milione di persone pari al 5% della popolazione uzbeca - spinsero Karimov ad intraprendere un processo di "uzbechizzazione" in ambito educativo, culturale e linguistico per depotenziare un eventuale minaccia separatista.

L'assenza di una chiara delimitazione delle aree di confine e la minaccia di incursioni armate di terroristi islamisti hanno “giustificato” nel corso degli anni frequenti restrizioni nel movimento transfrontaliero di beni e persone, con la chiusura delle frontiere come in occasione degli attacchi in Uzbekistan nel 1999 e a seguito di tensioni tra le comunità locali.

L'ostilità e la diffidenza tra le due nazioni ha inoltre determinato l'interruzione del traffico ferroviario in direzione del Tagikistan, il quale obbligatoriamente attraversa il territorio uzbeco: nel corso degli anni le autorità uzbeche hanno frequentemente bloccato il transito di materiale diretto in Tagikistan, soprattutto se si trattava di materiale utile per la realizzazione della centrale idroelettrica di Rogun. Tra il 2009 e il 2014 questa ostilità ha concretamente ostacolato il progetto infrastrutturale della Northern Distribution Network, promosso dalla NATO e finalizzato alla creazione di un corridoio di approvvigionamento verso l'Afghanistan e che in teoria poteva servire come piattaforma embrionale per promuovere una cooperazione economica centroasiatica.
Il progetto di realizzare delle centrali idroelettriche, espressamente quella di Rogun in Tagikistan e di Kambarata in Kirghizistan, sono apertamente osteggiate dal governo di Tashkent nel timore che queste privino l'Uzbekistan dei volumi d'acqua necessari per la redditizia coltivazione del cotone: in sostanza  viene amplificata una problematica legata alla comune esperienza sovietica, in quanto l'indipendenza nazionale ha di fatto interrotto una gestione integrata delle risorse idriche che prevedeva un sistema di compensazione energetica tra le nazioni ricche d'acqua (Kirghizistan e Tagikistan) e quelle a valle dedite alla coltivazione del cotone. Considerato che Tashkent interrompeva in pieno inverno i rifornimenti di gas naturale ed energia elettrica, come strumento di pressione sui governi di Dushanbe e Biskhek affinché rivedessero i loro progetti di centrali idroelettriche, ora quest'arma risulta spuntata a seguito dell'intervento di Gazprom nel settore energetico kirghiso e della realizzazione di una linea ad alta tensione supportata con fondi cinesi.

Per quanto concerne il Kirghizistan, nella seconda metà di settembre gruppi di lavoro uzbeco-kirghisi si sono incontrati per discutere e cercare di risolvere le questioni inerenti la demarcazione di 23 aree di confine contese nelle province kirghise di Osh, Jalalabad e Batken. In realtà questo incontro riveste un importanza cruciale al fine di bloccare la pericolosa escalation di tensioni e contrapposizioni che ha connotato le relazioni tra Tashkent e Bishkek nel corso degli ultimi mesi, legate in prevalenza allo sfruttamento e alla gestione della risorsa idrica.
Da marzo, un checkpoint dell'esercito kirghiso è stato installato a tutela della riserva idrica di Orto-Tokay (Kasan-sai) - utilizzata congiuntamente dalle due repubbliche - impedendo l'accesso a tecnici uzbechi per la riparazione delle condotte. Ad agosto, dopo l'arresto di un ufficiale uzbeco ad opera delle guardie di frontiera kirghise, forze militari uzbeche sono state paracadutate occupando per due settimane la stazione radio-televisiva kirghisa nella montagna Ungar-Too: il rifiuto dell'attuale presidente kirghiso Atambayev di riconoscere la decisione della commissione intergovernativa uzbeco-kirghisa (adottata durante la precedente presidenza di Bakiev) che fa ricadere la torre della  montagna Ungar-Too in territorio uzbeco, ha in sostanza prodotto questo esplosivo scenario transfrontaliero.

Un auspicabile negoziato sulle questioni transfrontaliere dovrà necessariamente riguardare anche lo statuto delle enclaves territoriali, ben settanta nella Valle del Ferghana tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan.
Nel territorio kirghiso vi sono sette enclaves, due appartengono al Tagikistan (Varukh e un’altra a nord di Isfana) e cinque all’Uzbekistan, tra le quali l'enclave di Sokh, uno dei casi più emblematici dell'intricato mosaico etnico centroasiatico e del difficile equilibrio geopolitico regionale. Sokh è un enclave sotto la sovranità uzbeca, in territorio kirghiso (nella regione di Batken), popolata da oltre 50.000 persone, il 90% delle quali di etnia tagica. Nonostante non abbia per Tashkent alcuna importanza economica, questo territorio riveste per l'Uzbekistan una certa rilevanza nell'ambito della sicurezza, alla base della quale vi è l’intento strategico di creare un corridoio terrestre che colleghi l’enclave al territorio uzbeco, allo scopo di prevenire gli attacchi dei fondamentalisti islamici. A testimonianza della fragilità dell'equilibrio in quest'area,  non esistendo un accordo tra governi, al territorio di Sokh si applica la legge kirghisa sui pascoli, che impedisce l'utilizzo del suolo nazionale per la pastorizia agli stranieri (ai non kirghisi), marginalizzando economicamente gli abitanti di questa enclave.

Infine, il 22 settembre Mirziyayev ha promosso un incontro con il premier kazaco Mamin, per discutere un rafforzamento del commercio bilaterale: infatti, le esportazioni uzbeche di frutta e verdure attraverso il Kazakhstan risultano “danneggiate” dalla sfavorevole tariffa esterna imposta da Mosca ed applicata da Astana in quanto membro dell'Unione Economica Euroasiatica.

Se una volta eletto presidente Mirziyayev continuasse lungo questo viatico, l'intera regione euroasiatica trarrebbe enormi benefici da uno scenario di accresciuta stabilità. Il coinvolgimento dell'Uzbekistan negli affari regionali influirebbe positivamente sulle prospettive di rafforzamento della cooperazione economica centroasiatica, sulla soluzione delle distorsioni esistenti (status delle enclaves, gestione dell'acqua, regolamentazione dei confini) e sulla lotta contro le minacce rappresentate dalle sacche tuttora esistenti di terrorismo jihadista.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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