Uzbekistan: una nuova legge sulla libertà religiosa (di Pierluigi Franco)

La complessa situazione dell’Afghanistan, con il fulmineo ritorno al regime islamico dei talebani, ha inevitabilmente innalzato lo stato di allerta nei Paesi dell’Asia Centrale. A preoccupare non è tanto la possibilità di attacchi diretti da parte talebana, ipotesi alquanto improbabile, quanto la ripresa di attività e proselitismo da parte delle organizzazioni islamiste in qualche modo legate alla galassia jihadista.

E’ in questa ottica che va letta la nuova legge sulla libertà di religione entrata in vigore il 6 luglio scorso in Uzbekistan dopo la firma, il 5 luglio, da parte del presidente, Shavkat Mirziyoyev. Il varo della normativa, probabilmente accelerato dal prevedibile precipitare degli eventi nel confinante Afghanistan, punta senz’altro a evitare il diffondersi di gruppi fondamentalisti attraverso concessioni finora vietate, quasi una sorta di captatio benevolentiae, ma anche attraverso un controllo più serrato dell’educazione pubblica giovanile teso a evitare quegli insegnamenti rigorosamente religiosi che conducono all’indottrinamento radicale. Un quadro legislativo che è però stato criticato da molti esponenti religiosi, così come da organizzazioni che si occupano delle libertà di espressione della fede tra le quali spicca la norvegese ‘Forum 18’, per i quali la normativa resta sostanzialmente restrittiva.

Uno dei punti più soggetti a critiche è l’abrogazione del divieto di indossare in luogo pubblico abiti o paramenti tipici di appartenenza religiosa, di cui l’esempio più diffuso è senz’altro il velo islamico. La nuova normativa ha infatti abolito la disposizione che vietava a chi non era specificamente registrato come religioso di indossare in pubblico abiti di tradizione religiosa. Si trattava, in realtà, di una norma sostanzialmente disattesa poiché era facile incontrare donne islamiche con il capo coperto dall’hijab senza alcun problema. Ma le critiche derivano soprattutto dal fatto che la nuova legge prevede che gli enti statali hanno ancora il diritto di imporre un codice di abbigliamento e, quindi, potenzialmente di vietare il velo islamico nel proprio ambito. 

La nuova legge prevede poi una sostanziale semplificazione del processo di registrazione delle organizzazioni e dei luoghi di culto religiosi. In pratica, per aprire un centro islamico o una moschea, sarà necessaria l’adesione di 50 persone di maggiore età a fronte delle 100 persone maggiorenni richieste dalla normativa precedente. Le competenze relative alla registrazione e alla cancellazione, precedentemente svolte da apposite strutture governative, sono ora delegate ai Tribunali. Anche questa norma viene però contestata da molti esponenti religiosi e associazioni secondo i quali le nuove regole hanno introdotto procedure e requisiti più complessi, come quella che richiede a tutti i fondatori di risiedere nella stessa città o distretto, con l’intento di limitarne la realizzazione.

Particolare attenzione è poi posta alle regole sull’educazione religiosa. E’ infatti questo il punto più delicato, poiché la storia recente ha insegnato che alla base del fondamentalismo ci sono le scuole religiose coraniche che operano al di fuori delle strutture di educazione pubblica. Cosa senz’altro da tenere nella dovuta considerazione in un Paese di 27 milioni di abitanti di cui il 94% professa la religione islamica. Per questo la nuova normativa ha confermato che gli insegnamenti religiosi sono riservati agli appositi istituti di istruzione riconosciuti dallo Stato, mentre scuole e università resteranno laiche e continueranno a non avere studi religiosi inclusi nei loro corsi. La legge vieta anche l’inserimento di discipline religiose in qualunque curriculum professionale.

Anche in questo caso l’Uzbekistan deve fare i conti con la realtà di un diffuso islamismo, testimoniato dal fatto che un numero sempre crescente di cittadini desidera che i bambini abbiano già una forte conoscenza della dottrina islamica. Ciò ha favorito negli ultimi anni il proliferare di scuole religiose clandestine, spesso scoperte e smantellate dalle autorità.  
Per far fronte a questa emergenza, i vertici uzbeki hanno avviato una serie di iniziative di educazione religiosa tra le quali spicca il nuovo canale televisivo  Hidoyat Sari (Guida verso il sentiero della verità), che trasmette in russo e in uzbeko e si occupa di tematiche islamiche. Non a caso il nuovo canale, che è anche online, ha avviato le sue trasmissioni il 7 luglio scorso, appena un giorno dopo l’entrata in vigore della nuova legge. Tra gli intenti dichiarati di Hidoyat Sari – come ha scritto su Facebook il capo della Radio-Tv pubblica dell’Uzbekistan, Alisher Khadjayev - c’è quello di far comprendere ai giovani il pericolo di cadere sotto l’influenza dell’estremismo religioso che promuove il terrorismo. 

D’altra parte l’Uzbekistan sa bene che il rischio è dietro l’angolo. Il Movimento islamico dell’Uzbekistan (Imu), che in passato aveva già trovato terreno fertile nel confinante Afghanistan, è pronto a rialzare la testa muovendosi tra talebani e Stato Islamico Khorasan, il ramo dell’Isis in territorio afghano, come già aveva fatto con Al-Qaeda. Gli attentati di venti anni fa a Tashkent, Bishkek e Osh sono ancora presenti nei ricordi di chi vive in Asia Centrale e ciò fa crescere i timori per quanto potrà accadere nell’immediato futuro.  D’altra parte segnalazioni di intelligence hanno da più parti evidenziato una ripresa delle attività di proselitismo dei gruppi fondamentalisti islamici, soprattutto tra i più giovani. 

Le scelte in materia di educazione religiosa dell’Uzbekistan sembrano quindi rispondere alle esigenze del momento. Anche se voci critiche, come quella di ‘Forum 18’, ritengono che proprio scelte come quelle di Tashkent limitano la libertà e “alimentano l’estremismo”.




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Provvedimento n.229 dell'8 maggio 2014 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014.

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